La premessa spiega che le diverse analisi “convergono nel descrivere un quadro di miglioramento”, in cui “fattori di fondo – demografici e sociali dal lato dell’offerta di lavoro, di selezioneinterna e risposte ai mutamenti tecnologici e della globalizzazione dal lato delle imprese – e fattori di più breve periodo (espansione ciclica mondiale e politiche economiche) concorrono a una ripresa economica caratterizzata da una elevata intensità occupazionale”. I numeri però dipingono un quadro in chiaroscuro: il numero degli occupati “si avvicina ai livelli del 2008“, poco meno di 23 milioni, ma “in termini di ore lavorate il divario è ancora rilevante”: quasi il 6% in meno. Conseguenza diretta del calo dell’attività produttiva e dell’incremento dei posti a tempo parziale.
E il tanto rivendicato “effetto Jobs Act“? Nel 2015 e 2016 gli sgravi contributivi per le assunzioni stabili – che peraltro non sono parte della riforma del lavoro, l’hanno solo accompagnata – hanno fatto “crescere significativamente” l’occupazione a tempo indeterminato, ma non tanto da riportarla al massimo storico fatto segnare prima della crisi. Come emerso da tempo, poi, la ripresa occupazionale ha beneficiato soprattutto i lavoratori senior: il tasso di occupazione dei 15-34enni risulta tuttora del 10,4% più bassorispetto al livello del 2008, a fronte di un aumento di 16 puntiper i 55-64enni e di 1,5 punti per i 65-69enni. “Negli ultimi due anni, tuttavia”, si legge nel documento, “la condizione dei giovani mostra segnali di miglioramento: dopo otto anni di calo, il tasso di occupazione dei 15-34enni torna a crescere nel 2015 e
soprattutto nel 2016 (+0,1 e +0,7 punti), in particolare per 25-29enni”.
Nel frattempo però sono progressivamente aumentati i rapporti di lavoro in somministrazione, gli ex interinali. Assunti dalle Agenzie per il lavoro, che li inviano “in missione” nelle aziende che richiedono i loro servizi. I loro contratti, mettono nero su bianco ministero, Inps e Istat, sono sempre più brevi. “L’incidenza dei contratti di breve durata sul complesso risulta in crescita”, si legge, “dal 56% del 2012 al 58% del 2016. La loro durata media prevista è progressivamente diminuita passando da 13,8 giorni nel 2012 a 11,7 giorni nel 2016. Più dettagliatamente, se nel 2012 le attivazioni con durata prevista inferiore ai 6 giorni erano pari al 55,2% del totale delle attivazioni brevi, nel 2016 passano al 58,5%“.
Una crescita “quasi totalmente imputabile alle attivazioni che prevedono una sola giornata, la cui incidenza cresce di quasi 3 punti percentuali dal 30,5% al 33,4%”. Al contempo, “si comprime sensibilmente la quota di attivazioni di breve durata che superano le 31 giornate previste: dal 16,2% al 12,7%”. Si noti che non si tratta (più) solo di giovani alle prime armi: se gli under 25 e i 35-44enni sono i più numerosi, “nel corso del quinquennio è cresciuta l’incidenza relativa degli individui con più di 45 anni” ed è “più che raddoppiato il numero di lavoratori over 55 interessati da contratti di somministrazione di breve durata”.
Tra 2012 e 2016, nota infine il Rapporto, i lavoratori con rapporti di breve durata sono saliti da 3 a 4 milioni. In forte crescita soprattutto i voucher, poi aboliti lo scorso anno, i rapporti di lavoro a termine, i rapporti di somministrazione e i professionisti autonomi o parasubordinati. Il valore economico dei lavori brevi, misurato sulla base delle retribuzioni e dei redditi imponibili, è salito dai 9,7 miliardi nel 2012 ai 12 miliardi nel 2016.
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