Sud incazzato e Berlusconi finito, ecco perché Salvini e Di Maio hanno vinto
di LINKIESTA (Flavia Perina)
I Cinquestelle sfondano a Sud, dove è finita la politica dei notabili/intoccabili delle preferenze. La Lega ruba una quantità impressionante di voti a Forza Italia. Con l’appoggio involontario di un establishment che in campagna elettorale ha sbagliato tutto
La rottamazione che non ti aspetti la fanno Matteo Salvini e Luigi Di Maio – rottamazione di vecchi equilibri e vecchie leadership – con il sostegno di un Paese che è tornato in massa a votare, smentendo ogni previsione di disinteresse, disamore, indifferenza, dopo «la campagna elettorale più brutta della storia» (che evidentemente era vera solo nelle teste di qualcuno: l’astensionismo fermo al 27 per cento dimostra un collettivo desiderio di esserci e di contare).
Visto dalla prospettiva dei vincitori, il risultato delle Politiche conferma il successo di un’operazione sulla carta molto ardua, quella di trasformare due forze sostanzialmente di protesta, con una solida radice anti-sistema, in partiti di governo e cambiamento. Non era scontato. Il vecchio Pci si cimentò per anni nell’esercizio del sorpasso senza riuscirci mai, costantemente messo in minoranza dal voto conservativo della borghesia italiana. E anche la “rivoluzione del ’94” nacque dall’affermarsi di un nuovo partito “governista” – Forza Italia – con solide relazioni col precedente pentapartito e non dalla presa del Palazzo d’Inverno da parte di forze della ex-opposizione.
L’elemento cardine di questo inaspettato sussulto dell’elettorato italiano è il voto del Sud che supera la tradizionale e irrilevante protesta dei Masaniello – il movimento dei Forconi, i partitini autonomisti, le liste pseudo-rivoluzionarie promosse dal notabilato – per aggrapparsi in massa, con quote che toccano il 50%, al Movimento Cinque Stelle
L’elemento cardine di questo inaspettato sussulto dell’elettorato italiano è il voto del Sud che supera la tradizionale e irrilevante protesta dei Masaniello – il movimento dei Forconi, i partitini autonomisti, le liste pseudo-rivoluzionarie promosse dal notabilato – per aggrapparsi in massa, con quote che toccano il 50%, al Movimento Cinque Stelle. È la sconfitta dei feudatari delle preferenze, dei signori delle fritture di pesce, dei padrini delle candidature ereditarie. A determinarla non è (solo) il Quinto Stato dei disoccupati e dei marginalizzati, ma la media borghesia che per molti anni è stata in coda alle porte del castello sperando di essere ricevuta dal Lord e adesso si è stufata e si è detta: se l’ascensore sociale, politico, economico, non si muove con le buone, proveremo con le cattive.
La vittoria di Matteo Salvini ha motivi del tutto diversi, determinati dalla realtà interna della coalizione. La tenacia con cui Silvio Berlusconi ha difeso la sua leadership rifiutandosi di avviare il naturale processo della successione, alla fine si è trasformata in un boomerang. Il mondo del centrodestra sa che il Cavaliere è un capo “a termine”, vuoi per motivi anagrafici vuoi per la condanna che non gli consente di essere personalmente attivo sulla scena, e se ne è cercato un altro, più giovane e con un futuro ancora da spendere. Nel complesso il Centrodestra guadagna un 2 per cento, non moltissimo, rispetto alle elezioni del 2013, ma lo spostamento degli equilibri tra le sue componenti è impressionante: la nuova Lega passa dal 4 al 18,6 per cento; Forza Italia dal 21,5 al 13,5.
La vittoria di Matteo Salvini ha motivi del tutto diversi, determinati dalla realtà interna della coalizione. La tenacia con cui Silvio Berlusconi ha difeso la sua leadership rifiutandosi di avviare il naturale processo della successione, alla fine si è trasformata in un boomerang
L’attenzione degli osservatori è ovviamente concentrata, in queste ore, sulle possibili soluzioni di governo e sui numeri del Parlamento. Di maggioranze possibili “tecnicamente” ce ne sono un paio, ed entrambe hanno come perno il Movimento Cinque Stelle. Ma sarebbe un errore lasciare sullo sfondo l’analisi dei motivi che hanno mosso il Paese, come peraltro si è fatto già troppe volte in passato. Bisogna capirlo, questo Paese, se si vuole interpretarlo e ottenerne il consenso.
La rottamazione che non ti aspetti è figlia anche della superficialità con cui i partiti del vecchio bipolarismo hanno cercato voti seguendo suggestioni prive di ogni fondamento. La ridicola riesumazione del tema fascismo/antifascismo (a proposito: l’ultradestra si è fermata sotto l’un per cento); lo sbandieramento di paure che erano solo delle classi dirigenti (i barbari alle porte); l’irrisione di dati comuni a tanti nostri concittadini (la mancanza di laurea o di curriculum blasonati). È qui che si si sono arenate le classi dirigenti del passato, nel mancato ascolto, nell’albagia di credersi superiori e immortali. Non era vero, non è mai vero in politica.
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