MILANO – La Gran Bretagna, patria delle liberalizzazioni, ci sta ripensando: non è detto che affidare pubblici servizi alle imprese private sia una soluzione che faccia bene alle tariffe pagate dai consumatori e faccia risparmiare le casse pubbliche. Qualcuna ha funzionato, come nel caso delle tlc, altre si stanno rivelando un fallimento. Il dibattito è in corso da almeno due anni. Da quando Jeremy Corbyn ha lanciato la sua sfida per conquistare la maggioranza del Labour Party, culminata con la vittoria del congresso del settembre scorso. Nel suo programma politico, non solo il ritorno a politiche “socialiste”, ma anche il rimettere al centro del dibattito politico il tema dei servizi pubblici non più affidati in gestione in modo “fideistico” ai privati.
La critica da sinistra ci può stare. Ulteriore novità, è il fatto che il dibattito si è spostato anche sul fronte “moderato”, tra i liberal. A maggior ragione dopo la recente la crisi finanziaria che ha travolto Carillion, la seconda impresa di costruzioni del paese che rischia di lasciare a casa 45mila persone (di cui la metà in Gran Bretagna). Negli anni ha accumulato una serie impressionante di concessioni ed appalti pubblici, dalla costruzione della nuova linea ad alta velocità Londra-Birmingham-Manchester alla manutenzione di circa metà delle prigioni del Regno Unito, e ancora alla manutenzione di oltre 200 sale operatorie negli ospedali pubblici (ai quali forniva anche 18mila pasti al giorno) e di circa 150 scuole.
Una delle bibbie “liberal” del mondo anglosassone, il quotidiano economico Financial Times, sta dedicando una serie di inchieste e approfondimenti al tema. In uno di questi ha fatto notare come “alcune aziende che gestiscono il servizio di acqua potabile, pagano più dividendi di quanto siano i profitti totali”.
Così come ha segnalato che una delle principali aziende che ha gestito i servizi idrici negli ultimi 30 anni ha migliorato la produttività del servizio in media non più dell’1% all’anno. Inoltre, la ricerca della remunerazione degli azionisti a tutti i costi porta le imprese a manovre finanziarie che rischiano di fare a pugni con le esigenze di un servizio pubblico. “Dopo una serie di scandali e controversie sul servizio scadente, prezzi elevati e generosi pagamenti agli azionisti – ha scritto l’FT – il paese che è stato il leader mondiale nella privatizzazione sta riconsiderando come gestire le sue utility essenziali”.
Come detto, il dibattito è già entrato nell’arena politica: con Theresa May sempre più in difficoltà e le elezioni anticipate che potrebbero non essere lontane, il leader laburista Jeremy Corbyn ha già lanciato il suo proclama sul tema. In una recente intervista al quotidiano Guardian ha detto che il suo partito è contro “il dogma delle privatizzazioni” e che metterà fine “al racket delle esternalizzazioni, facendo a pezzi le attuali norme in materia di appalti per rendere il settore pubblico la scelta predefinita di fornitura dei servizi statali”.
Non è solo un’anticipazione del programma elettorale, ma anche un cambio non indifferente di passo: se è vero che ad avviare il programma di privatizzazioni in Gran Bretagna fu Margaret Thatcher a partire dagli anni Ottanta, è altrettanto vero che negli ultimi 25 anni anche il Labour – con Tony Blair prima e Gordon Brown poi – appoggiò e si fece promotore di un vasto piani di affidamento ai privati di servizi pubblici.
Un cambio di rotta non da poco. Ha detto Corbyn nell’intervista al quotidiano inglese di fine gennaio: “Le autorità locali e i dipartimenti governativi potranno esternalizzare un servizio solo se sarà dimostrato che questo sta fallendo. Se si decide di esternalizzare, ci sarà un requisito statutario per cui bisogna preparare un’offerta in-house, ben approfondita con personale dirigente e rappresentanti dei lavoratori”. E ancora: ci sarà “un commissario pubblico per gli appalti” che “assicurerà che ogni gara d’appalto verrà aggiudicata sulla base dell’utilità pubblica e non dell’offerta più economica”.
Non per nulla, Corbyn ha detto che se il Labour vincerà le elezioni rinazionalizzerà i servizi postali, ferroviari, idrici e l’energia. Una mossa azzardata? Non pare proprio: un sondaggio condotto dall’Istituto Legatum – di impronta politica ben lontano dai Laburisti – ha rivelato che l’83% degli intervistati è a favore della nazionalizzazione dell’acqua. Per l’energia, la cifra era solo leggermente inferiore: al 77%.