Il populismo thatcheriano di Emma Bonino, vessillo del Pd alla deriva
di L’ HUFFINGTON POST (Stefano Fassina)
Oggi, a Roma, è la giornata di lancio del Pd+Europa. Il messaggio all’Italia è stato anticipato da una lunga intervista, giovedì scorso, di Emma Bonino al direttore de Il Sole 24-Ore. L’incipit è solenne e prepara i lettori all’incontro: “Parla al cervello e non alla pancia in una campagna elettorale di promesse che sono un’offesa all’intelligenza degli italiani”. Purtroppo, alla fine della lettura, arriva lo sconcerto: la Emma superstar della “nostra credibilità per restare nel gruppo di testa della Ue” esprime un populismo di portata maggiore, ma di segno diverso, di quello quotidianamente attribuito ai leader degli schieramenti in competizione con il Pd. Come e più di questi ultimi, parla anche lei alla pancia del Paese, ma a quella piena. È un populismo thatcheriano. E indica senza sfumature che +Europa continua a essere la strada maestra per svalutare il lavoro, eliminare il welfare e portare avanti gli interessi forti dell’Italia in dipendenza dalla Germania.
Emma Bonino si cimenta sul terreno della finanza pubblica senza la minima consapevolezza dei numeri e del senso delle sue affermazioni. Per ridurre il debito pubblico, propone “di congelare la spesa pubblica primaria in termini nominali al livello 2017 per tutta la durata della prossima legislatura. Così facendo il bilancio andrebbe in pareggio già nel 2019. Il debito pubblico scenderebbe tra 5 anni sotto il 110% del Pil, contro l’attuale 132.” Difficile ritrovare tali dosi di demagogia in Salvini, Di Maio, Berlusconi o Renzi. La lettura dell’ultima Nota di Aggiornamento al Def (Tabella pag 46) è sufficiente a cogliere la dimensione della realtà. Nel quinquennio di fronte a noi, la spesa pubblica primaria è già prevista sostanzialmente ferma in termini nominali, eccetto la spesa pensionistica. A causa del rinnovo, dopo quasi un decennio, dei contratti del pubblico impiego sale di circa 5 miliardi la spesa per il personale. Altrettanto, alla fine del periodo considerato, la spesa sanitaria. Sono aumenti nominali che, in termini reali, ossia al netto dell’inflazione, implicano una rilevante contrazione (quasi 1 punto percentuale di Pil, circa 20 miliardi per ciascuna voce a fine prossimo quinquennio). Già a legislazione vigente, la spesa programmata presuppone l’estensione del blocco semi totale del turn-over e l’ulteriore smantellamento della Sistema Sanitario Nazionale. L’unico incremento significativo della spesa primaria previsto nel Def, nonostante le mazzate delle “riforme” Berlusconi-Lega prima e Monti-Fornero poi, è per le pensioni: aumentano di circa 8 miliardi all’anno. Quindi, per bloccare le uscite in termini nominali, sarebbe necessario un abbattimento di circa 40 miliardi all’anno. Un obiettivo da far rimpiangere il Governo Monti: si dovrebbe innalzare ancora più velocemente l’età di pensionamento e congelare l’indicizzazione anche delle pensioni al minimo. Anche per gli investimenti pubblici, lo scenario Pd+Europa tratteggiato dalla Bonino è già programmato dal Def (nonostante il Ministro Padoan, in versione keynesiana per la campana elettorale, sostenga il contrario).
In sintesi, la cura Pd+Europa sarebbe la fine del welfare. Ma con quali effetti sull’obiettivo ultimo della riduzione del debito pubblico? Impennata, prevedibilmente fino al default, a causa di una profonda e perdurante depressione. Qui, per tentare il ribaltamento della realtà, il livello di ideologia e demagogia è inarrivabile. Oltre alle privatizzazioni a tappeto delle residue imprese pubbliche e dei servizi pubblici locali (puntano intanto a colpire l’Atac a Roma), si ripropone, come nelle chiacchiere al bar, ma parla una statista sul giornale dell’establishment economico italiano, il principio del “buon padre di famiglia”. Keynes 80 anni fa ne ha definitivamente spiegato la fallacia, riconosciuta, dopo il decennio di austerità devastante alle nostre spalle, anche dal Fondo Monetario Internazionale. L’esempio del Governo Monti è ancora fresco: il risultato di una manovra di 50 miliardi è stato un aumento di quasi 10 punti del debito sul Pil. È sempre “colpa” dei moltiplicatori: come indica una copiosa messe di analisi empiriche, quelli della spesa sono circa tre volte quelli delle entrate. In verità, il programma Pd+Europa è così sgangherato che non serve richiamarli. Infatti, la Bonino, a differenza dell’accoppiata Berlusconi-Salvini, non punta alla riduzione delle tasse: compensa la riduzione delle imposte sul lavoro, con l’innalzamento dell’aliquota intermedia dell’Iva. È una soluzione indubbiamente coerente con il mercantilismo tedesco inseguito dal Pd+Europa: si migliora la competitività fuori casa attraverso la svalutazione del lavoro (effetto della riduzione del prelievo fiscale e dei tagli al welfare), senza ripercussioni derivanti dall’aumento dell’IVA che, come noto, per l’export è quella del Paese di vendita, non quella del Paese d’origine.
Infine, ma non poteva mancare per sistematicità ideologica e funzionalità operativa, la declinazione neo-corporativa del sindacato, un tempo generale, attraverso la CISL interpretata da Marco Bentivogli.
In tale contesto, l’endorsement di Romano Prodi al cosiddetto “centrosinistra” incardinato nel Pd+Europa è un attestato di merito: indica che, tra mille limiti e contraddizioni, la sinistra con Liberi e Uguali incomincia a rialzare la testa, vira sull’europeismo costituzionale (lo descriviamo in “Controcorrente”, un libretto a più mani, curato dal sottoscritto per Imprimatur Editore), dopo una lunga stagione di subalternità all’europeismo liberista, attuato in Italia nella versione compassionevole del cattolicesimo liberale di Andreatta e dei suoi allievi ulivisti.
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