L’uccisione dei traditori fa parte della tradizione russa. Accade dai tempi dello Zar, passando per Stalin e fino alla Russia di oggi come dimostra, con ogni probabilità, il tentato omicidio dell’ex agente dei servizi segreti di Mosca Sergei Skripal.

Il caso va inquadrato, però, non soltanto nell’ottica della vendetta ma in un contesto più ampio. Colpendo Skripal l’intelligence russa hanno voluto lanciare un messaggio ai suoi funzionari e agenti operativi in tutto il mondo, ribadendo un concetto che è proprio dell’antropologia culturale di questo Paese: possono passare anni, ma chi tradisce alla fine viene colpito e il tradimento va lavato con il sangue.

Detto questo, la reazione del Regno Unito, che ha reagito all’avvelenamento di Skripal lo scorso 4 marzo a Salisbury, espellendo decine di diplomatici russi, era ovvia. Come tutte le sanzioni, tuttavia, questo provvedimento rischia di essere nel migliore dei casi inutile e nel peggiore dei casi controproducente per il Regno Unito. Inutile perché i diplomatici russi espulsi presto verranno rimpiazzati. Dannoso per due motivi. Il primo è che i diplomatici che sono stati espulsi erano nella stragrande maggioranza agenti dei servizi segreti russi sotto copertura diplomatica, noti ai servizi di sicurezza di Londra. La loro espulsione azzera adesso tutto il lavoro che era stato fatto per identificare e controllare queste persone, conoscere le loro abitudini, le loro tendenze, le loro debolezze. Vale per i servizi di sicurezza britannici, e vale anche per i servizi di sicurezza di tutti i Paesi occidentali che si sono accodati alla decisione del premier Theresa May espellendo dei funzionari russi, Italia compresa. Il secondo è che queste espulsioni di massa comporteranno adesso una nuova iniezione di spie russe nelle capitali europee e negli Stati Uniti, e questo è un problema per i servizi di intelligence dei Paesi che si sono schierati contro Mosca.

Mosca esce allo scoperto

Ci vorranno anni per riacquisire i quadri informativi sugli agenti russi che erano stati acquisiti con fatica e che sono così importante per ogni servizio di sicurezza. Questa difficoltà a cui andranno incontro i servizi occidentali spiega il perché del prolungato silenzio da parte della Russia, che solo negli ultimi due giorni è uscita allo scoperto dopo aver meditato con attenzione sulla risposta da dare.

Il 28 marzo il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha attaccato il governo May, colpevole di «tacere sulle informazioni sulle attività di un laboratorio segreto situato non lontano da Salisbury, a Porton Down, dove, è risaputo, si è lavorato allo sviluppo di armi chimiche». Quella di Lavrov è stata una mossa di scacchi propagandista per mettere nuovamente in imbarazzo l’Inghilterra, dopo che Londra aveva già respinto la sua richiesta di partecipare alle indagini facendosi mandare un campione dell’agente tossico utilizzato per avvelenare Skripal. Il giorno dopo, il 29 marzo, sempre Lavrov ha dichiarato che il Cremlino seguirà un metodo «speculare», vale a dire che per ogni Paese saranno allontananti da Mosca tanti diplomatici quanti sono stati quelli russi espulsi.

Quello a cui stiamo assistendo è un gioco a somma zero, nel senso che a delle espulsioni seguono delle controespulsioni. Il rischio, però, è che questo gioco presto possa diventare a somma negativa come è già accaduto nel caso delle sanzioni comminate a Mosca per il suo coinvolgimento nel conflitto ucraino.

Il ruolo dell’Italia

Proprio per questo motivo il futuro governo italiano, se mai ne vedremo uno nei prossimi mesi, dovrà riaprire necessariamente il dossier Russia. Nel caso Skripal l’Italia ha mantenuto un basso profilo, consapevole evidentemente della presenza di molti agenti russi non solo presso l’ambasciata russa a Roma, ma anche tra i giornalisti e nelle altre sedi in cui in Italia i russi sono “di casa”. In maniera opportuna, i servizi italiani hanno preferito essere cauti limitandosi ad allontanare due funzionari dell’ambasciata. È un modo per evitare di dover fronteggiare una minaccia completamente sconosciuta.

Ma nei rapporti con il Cremlino la questione più importante da affrontare sarà quella delle sanzioni. Le restrizioni economiche imposte da USA e UE alla Russia per l’annessione della Crimea non hanno portato alcun vantaggio all’Italia, né hanno avvicinato di un solo metro la risoluzione del conflitto ucraino, rendendo anzi le posizioni ancora più distanti e acrimoniosi. Quello che è molto più grave è che in questo “gioco” delle sanzioni è rimasto stritolato l’interscambio Italia-Russia con una perdita di 4,5 miliardi di euro l’anno per il nostro Paese. Per questo il problema delle sanzioni va riaffrontato tenendo conto dei nostri interessi nazionali. È a quelli che dobbiamo pensare. Una guerra commerciale e diplomatica con la Russia è l’ultima cosa che ora possiamo permetterci.