Analisi e proposte del FSI: la scuola e la sanità
È in atto da molto tempo un lento processo di distruzione della Scuola e dell’Università pubbliche. Le continue riforme che si succedono, ad ogni cambio di ministro, non fanno che portare avanti questa distruzione. Nella Scuola pubblica viene in sostanza cancellata la centralità delle discipline e dei contenuti, che sono la vera sostanza sulla quale si basa il processo educativo specificamente scolastico. Questa perdita di contenuti disciplinari riduce il lavoro scolastico ad una sorta di immane servizio di “babysitteraggio”, con la perdita di ogni reale valore educativo del tempo passato sui banchi. Le varie riforme, inoltre, colpiscono al cuore il carattere di scuola nazionale, uguale per tutti i cittadini, della scuola pubblica, prevedendo una sciagurata autonomia che significa soltanto trasformazione della scuola in azienda privata (anche se formalmente pubblica) che va a caccia di clienti sul Mercato. Analogo destino colpisce l’Università, i cui gravi problemi non vengono risolti ma accentuati dalle varie “riforme” succedutesi negli anni.
La fine della Scuola e dell’Università pubbliche, statali, nazionali, è una perdita gravissima per la possibilità stessa di continuare a pensare il nostro paese come una patria comune. La Scuola pubblica e l’Università pubblica devono tornare ad essere il principale strumento di promozione della mobilità sociale. Se oggi la mobilità sociale in Italia è bassissima, ciò è dovuto anche alla distruzione della Scuola e dell’Università pubbliche statali. È difficile contrastare questi fenomeni, perché essi derivano da meccanismi culturali profondi del nostro mondo. Per provare almeno a combatterli il recupero della sovranità nazionale e il distacco dalla “cultura” diffusa dal pensiero globalista e mercatista sono condizioni necessarie.
In aderenza alle pulsioni e credenze del pubblico in tema di salute, opportunamente stimolate e pilotate, la medicina, alla quale ci si affida come un tempo alla religione, è stata trasformata in uno dei maggiori settori dell’imprenditoria liberista; un settore parassitario dove la Domanda è facilmente regolata da un’Offerta senza scrupoli, e sul quale si è sovrapposta l’economia fittizia della speculazione finanziaria.
Noti economisti auspicano che la quota sanità del PIL salga al di sopra del 15%; ciò è ottenibile, ma sarebbe una disgrazia, perché già oggi per far diventare la medicina un motore di crescita economica la si è gravemente inquinata con deviazioni e con pratiche fraudolente; così che essa non fornisce ciò che potrebbe dare mentre storna risorse e crea danni iatrogeni. Ad esempio, la “prevenzione” oggi non consiste nell’assicurare un ambiente salubre, condizioni di vita equilibrate e cibi genuini, alla luce delle conoscenze biomediche; ma in trattamenti medici di massa ai sani mediante costosi programmi di screening, l’inutilità e la dannosità dei quali sta venendo riconosciuta in diversi casi anche in sedi ufficiali. Si favorisce la cronicizzazione delle malattie, per trasformarle in rendite assicurando il maggior consumo di costose scatolette di farmaci proclamati efficaci, e si lascia alle famiglie la gran parte di carichi sanitari essenziali come le cure odontoiatriche e l’assistenza ai non autosufficienti. E’ anche possibile che, ridotta la democrazia reale al lumicino, i futuri sviluppi, che potrebbero includere una maggiore privatizzazione della sanità, si avvalgano di forme più tradizionali di autoritarismo, per giungere allo “Stato terapeutico” preconizzato da alcuni commentatori. I meccanismi coi quali il potere ottiene ciò sono oscurati da fattori psicologici e tecnici, potenziati dalla propaganda e dalla censura; ma gli effetti negativi sono percepiti da una quota crescente di cittadinanza.
Le forze liberiste nel perseguire lo sfruttamento della medicina si sono poste il problema di geometria istituzionale: “volendo impossessarci del governo della medicina, come massimizzare la sua distanza dai due centri naturali di controllo democratico, lo Stato e il territorio?”. Lo hanno risolto ottenendo dai politici la sovraordinazione della UE allo Stato e la devoluzione della sanità alle Regioni. La UE considera apertamente la medicina come un settore economico strategico, la cui tutela consente deroghe ai diritti fondamentali; spodesta un governo centrale occupato da politici “cùpidi di servilismo”. Le Regioni, ricettacolo di corrotti, traducono in interventi legislativi e amministrativi gli interessi dei poteri forti della sanità a livello locale. Anche se da solo non è sufficiente, e il servizio pubblico non sempre è superiore all’iniziativa privata, è necessario che sia lo Stato nazionale, al servizio razionale delle necessità e richieste delle realtà locali, a controllare la medicina. Ciò renderà possibile l’intervento più urgente, quello di emancipare i cittadini dalla loro condizione di stampo del potere mediante una corretta informazione; sollecitando in loro il meglio, anziché il peggio come fa la dittatura a stampo; in modo che sappiano ciò che devono pretendere dalla sanità e ciò che non possono chiederle.
[dal Documento di analisi e proposte del FSI]
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