Sovente si sente affermare da parte del governo e dei media che la crisi è finita. Ma sarà vero ?
Possibile che nonostante le politiche di austerity imposteci dall’Europa e applicate diligentemente dalla classe politica dominate le cose effettivamente non vadano poi così male ?
Un’attenta analisi degli stessi dati del governo sembra smentire categoricamente questa ipotesi. Vediamoli insieme.
I seguenti grafici sono presi dal sito DIPE (cioè del Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica) e dal sito di finanza Trading Economics, che raccoglie ed aggiorna costantemente i dati dei più importanti istituti di statistica di tutte le nazioni.
Il grafico di cui sopra rappresenta il numero totale di persone disoccupate. Come si vede l’andamento è tutt’altro che positivo e dal 2015 praticamente la disoccupazione non scende. Vediamo al contrario che il picco di disoccupazione si ebbe proprio col governo Renzi nel 2014.
Il grafico di cui sopra invece rappresenta la disoccupazione a lungo termine (persone senza lavoro da un anno o più, un dato pertanto ancora più drammatico rispetto il precedente, calcolato su base mensile). Anche qui notiamo che essa cala sensibilmente dopo il 2014, per poi però appiattirsi ad un valore pressoché costante.
Questo grafico e quelli a seguire sono presi invece dal sito del DIPE (dati aggiornati al 05 ottobre 2017). Il dato sopra riportato rappresenta il PIL (il reddito interno) su base trimestrale. Come si vede, siamo ancora ben lontani dai livelli pre-crisi, quado il PIL trimestrale era maggiore di 25 miliardi rispetto ora. Come mai tuttavia questa lieve ripresina dopo il 2014 ? E’ veramente sintomo di creazione di maggiore benessere per la popolazione ? Tenete bene a mente il dato precedente della disoccupazione per capire come a maggiore PIL non corrisponda affatto necessariamente più lavoro e ricchezza per i residenti. In seguito vedremo un’altra cosa molto interessante.
Ma veniamo ora al dato della produzione industriale, che dovrebbe stare particolarmente a cuore agli imprenditori.
Anche qui l’andamento è alquanto deludente; dopo il 2015 si assiste ad una insignificante ripresa, che non è sufficiente per parlare di andamento positivo dato il tonfo realizzato a seguito della crisi economica del 2008 e dopo le misure lacrime e sangue del “salvatore” Mario Monti.
Ora iniziamo ad andare oltre i dati che i media quotidianamente ci presentano per farci credere che tutto vada bene. Un PIL che aumenta non significa che la maggior parte della popolazione sia diventata più benestante, così come una maggiore occupazione non significa che siamo tutti più ricchi perché questo dato non considera i lavori precari, di poche ore e mal retribuiti.
Vediamo infatti nel grafico sopra che la percentuale delle famiglie povere presenta un andamento nettamente ascendente e ciò vale addirittura per il “ricco” nord Italia.
Il grafico di cui sopra invece rappresenta l’andamento della cosiddetta povertà relativa, che si differenzia dalla povertà assoluta in quanto si basa su una soglia di valore di spesa per consumi che varia solo in base al numero dei componenti di un nucleo famigliare e non è differenziata per regione geografica, dimensione del comune di residenza o età dei componenti del nucleo. Anche in questo caso nel tempo si verifica un sostanziale aumento della povertà.
Il grafico sopra invece ci dà il prospetto dell’aumento della povertà per le famiglie numerose (con tre e più figli minori). Della serie, ci viene detto di fare più figli ma non ci vengono date le risorse per farli crescere in condizioni dignitose.
Tirando le somme, da tutti i dati di cui sopra abbiamo visto che l’andamento dell’economia italiana è tutt’altro che roseo come ci viene dipinto. Ma da dove deriva allora la tanto sbandierata ripresa del PIL, che in verità si attesta su valori molto inferiori rispetto a quelli pre-crisi ?
Semplice, non certo dalla domanda interna (che in rapporto al PIL è in diminuzione, vedi qui), causa l’aumento della povertà e la diminuzione degli stipendi (a loro volta dovuti alle politiche di austerity imposteci dall’Europa), ma bensì dalla domanda estera.
Tolta la linfa della domanda interna (causa la riduzione del deficit pubblico), l’unico modo per aumentare il reddito complessivo interno è quello di fare affidamento sulla domanda estera, cosa che l’Italia ha regolarmente fatto a partire dall’inizio degli anni 2010, con un contenimento delle importazioni a favore delle esportazioni, ossia della vendita a basso prezzo all’estero di beni reali dei quali la nostra popolazione non godrà.
Come è stato possibile diventare competitivi nei mercati esteri ?
Semplice; privati della possibilità di svalutare la moneta, ora possiamo solo fare affidamento sull’abbassamento dei salari, cosa che l’Italia ha regolarmente fatto a partire dalla crisi economica del 2008 (vedi sotto).
E quali sono per le piccole e medie imprese italiane e per il nostro sistema bancario le conseguenze di continuare a voler permanere nell’eurozona ed applicare politiche di contenimento della spesa pubblica (che costituisce al centesimo il reddito privato) ?
Anche qui il risultato è palese. Le conseguenze sono state la progressiva diminuzione dei crediti al settore privato, accompagnata dall’aumento dei prestiti divenuti inesigibili (vedi sotto) che hanno causato la crisi del settore bancario di cui oggi sentiamo spesso parlare, non certo dovuta semplicemente a funzionari corrotti e profittatori (questi ahimè ci sono sempre stati), ma al “bel” sistema economico nel quale continuiamo nonostante tutto a voler permanere.
Fonti:
http://www.programmazioneeconomica.gov.it/2017/10/05/andamenti-lungo-periodo-economia-italiana/
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