Il nuovo anno sarà determinante per le sorti del bel Paese. Il 2018 si apre con le elezioni politiche e le “nuove” coalizioni dai vecchi volti, dove ‘rinnovamento’ non risulta essere una parola ben assimilata dalla classe dirigente italiana. In sintesi, si ripete l’ennesima solfa pseudo-rivoluzionaria, dove ogni partito o forza politica resta convinta della propria superiorità morale, negando qualsiasi forma di cooperazione. I partiti che propugnano (almeno a parole) una lotta contro l’austerity, la flessibilità, l’egemonia dei privati, schierandosi a favore dell’uscita dall’eurozona non comprendono che, almeno lontanamente, magari può esistere una comunanza d’intenti, al di là delle divergenze culturali e politiche, per raggiungere gli obiettivi auspicati.
Grandi mutamenti hanno caratterizzato l’anno appena trascorso, sia in seno al centro-sinistra, sia al centro-destra. Scissioni fatali potrebbero segnare vecchie formazioni politiche e alimentare quelle nuove. Vecchi dinosauri sono stati resuscitati nell’incapacità, della classe dirigente odierna, di ricompattare le energie oramai disperse. Questo 2018 si presenta, almeno per il momento, come un’interessante sintesi fra vecchio e nuovo, ma anche come un punto interrogativo il cui mistero verrà dissipato all’indomani delle elezioni del 4 marzo. Nell’attesa di questa data, può risultare utile comprendere la galassia degli schieramenti in campo:
• Movimento 5 Stelle. Risultava abbastanza ovvio che il M5S corresse in solitaria e si proponesse come punta di diamante nello scacchiere delle elezioni politiche, soprattutto di fronte alla possibilità di dare un ultimo colpo di grazia elettorale ai democratici in Parlamento (PD), ormai stimati in perdita anche dai sondaggi (M5S viaggia intorno al 27%, PD intrìorno al 20%). Le intenzioni del candidato premier, Luigi Di Maio, restano un mistero, dal momento che costui ha più volte espresso pareri contrastanti sulla possibile uscita dell’Italia dall’euro (punto essenziale del programma dei 5 Stelle);
• Alleanza centro-sinistra/liberali. In primis figura il Partito Democratico guidato da Matteo Renzi, che esce letteralmente dissanguato da uno scontro fra l’ala “toscana” e quella attualmente fuoriuscita, guidata da D’Alema, Roberto Speranza, Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani. Fra gli alleati della fazione democratica vi è Civica Popolare, lista guidata dalla ministra della salute Beatrice Lorenzin (ex PDL e attualmente in Alternativa popolare di Alfano) e Lista + Europa guidata da Emma Bonino, la quale tuttavia sta attraversando un malinteso coi democratici (che potrebbe portare a una rottura). Di fronte all’abbandono dell’area progressista, il PD non poteva che fare appello agli alleati ormai “naturali”, i liberali e amici di Bruxelles dell’excentro-destra e del centro-sinistra;
• Centro-destra. Sotto l’ala protettrice della storica figura del Cavaliere, Silvio Berlusconi, il centro-destra sembra essere tornato alle radici e a una forma pressoché tradizionale, guidata dal partito di riferimento, Forza Italia. A seguire quest’ultimo vi sono la Lega di Matteo Salvini che, liberatasi dell’aggettivo “Nord”, ritiene di poter raccogliere il consenso dei pochi meridionali creduloni e fiduciosi dell’operato leghista ancora in circolazione, oltre all’elettorato padano. Nella coalizione sono inclusi anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, Noi con l’Italia di Raffaele Fitto, l’Udeur di Clemente Mastella ed Energie per l’Italia di Stefano Parisi;
• Alleanza centro-sinistra “dissidente”/sinistra democratica. L’ex magistrato e senatore fuoriuscito dal PD, Pietro Grasso, ha deciso di ricompattare tutti i progressisti fuoriusciti dal PD, in particolare Articolo 1/Movimento Democratico e Progressista (di ispirazione D’Alemiana), Sinistra Italiana e Possibile di Civati. Abbiamo, dunque, un centro-sinistra che afferma di essere quello vero, relativamente a uno giudicato come “falso”. E’ una lista che afferma di avere, quale priorità, il recupero e la tutela del lavoro, dunque dei diritti sociali. Occorre tuttavia capire quanti, fra i deputati fuoriusciti del Partito Democratico, siano stati realmente contrari nel momento dell’approvazione del Jobs Act, ma soprattutto comprendere quanto questa scissione non sia, piuttosto, una vendetta di alcuni esponenti dem un tempo amici e concordi con l’operato renziano;
• Lista del Popolo, socialisti ed euroscetticismo. Su posizioni inclini all’euroscetticismo e al patriottismo abbiamo questa lista, ovvero l’unione d’intenti di due esponenti politici, provenienti da aree culturali differenti: da un lato, Pietro Ingroia, magistrato ed ex candidato della Lista Rivoluzione Civile durante le elezioni politiche precedenti e Giulietto Chiesa, noto giornalista e saggista del panorama intellettuale italiano;
• Potere al Popolo, sinistra radicale/Comunisti. Su iniziativa del centro sociale napoletano Je so Pazzo, nasce Potere al Popolo, un esperimento d’intesa, un tentativo di unione fra le svariate anime a sinistra del PD, con l’obiettivo di rafforzare e riunire una sinistra radicale partitica e una più “urbana” e antagonista, i cui temi principali siano il lavoro (riportare in auge il contratto a tempo indeterminato e ripristino dell’articolo 18) e la messa in discussione dei trattati di Bruxelles. Sulla questione euro, le posizioni non sono ancora chiarissime e la base del movimento auspica che questa forza politica non esaurisca la propria spinta propulsiva dopo le elezioni del 2018, come in tanti sospettano;
• Fra le altre forze in campo vi sono Rinascimento di Vittorio Sgarbi e Casapound con Simone Di Stefano.
Si tratta di schieramenti che, almeno attualmente, non risultano mutati. E’ ancora presto per elaborare una stima sul possibile vincitore; sebbene, da un lato, il PD probabilmente perderà elettori, è indispensabile capire se l’infelice scelta di Di Maio, quale candidato premier del M5S, convincerà sufficientemente la base del movimento. Di fronte a un centro-sinistra sgretolato e all’avanzata dei penta-stellati, Berlusconi potrebbe raccogliere i voti di quei moderati progressisti disillusi che temono la deriva anti-politica dell’Italia e che non guardano con fiducia al “nuovo” centro-sinistra di Liberi e Uguali.
Quale sarà l’esito di queste elezioni? Lo scopriremo soltanto dopo il 4 Marzo. Per quanto ci riguarda, questi o quelli per noi pari sono, considerato che nessuno vuole davvero eliminare lo stato di asservimento coloniale a cui l’UE e l’euro hanno condotto l’Italia. Credendo fermamente nel valore della sovranità popolare invitiamo i nostri lettori a partecipare al gioco elettorale, perché gli assenti hanno comunque torto. Una pernacchia vergata sulla scheda è per noi il miglior modo d’esprimere il dissenso stante la generale e avvilente mediocrità del panorama politico. Chi vuole voti secondo coscienza o inclinazione; noi non abbiamo padrini per padroni né tantomeno pecoroni per lettori.
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