Xi calma Trump ma non fa concessioni
di LIMESONLINE.COM (di Giorgio Cuscito)
BOLLETTINO IMPERIALE Al vertice di Boao, la Davos d’Asia, il presidente della Cina annuncia aperture economiche in linea con il programma di riforma, ma non promette nulla agli Usa sul fronte commerciale.
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La maggiore apertura della Repubblica Popolare agli investimenti stranieri annunciata da Xi Jinping al Forum economico di Boao (Hainan, 8-11 aprile) è dipesa da due obiettivi.
Primo: esaltare agli occhi della popolazione cinese e del resto del mondo il percorso di riforme di lungo periodo che Pechino ha tracciato per modernizzare l’economia del paese da qui al 2050.
Secondo: placare gli Usa senza concedere loro nulla sul fronte commerciale che non sia in linea con gli interessi della Repubblica Popolare. A giudicare dagli apprezzamenti di Donald Trump via Twitter, questo scopo può dirsi raggiunto.
Ciò non toglie che prima o poi Washington e Pechino si confronteranno per evitare la guerra commerciale. I dazi annunciati dagli Usa alle importazioni cinesi (valore complessivo potenziale 150 miliardi di dollari) potrebbero entrare in vigore a giugno. La Cina adotterà i propri (valore 50 miliardi di dollari), solo se Trump farà la prima mossa.
I negoziati che Washington e Seoul avranno con la Corea del Nord e la questione di Taiwan incideranno su questa dinamica.
Le parole di Xi, gli obiettivi di Pechino
Il discorso di Xi è stato molto simile a quello pronunciato lo scorso anno al Forum economico di Davos, tempio del liberalismo occidentale. Di nuovo c’è stata l’enfasi sul ciclo di cambiamenti che Pechino vuole adottare a quarant’anni esatti dal lancio della politica di “riforma e apertura” voluta da Deng Xiaoping nel 1978.
La maggiore convinzione di Xi potrebbe essere dovuta a due risultati ottenuti durante la recente sessione dell’Assemblea nazionale del popolo. Primo, è riuscito a consolidare il suo potere eliminando il limite dei due mandati presidenziali. Secondo, ha riorganizzato l’esecutivo cinese per operare in maniera efficiente. Per queste ragioni, potrebbe riuscire ad attuare nei prossimi anni le riforme che non sono decollate durante il suo primo mandato da capo di Stato.
Senza fornire un calendario preciso di questo percorso, il presidente cinese ha confermato che il paese si allineerà con le regole economiche e commerciali mondiali, aumenterà il grado di trasparenza, rafforzerà la tutela della proprietà intellettuale, lo Stato di diritto, incoraggerà la competizione e si opporrà al monopolio.
La Repubblica Popolare aprirà l’industria assicurativa e il settore manifatturiero. Con particolare riferimento all’industria automobilistica (preso di mira da Trump la scorsa domenica), navale e degli aeromobili.
L’allentamento delle restrizioni alla creazione di istituti finanziari stranieri e la maggiore collaborazione con i mercati finanziari stranieri accennata da Xi è stata confermata da Yi Gang, nuovo governatore della Banca del popolo cinese. Secondo Yi, gli investitori di altri paesi potranno detenere fino al 51% in società di brokeraggio, gestione di fondi e trust. I limiti saranno totalmente aboliti nei prossimi tre anni.
Probabilmente non è un caso che le prime misure saranno adottate a fine giugno, quando i dazi annunciati da Trump dovrebbero entrare in vigore.
Sarebbe un errore pensare che l’apertura del mercato cinese implichi l’inizio di un vero e proprio percorso di liberalizzazione. Pechino prevede piuttosto di accogliere in maniera selettiva e graduale maggiori investimenti in settori dove la Cina deve elevare la qualità dei suoi prodotti, preservando il controllo del Partito comunista sull’economia. Questo abbinamento è alla base del “socialismo con caratteristiche cinesi” professato da Pechino.
In tale ambito, il progetto Made in China 2025 ha un ruolo essenziale. Questo prevede la trasformazione del paese in una superpotenza manifatturiera tramite la valorizzazione delle industrie ad alta tecnologia (vedi automotive, aviazione, macchinari, robotica, logistica ferroviaria e marittima avanzata, dispositivi medici, tecnologia dell’informazione eccetera).
Lo scopo finale è sostituire gradualmente i prodotti stranieri con quelli cinesi. Considerata l’intensità con cui Xi ha proposto nell’ultimo anno l’integrazione tra industria civile e militare, il salto di qualità della prima è evidentemente propedeutica per la crescita dell’Esercito popolare di liberazione, attualmente impegnato a colmare il divario con le Forze armate Usa.
Questa dinamica spiega perché la lista dei 1,300 prodotti che potrebbero essere soggetti alle tariffe statunitensi ne include diversi che fanno parte del progetto Made in China 2025, quali componenti di aerei, equipaggiamento per le telecomunicazioni e robot.
In più occasioni Pechino ha invitato le aziende tecnologiche straniere (statunitensi in primis) a operare in Cina. Allo stesso tempo ha adottato una legge piuttosto rigida sulle modalità di accesso alla sua economia digitale, che ha suscitato all’estero preoccupazioni relative alla tutela delle proprietà intellettuale.
Compagnie statunitensi quali Facebook, Apple e Google hanno già dato segnale di essere disposte a trovare un compromesso con Pechino pur di accedere al fiorente mercato digitale cinese, popolato da circa 750 milioni di utenti.
Nel suo discorso, Xi non si è mai riferito direttamente agli Stati Uniti, ma ha sottolineato che Pechino “non cerca il surplus commerciale” (fattore che lega le prime due potenze al mondo) e che bisogna evitare la “mentalità da guerra fredda”. In questo modo, ha esaltato l’apertura della Repubblica Popolare verso la coesistenza con gli Usa in un mondo multipolare. Il leader cinese ha fatto capire allo stesso tempo che gli altri paesi non devono adottare un assetto protezionistico.
Pechino non sembra intenzionata ad accelerare il complessivo processo di riforma per accontentare Washington, ma non è escluso che faccia qualche concessione per scongiurare la guerra commerciale.
Quest’ultima del resto danneggerebbe in primis l’economia cinese. Non solo perché nel 2017 la Repubblica Popolare ha esportato verso gli Usa beni per 506 miliardi di dollari e ne ha importati per circa 130 miliardi. Ma anche perché, le tensioni tra le due prime potenze al mondo hanno determinato nel 2017 una diminuzione del 28% del flusso complessivo degli investimenti sinostatunitensi. Questi sono attestati intorno ai 43 miliardi di dollari, di cui quelli statunitensi in Cina sono stati 29 miliardi di dollari.
I dazi statunitensi potrebbero entrare in vigore fra circa due mesi, quindi c’è tempo per negoziare. Pechino è pronta ad applicare le proprie tariffe ai prodotti Usa solo se e quando Washington metterà in pratica le sue.
Nel frattempo, la campagna mediatica cinese contro la postura protezionistica di The Donald proseguirà per alimentare il sentimento di appartenenza nazionale cinese, mostrare la risolutezza di Pechino e attirare consenso all’estero.
Inoltre, Pechino incoraggerà ulteriormente gli investimenti stranieri in attesa del suo primo Expo internazionale, che il prossimo novembre a Shanghai celebrerà l’apertura economica della Cina al resto del mondo.
I dossier Corea del Nord e Taiwan
Due fattori potrebbero ripercuotersi sulle tensioni commerciali sino-statunitensi da qui a giugno.
Primo, il dossier coreano. È probabile che le pressioni reciproche tra Pechino e Washington si acuiscano in prossimità dei negoziati che quest’ultima e Seoul avranno con P’yongyang riguardo la denuclearizzazione.
La Repubblica Popolare non vuole essere tagliata fuori dalla faccenda, come evidenziato dal viaggio di Kim Jong-un nella capitale cinese a fine marzo. Venerdì 13 aprile Song Tao, ministro del dipartimento Internazionale del comitato centrale del Pcc, si recherà in Corea del Nord per monitorare il comportamento di P’yongyang, governo sempre meno alleato di Pechino.
FONTE: http://www.limesonline.com/rubrica/al-boao-forum-cina-xi-calma-trump-ma-non-fa-concessioni-agli-usa
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