Quella piccola Italia che non fa crescere le piccole imprese
di GUSTAVO PIGA
Dal 22 al 24 novembre scorso si è svolta, quest’anno a Tallin, la consueta settimana della piccola impresa. In tale occasione la Commissione europea presenta l’importante rapporto (anche questo annuale) sulle PMI europee, che contiene gli allegati con l’approfondimento sulla valutazione per ogni Stato membro delle politiche adottate al riguardo delle proprie piccole e medie imprese e del loro stato di salute. La lettura dell’analisi del Fact Sheet sull’Italia non può che destare grave preoccupazione e i dati in esso contenuti dovrebbero suscitare un dibattito nazionale ben più ampio di quello che (non) leggiamo sui giornali.
La contraddizione fondamentale dalla quale il nostro Paese sembra incapace di estricarsi è nota: come può un Paese tanto dominato dalle piccole imprese non aiutarle a crescere? Come può non adoperarsi per rimuovere le barriere che le ostacolano? Rispondere a queste domande equivale ad andare alla radice dei mali della mancanza di competitività del nostro Paese rispetto a quella di altre nazioni con le quali ci paragoniamo frequentemente e con crescente dose di frustrazione.
Alcuni dati mettono in luce il nostro “tesoro” e quanto sia abbandonato. La percentuale di valore aggiunto proveniente dalle PMI è di due terzi, che va paragonata al 56.8 % medio della UE, con un 78.6 % dell’occupazione che proviene da queste, contro i due terzi UE. Tuttavia, tra il 2012 ed il 2016 le PMI italiane hanno visto contrarsi del 4.3% l’occupazione (26,1% nel solo settore delle costruzioni), contro la crescita del 3.7% delle grandi imprese. Malgrado la ripresina del 2016, l’occupazione nelle PMI è ancora del 12.9% inferiore al livello del 2008.
Vero è che viene riconosciuto ai vari Governi italiani di essersi impegnati, dal 2012, in una strategia di sviluppo mirata a incrementare il numero di imprese innovative, le c.d. start-up: a metà luglio del 2017 queste risultavano essere 7.480. Ancora poche rispetto agli standard europei, ma soprattutto un numero infinitesimale rispetto al numero complessivo di PMI presenti in Italia, pari a più di 3,7 milioni. Evidentemente non possiamo accontentarci di una politica delle PMI per lo 0,2% di esse e la domanda che sorge spontanea è: cosa è stato fatto sinora per il rimanente 99,8%?
La risposta che la Commissione europea consegna agli atti è chiarissima: poco, visto che sono solo 6 gli stati membri dove le PMI non hanno ancora ritrovato la performance pre-crisi su tre indicatori chiave come numero d’imprese, occupazione e valore aggiunto: Croazia, Cipro, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. Non è vero che “niente” è stato fatto: sul tema dell’imprenditorialità, ad esempio, si riconosce che all’interno delle scuole, ai livelli di istruzione secondaria, grazie alla riforma scolastica, e con lo strumento oggetto di recenti polemiche della scuola-lavoro, ci si è migliorati, avvicinandosi agli standard medi europei.
Mentre le buone notizie si distillano col contagocce, la penna rossa per l’Italia è usata pressoché su qualsiasi tematica si voglia valutare lo sforzo prodotto per aiutare il sistema nazionale delle PMI. Si spazia dal settore creditizio, in cui la relazione tra il costo per piccoli e grandi prestiti si è continuamente allargata dal 2008 a svantaggio delle piccole imprese, alle politiche ambientali dove l’Italia è tra i tre peggiori stati membri quanto a supporto pubblico alle PMI per misure di efficientamento o per la produzione di prodotti “verdi” con un calo di tutti gli indicatori dal 2013 al 2015, alla crescente mancanza di una “seconda possibilità” per piccoli imprenditori onesti che hanno conosciuto in precedenza il fallimento. Nessun miglioramento poi dal Codice degli appalti dove, tra ritardati pagamenti e scarsa percentuale di appalti affidati alle piccole (20% in Italia, 29% altrove nell’UE), si potrebbe invece annidare una fonte essenziale di ossigeno per la ripresa di moltissime PMI italiane.
La ragione di tutto ciò? E’ facile rintracciare questa mancanza di successi nell’assenza di un disegno organico a supporto della PMI, tanto più stridente quando si considera la loro rilevanza all’interno della nostra economia. E’ la stessa Commissione a ricordare come l’obbligatoria legge annuale per le PMI, prevista dallo Statuto delle Imprese del 2011, sia ancora – scandalosamente – da attuarsi per la prima volta. E’ prevista, annuncia la Commissione, la relazione del Garante delle PMI per il 2018. Sul sito del Ministero dello Sviluppo italiano è rintracciabile solo quella del 2014, segno inequivocabile del perché il rapporto europeo 2017 condanna senza troppi giri di parole un’Italia che non protegge né valorizza il suo tesoro.
Fonte:http://www.gustavopiga.it
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