Ieri ho avuto il piacere di commentare nel corso di una serata al circolo Canova il libro di Caringella e Cantone (presidente dell’Autorità Anti Corruzione) “La Corruzione spuzza” vincitore del premio come miglior libro economico finanziario del 2017. Ecco il testo del mio intervento.
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Più di 5 anni sono passati dal 6/11/2012, quando fu approvata la legge 190 anti-corruzione. Se l’Europa dopo 5 anni del noto Fiscal Compact chiede che se ne faccia un bilancio per decidere se e come migliorarlo, ritengo non debba suscitare perplessità auspicare che in Italia si apra un dibattito di analoga portata per la nostra notissima legge anticorruzione. Questo libro di Raffaele Cantone e Francesco Caringella rappresenta a mio avviso la migliore piattaforma possibile per avviarlo.
Di spunti per fare un primo bilancio ve ne sono a decine in questo libro e veramente ci vorrebbero ore per discuterli tutti. Mi concentro allora su quello che ritengo essere un paradosso della situazione italiana, e che come tutti i paradossi ha un alto potenziale di stimolare dibattito e sollevare punti interrogativi e, sperabilmente, nel tempo, risposte adeguate.
Questo paradosso parte dai sondaggi sulla corruzione, citati nel libro. 2017, Demos: “i cittadini dicono che la corruzione politica sia aumentata da Tangentopoli”.
Io, e gli autori, non siamo d’accordo. Ma non un po’, tanto non siamo d’accordo. E’ semplice spiegare il perché. Un Paese che porta il suo Parlamento a passare una legge anticorruzione di questo tipo, che vi aggiunge un’altra legge fondamentale sui whistleblowers, i testimoni di corruzione, che crea e dà poteri operativi ampi ad una nuova Autorità Anti Corruzione, non è un paese nemmeno lontanamente paragonabile a quello di 25 anni fa.
Eppure qualcosa non torna. Come è possibile che circolino esiti nei sondaggi di questo tipo?
La questione non è di poco conto, investe le credibilità della lotta delle nostre istituzioni, rischia di indebolirla se non l’affrontiamo. Una risposta va cercata.
Un primo tentativo potrebbe essere quello di derubricare i sondaggi a inutili esercizi, e ad affidarci al parere di opinion-makers di un qualche rilievo. Ma anche qui il paradosso permane, anzi si allarga, come è ben documentato dagli autori. Faccio solo qualche citazione, tratta dal libro.
Curzio Maltese per esempio afferma “ai tempi di tangentopoli si rubava sulla realizzazione di opere pubbliche necessarie, oggi s’inventano e si progettano opere pubbliche non necessarie per rubare”. Confermando l’apparente peggioramento.
Affermazione temeraria. Quali prove possiede Maltese per confermare questa sua apodittica affermazione? Nessuna. Ma forse non è colpa di Maltese.
Continuo. Entrando nello specifico di un settore della società italiana considerata in un capitolo del libro degli autori, l’università.
Salvatore Settis: “la pratica del barone che vuol portare in cattedra il candidato del posto non conosce quasi eccezione. Non si va lontano dal vero se si suppone che queste facili vittorie (dei candidati locali) vanno oltre il 90%. Situazione senza paralleli nei Paesi con cui l’Italia dovrebbe compararsi.” Mie le sottolineature.
Emiliano Fittipaldi: “al netto delle eccellenze e dei tanti onesti, è sempre più diffuso (nell’università) il morbo del familismo, della raccomandazione e del corporativismo”.
Sapete cosa provo nel leggere queste affermazioni? Da un lato sgomento, per la povertà dell’analisi, dall’altro indignazione per il tentativo maldestro di fare di tutta l’erba un fascio. Nel mio Dipartimento di Economia e Finanza, premiato dal MIUR poche settimane fa come Dipartimento eccellente, abbiamo fatto chiamate di giovani eccezionali, strapieni di pubblicazioni di qualità. E i nostri laureati trovano lavoro rapidamente, quelli che decidono di fare ricerca entrano nei migliori programmi di dottorato al mondo, quando decidono di non entrare nei tantissimi programmi di dottorato italiano di altissimo livello. Così per il nostro Dipartimento di Matematica, primo in Italia, tra i primi in Europa.
Mi direte qual è il problema, perché mi scaldo tanto. Il problema c’è eccome. Io persone che fanno queste affermazioni vorrei tanto ricordargli il danno che mi procurano. Perché se io sono impegnato in una campagna per attrarre i migliori studenti nelle lauree triennali che abbiamo nel mio ateneo, frasi di questo tipo rendono il mio lavoro molto più duro, ve lo assicuro.
E’ quello a cui accennano gli autori quando giustamente ricordano come “Anche pochi episodi corruttivi possono produrre un danno d’immagine e rischiano di incrinare l’alleanza virtuosa tra i cittadini tenuti al rispetto della legge e degli uomini che di questa legge sono i tutori istituzionali”.
E’ verissimo. Ma cosa dire allora di una narrativa apodittica che danneggia in maniera sproporzionata rispetto al fenomeno reale? Beh qualcosa su come funziona e cosa la nutre, questa narrativa, lo sappiamo, dai sociologi. Che parlano del negativity bias, per il quale è più facile ricordare le cose brutte che quelle belle (trip advisor docet), e del confirmation bias (cerco solo quello che voglio trovare) e del effetto bandwagon che allinea un crescente numero di persone a diffonderla, generando mancanza di fiducia e fuga.
E quindi la domanda diventa: come possiamo arginarla, questa narrativa? Una domanda essenziale per capire come aiutare tanti altri a restare, a non mollare e a contribuire a rafforzare il nostro Paese nel nome di una fiducia reciproca tra i tantissimi cittadini onesti e le tantissime istituzioni che lavorano senza mai essere attratte dalla corruzione.
“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura.” Arte della guerra, Sun Tzu.
Per conoscere il nemico bisogna capire: di cosa si nutre questa narrativa? Per me è chiaro. Ed è chiarissimo agli autori, che citano la questione meritoriamente sin da subito nel loro libro. Non abbiamo dati.
“I dati della corruzione sono a oggi indeterminabili e in attesa dell’individuazione di indicatori più precisi non si può e non si deve orientare solo su di essi un’attività di contenimento”.
Eppure è questa mancanza di dati che permette al partito degli apodittici di prosperare e danneggiare il Paese. Ed è la mancanza di dati che rende più difficile per l’Autorità ed altri attori istituzionali preposti individuare dove sono le aree di rischio con precisione e concentrare i controlli e, a valle, comminare eventuali sanzioni.
Eppure la questione a volte si fa ancora più complessa. Non sempre questi dati non esistono. Ci sono, ma non vengono dati alla comunità scientifica. Il caso più eclatante riguarda il lavoro di tre economisti, Bandiera, Prat, Valletti, (affiliazioni) che hanno pubblicato quello che ad oggi rimane ed è da tutti considerato il lavoro empirico più importante al mondo sugli appalti pubblici, sull’American Economic Review, nel 2009. Lavoro che utilizzava una banca dati unica al mondo del Ministero dell’Economia e delle Finanze sui prezzi tutti gli appalti di beni e servizi e mostrava come gli sprechi in tale settore così strategico ammontassero a 30 miliardi, 2% di PIL (stima minima, aggiungeteci lavori pubblici e sprechi di quantità e arriverete al 3%)! Altro che il miliardo che cerca disperatamente Padoan ad ogni finanziaria… E come hanno ottenuto questa banca dati su cui hanno lavorato per circa 3 anni? Per sbaglio. Il dirigente di allora del MEF inviò il mega file excel preziosissimo via mail, mai pensando che avrebbe fatto questa gloriosa fine.
La cosa che mi lascia però costantemente perplesso, una volta usciti i dati fuori, è perché questi 3 ricercatori non vengano assunti in pianta stabile dal MEF, strapagati, per aggiornare costantemente la loro metodologia e fornire preziosissimi suggerimenti al MEF stesso, alla Consip ed al team della spending review per identificare e sanzionare gli spreconi.
Spreconi che, ed ecco la ragione per cui lo studio è diventato così famoso, sprecano l’83% delle volte per … incompetenza ed il 17% per corruzione.
Questo della fonte degli sprechi è un tema caro anche agli autori del libro, che ad esempio sottolineano per il caso British Gas: “non ci sono fatti di corruzione ma l’inefficienza di una burocrazia che spesso a causa di regole contraddittorie e incomprensibili, appare incapace di dare risposte chiare e in tempi certi.” E ancora: “Il problema della sanità non è quindi un problema di autisti ma di macchina. Una macchina che spende male e produce poco”.
E’ importante che si investano risorse in dati per evidenziare quanta corruzione effettivamente vi sia e quanta incompetenza e dove ognuna di loro si annida. Perché, primo, sono due problemi certamente diversi che si combattono in modo diverso. Secondo, perché, come dicono gli autori, combattere l’incompetenza aiuta a combattere la corruzione: “L’incompetenza non è solo un problema tecnico, ma pone una questione etica di portata colossale: il sapere è una ricchezza, uno scudo contro la tentazione dell’immoralità e le sirene dell’ambizione”.
Rimangono valide sempre le parole di Cicerone nel processo a Verre, corrotto Governatore della Sicilia:
«In questi abusi sfrenati di uomini scellerati, nella lamentela quotidiana del popolo romano, nell’ignominia del sistema giudiziario, nel discredito dell’intera classe senatoria, ritengo che questo sia l’unico rimedio a così tanti mali: uomini capaci e onesti abbraccino la causa dello stato e delle leggi».
E’ dunque fondamentale la conoscenza sugli sprechi e della loro composizione, perché permetterà di far fiorire una narrativa diversa, più precisa, più costruttiva di quella che permea erroneamente la realtà odierna, arrestando l’emorragia di fiducia che questa genera.
Sono appena rientrato da Bruxelles ieri dove al Parlamento europeo è stata ribadita, in una giornata solo a questa dedicata, l’importanza assoluta di investire nei dati per combattere gli sprechi pubblici, ovunque, non solo in Italia.
L’Italia ce la può fare, come chiudono gli autori, ce la sta facendo e l’Anac non merita solo un po’ più di benevolenza, come chiedono gli autori, ma più dati, che dimostrino a tutti quanto essa sta crescendo assieme al nostro Paese, contribuendo a un domani migliore per le attuali e future generazioni.
Ma per avere questi dati bisogna investirci sopra, con uomini e donne capaci ed onesti, e ne abbiamo tantissimi. Ma per favore, assumiamoli e strapaghiamoli, perché per 1 euro che gli diamo, ce ne restituiscono 100, assieme a tanta tanta fiducia.
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