La destra di governo e il neofascismo
di IL PONTE (Luca Michelini)
1. L’irruzione dei neofascisti ai danni di un pacifico comitato comasco che si occupa di immigrazione può essere commentata anche per il comunicato ideologico-programmatico che l’ha accompagnata. Il collegamento tra idee e azione credo infatti sia utile per capire il fenomeno in questione.
Il fascismo di riferimento di questi squadristi è quello “sociale”: si tratta di un preciso richiamo all’esperienza della Repubblica di Salò, cioè quello pseudo-Stato che il nazismo di Hitler utilizzò per combattere sia gli Alleati, che stavano risalendo l’Italia, sia la Resistenza armata, sorta dopo la disfatta militare e l’8 settembre.
In che cosa consisterebbe il connotato “sociale” di questo fascismo? Se diamo un’occhiata al sito del gruppo neofascista, vediamo campeggiare la lotta alla globalizzazione, al mondialismo, all’europeismo liberale, al capitalismo “puro”, cioè quello non mediato da istituzioni e politiche “sociali” volte a debellare i confitti di classe. E vediamo il solito carosello di personaggi storicamente legati all’estrema destra per militanza e per cultura, coinvolti, per tutta Europa, in una giostra di conferenze, commemorazioni, azioni d’assalto e quant’altro.
Poiché il gruppo protagonista dell’episodio comasco era formato da giovani, vale la pena ricordare anche a costoro che il fascismo sociale nasce, nella mente dei repubblichini, da un grande “tradimento”: quello operato dalla borghesia italiana nei confronti del fascismo con e dopo l’8 settembre. È da questo tradimento che nasce l’idea di socializzare la produzione per punire, appunto, la borghesia traditrice, capace di stare ora con la Resistenza, ora con gli Alleati, dopo aver copiosamente approfittato del fascismo per un lungo ventennio.
Esiste, d’altra parte, un filone anticapitalista nel fascismo, che del resto era radicato fin nelle sue origini: Mussolini, capo dei socialisti rivoluzionari, perfino durante le azioni squadristiche si era lasciato scappare qualche intento “rivoluzionario” che alla borghesia non era affatto piaciuto, e che il nazionalismo si era incaricato di rintuzzare. Fu uno degli economisti più importanti dell’Italia, Pantaleoni, di tradizione liberal-conservatrice e sfegatato fautore dello squadrismo, a scrivere che “la finanza fascista”, che lui voleva quanto più possibile liberista e liberticida, non conteneva nulla di rivoluzionario rispetto all’ordine economico borghese.
2. Naturalmente, se i giovani neofascisti si confrontassero con alcuni degli attuali ideologi della destra, soprattutto coloro che con la Seconda repubblica hanno fatto carriera politico-istituzionale, si accorgerebbero ben presto quanto questi intellettuali “ridicolizzino” i propositi socializzatori, anticapitalistici e antiborghesi del fascismo.
Del vasto sistema economico capitalistico-globalizzato i giovani neofascisti colpiscono i più deboli: migranti e associazioni italiane a essi connessi. Perché questi giovani non hanno fatto irruzione nei santuari del capitale? Perché non cominciare dalla testa del serpente, invece che dalla coda? Perché non prendersela, anzitutto, con i cugini più stretti, cioè con quella destra italiana che, apparentemente mondatasi del neofascismo, pretende di governare la Repubblica? Perché non prendersela con quegli ex camerati che per venti anni, e ancora adesso, vanno a braccetto con i più fulgidi esponenti del capitale?
Non è solo una questione di rapporti di forza, ché è evidente che in pochi minuti un assalto squadristico in uno dei santuari del capitale finirebbe con un intervento massiccio delle forze dell’ordine. Ho il sospetto che a tanto i giovani neofascisti non si azzardino anche perché sarebbero indotti (e quanta fatica, fino a ora, per trattenersi…) a tirar fuori l’armamentario antisemita, quello, cioè, della cospirazione ebraica mondiale facente perno sulla finanza internazionale. Mentre in Europa l’antisemitismo è risorto corposo, in Italia ancora siamo agli esordi: anche se la pubblicazione recente di un celebre testo di Hitler penso abbia segnato una svolta.
Sul piano politico-paramilitare, la scelta di confrontarsi con i più deboli è molto significativa.
Il fascismo sociale è solo un frasario, come lo fu durante la Repubblica di Salò: un frasario che sottende la vera matrice dello squadrismo: che è sempre stato servo proprio di quel capitale che a parole dice e diceva di voler combattere; e ai liberali che volessero scandalizzarsi alle mie parole ricordo l’articolo di Luigi Einaudi, Il silenzio degli industriali, apparso sul «Corsera» prima che venisse fascistizzato. Certo, è un capitale particolare, “territoriale”, per così dire: non è quello internazionale e globalizzato, ma quello che tenta di resistere a questa mondializzazione, aggrappandosi disperatamente, e in forme spesso perverse, allo Stato.
Proponendo la solita reazionaria concezione dello Stato: che non deve essere espressione reale dell’intera società, ma strumento di oppressione, di ferrea gerarchizzazione delle strutture sociali, di soddisfacimento di interessi particolari e personali. Perché “integrare” l’immigrazione? Questa si autoghettizza e per costumi e per religione e senza diritti politici essa costituirà una classe lavoratrice da poter sfruttare come meglio aggrada. Una classe di schiavi deve avere connotati differenti dai padroni, deve essere o diventare una “razza” differente.
3. Con Marx e con Gramsci verrebbe voglia davvero di dirsi liberisti ultrà. È anche vero, tuttavia, che la loro posizione era quella di rivoluzionari, non di riformisti. Ed è anche vero che i loro eredi politici in Italia si sono fatti paladini di una globalizzazione che oggettivamente ha avvitato il paese in una crisi economico-sociale profondissima, senza per altro mai intaccare per davvero il potere degli avversari, cioè appunto di coloro che nello Stato, che pure a parole vorrebbero combattere per invadenza fiscale, hanno un’arma di dominio fondamentale. Obama ha istituito la sanità pubblica: in Italia, invece, il neoliberismo progressista è riuscito solamente a smantellare, passo dopo passo, lo Stato sociale. Come concepire una politica di immigrazione senza “massicci investimenti” nella scuola pubblica? Eppure proprio questo è accaduto.
Può esistere una terza via, oggi da percorrere fino in fondo, pur avendo chiari gli scenari che potrebbero renderla inconcludente: quella di ripartire da una Repubblica in grado di imbrigliare la logica del profitto e del capitalismo. Ma non per cristallizzare in modo autoritario le attuali gerarchie sociali, fondate su profonde diseguaglianze e inefficienze, ma per riprendere il cammino del progresso civile. Si tratta di riproporre una nuova stagione di intervento pubblico nell’economia e nella società in grado di ricostruire la comunità repubblicana, limitando e governando l’apertura di “tutti” i mercati: dei capitali, delle merci e della forza-lavoro. Già il fatto che dei giovani possano essere stati adescati dalle sirene del fascismo “sociale” è segno che la Repubblica ha bisogno di un repentino risveglio.
4. Dei commenti che politici e intellettuali della destra italiana dedicano alle scorribande del neofascismo italiano colpisce l’isterismo. La destra di governo condanna queste scorrerie, ma tende a considerarle banali bravate, mentre i problemi italiani sarebbero ben altri. Le condanne lasciano il posto all’invettiva articolata contro l’antifascismo e il suo perno politico-culturale, cioè la sinistra. Per la destra antifascismo significa filocomunismo. Così finisce per condannare tutti gli estremismi, sia di destra che di sinistra. La distinzione dal fascismo alla fine dell’invettiva anti-estremistica rimane come strozzata in gola. Pochi cenni e poi la frase fatidica: «ma comunque tutti hanno il diritto di dire la propria opinione».
Qual è la radice di questo isterismo? Per rispondere, è necessario rimarcare che la destra di governo ha una difficoltà di fondo. Stenta a compiere un’operazione molto semplice: quella di elencare in modo didascalico, didattico, quali siano i punti fondamentali del “proprio” antifascismo.
È però necessario andare più a fondo nell’analisi. Qual è il motivo per cui è così difficile per la destra argomentare il proprio antifascismo? La difficoltà risiede nel fatto che destra di governo e fascismo hanno un punto in comune: l’inizio. E questo inizio sono le ragioni della “reazione”. Destra di governo e fascismo, in altri termini, negano alla radice che sia possibile un salto di sistema socio-economico e sono per “l’ordine costituito”.
5. Sarebbe però imprudente ritenere che questa negazione riguardi le sue forme: non è tanto contro la rivoluzione, e dunque contro la violenza rivoluzionaria, che i reazionari si oppongono. Prima ancora che ai rivoluzionari essi si oppongono in modo frontale, radicale, fino ad arrivare appunto alla violenza squadristica, al cambio di sistema in via pacifica, graduale, riformista. Non è con Antonio Gramsci che polemizzavano i nazional-fascisti nei primi anni venti: era con Filippo Turati. Non erano gli estremisti dell’Ordine Nuovo di Torino, cioè coloro che tentavano di esportare in Italia il movimento dei Soviet, gli intellettuali da prendere di mira. Anzi, essi esasperavano opportunamente lo scontro, creando i presupposti per “lo stato d’eccezione”, per le “leggi speciali”, appunto per la reazione. Gli obiettivi polemici della destra erano invece i dirigenti di quel movimento socialista che, in un quarantennio di durissime lotte (dal 1882 al 1920), avevano contribuito, trovando sponda in una parte (minoritaria) del liberalismo italiano, a tirar fuori l’Italia dall’inciviltà.
Naturalmente il contenuto del “salto di sistema” è cambiato con il tempo, così come la reazione. Un tempo significava semplicemente la nascita di una Repubblica, la guerra a nobili e monarchi e al potere temporale della chiesa. Il salto venne identificato con l’idea di ripartire la proprietà terriera, che di tutto era frutto tranne che del lavoro o dell’imprenditorialità. Poi fu la volta del diritto di sciopero e dell’organizzazione sindacale. Venne quindi la volta della cooperazione. Poi toccò ai municipi. Poco alla volta si fece strada l’idea di servizio pubblico e dunque il programma di dare cure mediche (sanità) e intellettuali (scuola) indipendentemente dal censo d’appartenenza. Si arrivò all’idea che anche la magistratura dovesse sottrarsi alla logica delle classi dominanti. L’elenco potrebbe continuare a lungo e costituirebbe l’antecedente storico di tutto ciò che ha tentato di codificare in termini di astratti principi programmatici la nostra Costituzione repubblicana.
6. Ma non mi sottraggo: alla fine tale elenco arriverebbe anche al vero e proprio salto di sistema. Ma attenzione: troppo facile sarebbe intenderlo alla moda dei bolscevichi, cioè nella forma della presa del Palazzo d’Inverno e dell’avvio di un processo di cambiamento di sistema incardinato sulla violenza rivoluzionaria. Troppo facile sarebbe e sarebbe anche pericoloso sul piano argomentativo: perché non è infondato affermare che il bolscevismo fu il portato di una catastrofe ancora maggiore, cioè quella della Prima guerra mondiale. Ammesso e non concesso che le categorie care alla destra di governo abbiano una reale capacità euristica, il “libro nero del comunismo”, insomma, è “parte integrante” di un libro nero assai più vasto: quello del capitalismo imperialista.
Il salto di sistema a cui alludo è però ben diverso: è quello, infatti, che avrebbe potuto essere il portato “naturale” delle cose: cioè di una profonda trasformazione che stava subendo l’economia capitalistica. Pervasa, da un lato, da crisi sistemiche sempre più violente e, dall’altro lato, dal connesso accrescimento dell’intervento pubblico nell’economia e nella società. Come dimenticarsi che gran parte dell’intellettualità di destra, financo fascista, e anche quella liberal-democratica anticomunista o acomunista, affrontò, dopo la crisi del ’29, il tema della nascita di un nuovo sistema economico che, per la forza delle cose e non delle ideologie o dei partiti, rappresentava una cesura rispetto al capitalismo liberal-liberista? È il salto di sistema che in Italia si prospettava a metà anni settanta quando il Pci stava per ritornare al governo con la Dc. Non si sarebbe trattato di un governo qualsiasi, ma di un governo che controllava il più vasto e dinamico (almeno in alcune sue componenti) Stato imprenditore dell’Occidente. La Costituzione italiana contiene i principi fondamentali perché un salto di sistema sia possibile e al tempo stesso che con esso vengano mantenute e rafforzate le libertà tipicamente borghesi.
7. La destra di governo, in generale tutto il pensiero conservatore, non ammette né sul piano teorico né sul piano della pratica di governo, che sia possibile un cambio di sistema. E a questo si oppone con ogni mezzo: anche con la reazione. Questo è il punto in comune che ha con il fascismo.
Il fascismo, naturalmente, segue poi la sua strada, che diverge da quella del più vasto mondo della reazione. Gli esempi sono numerosi: i reazionari cattolici a un certo punto si accorgeranno che il nazismo non ammetteva come razionale il compromesso tentato dal fascismo. Hitler non sopportava alcuna limitazione del proprio potere. Il totalitarismo aspira, come i cattolici, alle coscienze. Non basta obbedire. Bisogna credere e pure sinceramente. I reazionari sono travolti dai fascisti, quando non vi confluiscono. Da strumento, da movimento, i fascisti prima o poi diventano partito e poi regime.
La timidezza della destra di governo nell’affermare un proprio antifascismo risiede in una radice comune che ha proprio con il fascismo: quando verrà il tempo della reazione, la destra avrà bisogno di un braccio armato da utilizzare strumentalmente.
È proprio questa ben studiata timidezza che, d’altra parte, segna il destino della destra reazionaria: inevitabilmente travolta da coloro che presume di poter utilizzare.
Fonte: http://www.ilponterivista.com/blog/2017/12/07/la-destra-governo-neofascismo/#more-2401
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