Psichedelia europeista
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Gianmaria Vianova)
L’Unione Europea si sta rivelando un mostro affetto da schizofrenia e confusione. Immersa in un perenne viaggio psichedelico, non si comprende dove si trovi al momento e nemmeno dove voglia andare. Tentiamo di dare ordine al caos facendo la spola tra passato, presente, futuro e dimensioni alternative.
Quando non si hanno argomenti si procede per luoghi comuni. Avete presente, no? Grande è la confusione sotto al cielo di Bruxelles: la situazione è perfetta. Ma anche: se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Sembra che pochi, sinceramente, stiano comprendendo il destino di questa sgangherata Unione Europea. L’operazione simpatia che circonda le istituzioni comunitarie, sempre più in preda ad una schizofrenia cronica, ha l’obbiettivo di tranquillizzare: il sogno europeo è vivo e combatte insieme a noi, ci mancherebbe, solo fate finta che tutto questo casino non stia accadendo, grazie. Poi il dubbio. Fidarsi di Francesco Sole, nuovo uomo immagine reclutato dall’Unione, oppure di un documento del governo federale tedesco intitolato Prospettive strategiche 2040?
Una occhiatina a quelle 120 pagine (sì, centoventi) andrebbe data. Al lettore basti sapere che la Germania ha studiato diversi verosimili scenari ambientati in una Europa post-UE. In altre parole si stanno preparando ad un break-up che si preannuncia relativamente violento e non coordinato. Il Guardian parla di un conflitto est-ovest in cui alcuni Stati Ue si schierano con la Russia oppure una Europa multipolare, dove alcuni Stati adottano l’agenda politico-economica russa a dispetto del Trattato di Lisbona. Che la russo-fobia fosse imperante non è una novità. L’Unione Europea è sempre piaciuta oltreoceano per un motivo: accozzaglia di Stati cuscinetto adibiti ad argine dell’eventuale (?) espansionismo sovietico. Ne parlava in maniera cristallina Altiero Spinelli nel suo Diario europeo:
Per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione Sovietica, da saper fare al momento buono.
Quello che emerge dal rapporto, però, è altro. Se si presuppone che siano i Paesi dell’est i primi ad abbandonare la nave significa che la fiducia verso le colonne portanti del progetto europeo permane. Una Unione ulteriormente indebolita e anemica, incapace di trattenere nelle proprie austere grinfie nazioni geograficamente più lontane dal quartier generale, però ancora masochisticamente vegeta nel quadrangolo Germania-Francia-Italia-Spagna. Questi quattro Stati, deduciamo, non farebbero saltare in aria il progetto unicamente per motivi strettamente politici: quasi unanimemente è ormai assodato l’impatto negativo dell’unione monetaria istituita in una non optimal currency area.
Il rapporto tedesco non è l’unico recente sintomo di psichedelica europeista. Il sempre eccellente Voci dall’Estero ha tradotto un articolo di Vincent Brousseau (responsabile nazionale dell’UPR per Euro e questioni monetarie) in cui viene ipotizzato uno smantellamento silenzioso dell’area Euro gestito dalla Germania. La scintilla capace di far crollare la moneta unica sarebbe, per Brousseau, la proposta di Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, di porre l’oro delle banche centrali nazionali a garanzia dei saldi Target. Ora: i saldi Target sono un gran casino. Lo sono per il sottoscritto che scrive, per il lettore e per esperti di tutto il mondo.
La versione semplice è la seguente: i saldi Target rendicontano lo spostamento finanziario collegato ad acquisti/vendite effettuate verso Paesi esteri appartenenti all’Eurozona. Non è un caso se la Germania dopo lo scoppio della crisi ha visto il suo saldo spostarsi in territorio positivo: i tedeschi sono creditori del resto d’Europa, con bilancia dei pagamenti oltre l’8% del PIL. Berlino vende a tutti, facendo indebitare in termini di saldi Target le altre economie dell’Eurozona (il credito della Germania è ri-esploso con l’avvio del QE, attraverso il quale Draghi ha acquistato per quote di PIL titoli di Stato di tutta l’area Euro, quindi in proporzione più Bund tedeschi). Questi saldi, teoricamente, rappresentano valori meramente contabili e non debiti reali. I falchi della Bundesbank però tendono sempre a voler rimarcare la natura reale di quel saldo, dapprima facendo sapere che per uscire dall’Unione Europea bisogna saldare il proprio debitoTarget (e si parla di oltre 400 miliardi nel caso italiano), poi tentando di far porre in garanzia l’oro, quello che appartiene alle varie nazioni.
Brousseau si rifà a sua volta ad un articolo del Welt, a firma Holger Zschäpitz, in cui si riesuma la proposta di Weidmann: applicare una garanzia in oro sui nuovi debiti Target. “Solo il Belgio sta facendo bene” dice l’autore, riferendosi al fatto che solo i belgi si stiano “indebitando” per ammontare sostenibile in termini di riserve auree. È chiaro che, come sostiene anche Brousseau, garantire nuovo debito fittizio con l’oro sia pazzia pura e semplice. Nel momento in cui il saldo negativo con la Germania supererà le riserve nazionali, il Paese in oggetto, qualsiasi esso sia, non sarà più autorizzato ad entrare nel circuito interbancario (avendo esaurito l’oro da porre in garanzia).
E a quel punto? Scacco matto, kaputt, fine. Per sostenere politicamente il break-up, il ripristino delle sovranità monetarie nazionali avverrebbe in maniera lenta e progressiva, quindi silenziosa. I media non se ne accorgerebbero (oppure farebbero finta di non accorgersene) così come la popolazione. Ovviamente il pezzo di Brousseau rasenta la fantapolitica, ma è significativo vedere come firme internazionali si stiano preoccupando per una ipotetica fine dell’UE.
Gira e rigira, il pallino alla fine della fiera è sempre a Berlino. Angela Merkel, o chi per lei, sembra incaricata dal destino a gestire la liquidazione di questa costruzione sovranazionale. Il suo ruolo sarebbe duplice: giudice e carnefice (giuria non pervenuta). Prima carnefice, perché i limiti imposti alla finanza pubblica stanno generando tensioni sociali e il surplus tedesco dettato dalle esportazioni sta facendo imbarcare acqua a poppa. Giudice perché senza i tedeschi uno smantellamento guidato e soft dell’Unione (scenario più indolore possibile) è impraticabile. Quando un solo Stato membro cattura a sé tutte le suddette prerogative inevitabilmente si va a configurare un regime coercitivo che poco ha a che fare con l’unità nella diversità. Le prospettive di sottomissione derivanti dalla costituzione di questa Europa erano cristalline sin dal primo dopoguerra. Riecheggiano ancora le parole di Lelio Basso, socialista, alla Camera nella seduta del 13 luglio 1949:
Noi sappiamo che ogni passo avanti che si fa verso questa cosiddetta unione è un passo avanti sulla via dell’assoggettamento dell’Europa al dominio del capitale finanziario americano ed è altresì un passo avanti verso la formazione di una piattaforma europea in funzione antisovietica. Ridotta a questa espressione, l’Unione europea somiglia profondamente all’Europa di Hitler: anche allora “Europa in marcia” era una delle espressioni care alla dominazione nazista, così come oggi “Europa in marcia” è espressione cara alla dominazione americana.
Sì, se ve lo state chiedendo il suo intervento cadde nel vuoto. Ovviamente non si faceva riferimento al presente della Germania: allora era letteralmente a pezzi, non aveva autorità. La subalternità dei singoli governi nazionali, però, era già prospettiva consolidata e ben più che plausibile. Helmut Kohl, cancelliere tedesco dal 1973 al 1998, all’alba dell’Euro dichiarò:
Per portare la Germania nell’euro ho agito da dittatore.
Conscio del fatto che un referendum sull’introduzione di una moneta unica europea si sarebbe rivelato unacocente sconfitta, optò per la strategia dei piccoli passi a suon di trattati (in particolare Maastricht), che possono essere firmati senza consultazione popolare diretta. Perché Kohl teneva così tanto all’Euro? Semplice: aveva compreso la forza del vincolo monetario.
Nel 1990, in piena unificazione tedesca, fu forzata l’introduzione del marco dell’ovest anche all’est con cambio 1 a 1 per le partite correnti (tasso scellerato, in quanto il tessuto economico orientale non poteva reggere il peso del cambio occidentale). Una volta persa la sovranità monetaria, l’Est perse anche ogni sorta di potere contrattuale. Kohl, genio politico, fece due più due: una moneta unica è più che qualcosa con cui pagare. L’adozione dell’Euro avrebbe garantito il dominio politico ed economico della Germania unita sul resto d’Europa, con le stesse conseguenze negative di cui dovette soffrire (e soffrire tuttora) la RDT, leggasi deindustrializzazione.
I dati corroborano questa tesi. L’output gap, ovvero la differenza tra la produzione effettiva e quella potenziale, nelle economie dell’Eurozona presenta tassi molto diversi. La Germania, ad esempio, attesta un valore positivo (vicino al 2%), mentre Francia (- 2,5%), Spagna (-4,5%) e Italia (-5,5%) non riescono a saturare la propria capacità produttiva.
Non è solo il valore attuale a preoccupare: sono i cicli economici ad essere completamente sfasati. Mentre i tedeschi camminano sicuri, i francesi non accennano a migliorare il loro output gap. Italiani e spagnoli, lentamente, tentano di riallinearsi. La questione è chiara: ha ancora senso forzare la sopravvivenza della moneta unica? L’alternativa è l’eutanasia, e lo è perché attualmente la vita del progetto è attaccata all’ossigeno erogato a iosa dalla Banca Centrale Europea. L’attivo dell’istituto di Francoforte viaggia spedito verso i 4500 miliardi di dollari, con l’acquisto di 60 miliardi di asset al mese (30 da gennaio 2018). I titoli di Stato a breve e, in parte, a medio termine di Stati periferici e centrali hanno rendimenti negativi, facendo saltare in aria ogni testo di economia e razionalità della curva dei tassi. Mentre da anni la politica monetaria crea di fatto dal nulla liquidità, ai governi nazionali non è permesso di aumentare il proprio deficit per sostenere piani di investimento/stimolo dell’economia reale.
Ecco che la rapsodia europea si rimanifesta. Anche compreso il feticismo dei tedeschi per il pareggio di bilancio, non si può credere che economie diverse, con cicli economici diversi ed esigenze diverse possano convivere serenamente (o perlomeno operare un piano di appiattimento delle divergenze) privati anche dellapolitica fiscale. Essendo l’austerità prociclica (aggrava situazione di crisi) dove sta il senso di accanirsi sui bilanci dei singoli Stati in un’era in cui il costo del debito è negativo? Al momento, forse più unico che raro, i bilanci nazionali vedono i titoli di Stato come componenti positive: perché non operare in accordo con la BCE e permettere piani di stimolo straordinari?
Lo statuto di Francoforte non contempla tra le proprie priorità la crescita economica e, comunque, una simile azione avrebbe come effetto l’innalzamento dell’inflazione, quindi il venir meno della condizione necessaria e sufficiente a mantenere aperti i rubinetti della politica monetaria espansiva. In altre parole il pesante apparato burocratico europeo ha generato una serie di contrappesi di ordine economico-giuridici tali da annullare gli effetti di ogni possibile manovra espansiva. Per non parlare delle conseguenze politiche, ben esposte da Matthew Klein sul Financial Times:
La BCE è stata appositamente progettata per essere diversa dalle normali banche centrali. […] Essa autorizza le banche nazionali a fare tali presti di emergenza giudicando caso per caso […] Queste caratteristiche conferiscono ampia discrezionalità alla BCE nella scelta se concedere – o negare – aiuto alle banche, sulla base di considerazioni politiche.
Spesso si definisce ordoliberista la costruzione europea. Non è propriamente vero. L’unicità dell’esperimento che l’Euro rappresenta opera una distorsione: l’ordoliberismo in potenza si tramuta in neomercantilismo in atto, perché esportare è l’unica via ammessa dall’unione monetaria al raggiungimento del benessere statistico. Non c’è da meravigliarsi, perciò, se voci di una disgregazione imminente si stanno diffondendo a macchia d’olio. Più che un binario morto l’Unione Europea è oggi una spirale, questa l’allegoria più pregnante, in cui interessi politici, macroeconomici, ordinamenti giuridici ed economici, posizioni mediatiche e filosofia vorticano senza soluzione di continuità. Staccate dalla realtà, queste forze intellettuali scavano la fossa dei popoli europei.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/economia/unione-europea/
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