Le ricette nel cilindro dei populisti
di LA STAMPA
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PREMESSA. Paolo Di Remigio – FSI Teramo
Sul ‘La Stampa’ un’opinione di Gian Enrico Rusconi che maltratta il nesso di causa ed effetto.
Dice: “Il successo conclamato o atteso dei movimenti nazional-populisti europei vive di un cattivo paradosso. Produrrà infatti la crescita esponenziale dei conflitti tra le nazioni nelle quali tali movimenti si sviluppano.”
Ossia: finora siamo stati in pace, abbiamo coordinato le nostre scelte economiche nella UE, abbiamo dunque goduto della crescita e della piena occupazione, di un incremento dei salari, delle pensioni e dello stato sociale, abbiamo curato la salute e l’ambiente, l’istruzione e gli investimenti.
Ora però – chissà perché – si sono imposti i nazionalisti-populisti che nella loro irresponsabilità ci cacceranno dall’Eden (UE) nell’inferno degli Stati-nazione in necessario conflitto tra loro. Un’opinione talmente sgangherata che lo stesso opinionista non riesce a tenerla ferma per tutto l’articolo. Circa a metà, infatti, qualifica il fatto che i politici di uno Stato facciano l’interesse dei suoi cittadini come “promozione di comportamenti irresponsabili e miopi che prima o poi saranno pagati da milioni di cittadini che si sono affidati, magari per disperazione, a questi movimenti (…). Magari per disperazione”, dice.
Da dove sbuca questa disperazione nel paradiso europeo?
È la hybris nazional-populista a promuovere la disperazione europea o è la disperazione europea a promuovere la hybris nazional-populista?
Un’opinione non è scienza, ma ciò non implica che nell’esprimerla ci si possa prendere la libertà di essere in disaccordo con se stessi.
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Il successo conclamato o atteso dei movimenti nazional-populisti europei vive di un cattivo paradosso. Produrrà infatti la crescita esponenziale dei conflitti tra le nazioni nelle quali tali movimenti si sviluppano. Per ora si lodano reciprocamente, convinti di essere i protagonisti di una grande comune rivoluzione politica.
Credono davvero a quanto è stato loro assicurato nel suo viaggio europeo da Steve Bannon, lo stratega del successo in America di Donald Trump, il campione del nazional-populismo al potere. Sono lusingati e adulati – tutti indistintamente – di essere considerati il cuore della nuova rivoluzione. L’americano lo ha detto e ripetuto agli svizzeri, ai leghisti e ai cinquestelle italiani, ai francesi di Marine Le Pen. Forse la meno entusiasta è stata l’esponente della «Alternativa per la Germania» (AfD) che prendeva nota dei consigli di Bannon, nel momento stesso in cui il presidente americano annunciava dazi contro l’Europa e minacciava direttamente i grandi produttori di automobili tedesche importate o prodotte negli Usa. «L’Unione europea, composta da meravigliosi paesi che trattano male gli Stati Uniti, si lamenta di tasse su acciaio e alluminio», ha detto Trump. «Se abbandonano i loro orribili ostacoli e i diritti doganali sui prodotti americani, noi rinunceremo ai nostri. Altrimenti, vareremo anche tasse sulle macchine. Mi sembra logico».
Da parte loro gli esponenti della AfD tedesca sono venuti tempo fa in Italia per studiare la strategia sovranista di Matteo Salvini (e di Casapound) contro l’Europa. Ma intanto polemizzavano durissimamente contro tutte le ipotesi di allentamento del rigore finanziario europeo che andrebbe a favore dei Paesi indebitati dell’Europa meridionale. Ma nessuno si cura di queste contraddizioni. Tantomeno Steve Bannon la cui lettura del presente «sfida, rovescia e irride schemi, istituzioni, valori e alleanze sulle quali l’Occidente al momento si articola e si fonda» (come giustamente scriveva Maurizio Molinari giorni fa ). Non si tratta semplicemente dell’ America first, cui segue fatalmente la France d’abord, Deutschland zuerst e il nostrano «Prima gli italiani». È la promozione di comportamenti irresponsabili e miopi che prima o poi saranno pagati da milioni di cittadini che si sono affidati, magari per disperazione, a questi movimenti.
Nelle prossime settimane dovremo fare i conti con queste contraddizioni direttamente a casa nostra. Non so se i due movimenti che sono usciti vincenti nelle ultime elezioni – Lega e Cinquestelle – siano davvero qualificabili in modo esauriente o corretto come populisti, nazional-populisti, sovranisti o altro. Lasciamo perdere le definizioni. Da un lato i due partiti rispondono ad identiche aspettative e richieste di interventi politici incisivi (se non «rivoluzionari») , in polemica con il tran tran inconcludente delle politiche finora praticate. D’altro lato però presentano proposte obiettivamente incompatibili tra loro, anche per le semplificazioni che i leader hanno operato in una campagna elettorale esasperata all’eccesso. Senza contare che la giusta e insistente polemica contro gli «impresentabili» ha favorito indirettamente la moltiplicazione degli «impreparati». È seguita la ricerca di persone competenti, esperti esterni, dichiarati un po’ pateticamente «di eccellenza», ignorati o snobbati dagli altri partiti.
Adesso ci si trova davanti all’imbarazzo di decidere se la loro collaborazione diretta in un governo sia per principio impossibile o viceversa debba valere anche per essi la raccomandazione della «responsabilità per il bene comune». È sorprendente come nel giro di pochi giorni sia ritornato il buon vecchio collaudato lessico politico della responsabilità democratica dopo gli eccessi delle provocazioni verbali delle scorse settimane. Non so che cosa ne penserà Steve Bannon che nel suo elogio all’Italia «forza trainante del nazional-populismo» ha ripetuto l’antico complimento agli italiani che «sono più creativi dei britannici, francesi e tedeschi». Chissà se rimarrà sorpreso anche lui di una soluzione «all’italiana».
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