Crediti deteriorati, ecco perché le nuove regole europee possono compromettere la ripresa economica
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Francesca Parodi)
Alla radice delle crisi bancarie di questi ultimi anni ci sono gli npl, i crediti deteriorati, da anni al centro dell’attenzione della finanza e dei regolatori europei. Si tratta di una problematica complessa, che impatta in maniera diretta sull’intera economia e sui risparmiatori: basti considerare che in Italia il credito bancario è di gran lunga la prima fonte di finanziamento per le imprese. In Italia, in termini lordi, gli npl sono passati da circa 40 miliardi di euro nel 2008 a circa 170 miliardi nel 2017, con valori superiori ai 200 miliardi negli anni intermedi. In questi ultimi mesi il dibattito si è fatto sempre più acceso in prossimità della pubblicazione delle nuove indicazioni sul tema delle sofferenze bancarie da parte della Commissione europea e della Bce. Ma per capire esattamente di che cosa si sta parlando occorre fare un passo indietro.
Npl sta per “non performing loans”, cioè “prestiti deteriorati”, la cui categoria più rischiosa è rappresentata dalle sofferenze. In pratica, si tratta di quei crediti, concessi dalle banche, che risultano essere difficilmente esigibili e che nella peggiore delle ipotesi non verranno onorati (in tutto o anche solo in parte). Le banche hanno cominciato ad accumulare in maniera sempre più consistente queste sofferenze da quando, complice la crisi economica, molte imprese sono entrate in difficoltà (o peggio ancora fallite) e non sono più riuscite ad onorare i propri debiti con le banche. A causa dell’aumento di questi crediti inesigibili, le banche hanno registrato, anno dopo anno, ingenti perdite, e la loro redditività si è ridotta, così come la loro dotazione patrimoniale. Di conseguenza, anche la propensione a concedere credito si è ridotta.
Questo è stato particolarmente vero nei confronti delle piccole e medie imprese (che costituiscono circa il 90-95% del tessuto imprenditoriale italiano) per le quali il venir meno del supporto della finanza ha avuto un impatto tale da comprometterne, nei casi più gravi, addirittura la sopravvivenza. Gli npl quindi sono un effetto prodotto dalla crisi economica (ma anche di episodi di mala gestio bancaria), ma a loro volta diventano una causa in un circolo vizioso.
Per liberare le banche da questo impasse, si è perciò pensato di creare una bad bank (“cattiva banca”) di sistema o una bad bank per ciascuna banca in difficoltà. La bad bank è una specie di contenitore alla quale la banca tradizionale passerà i “crediti tossici”, cioè in sofferenza. In questo modo, dalla banca vengono scorporate le attività “in sofferenza” per lasciare solo la parte sana del bilancio e consentire alla banca di continuare il proprio lavoro.
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Il trasferimento degli npl è oneroso e funziona in questo modo: un’apposita società (Spv, Special purpose vehicle) acquista i crediti deteriorati dalla banca tradizionale e li “impacchetta” creando delle obbligazioni di diversa qualità e livello di rischio. Queste vengono poi vendute e valorizzate sul mercato. Il ricavato derivante dalla cessione di queste ultime permette alla bad bank di pagare alla banca “sana” il valore convenuto degli npl. Per evitare che queste obbligazioni siano davvero troppo rischiose per gli investitori, sono state previste anche delle apposite garanzie statali (le cosiddette “Gacs”).
Le garanzie però riguardano solo i crediti più sicuri (le tranche “Senior”), e di conseguenza, hanno fatto notare alcuni esperti, lo strumento della bad bank ha un impatto limitato. Inoltre la bad bank (utilizzata anche nel caso delle Banche venete) risolve solo il problema delle sofferenze già accumulate, ma non offre una soluzione definitiva per il futuro.
E’ stato allora creato il fondo Atlante, un fondo d’investimento prevalentemente privato, avente due scopi: garantire gli aumenti di capitale delle banche in difficoltà e rilevare i crediti deteriorati (npl) degli istituti di credito. La dotazione del fondo però si è rilevata insufficiente rispetto alla totalità delle sofferenze e anche questo strumento si è rivelato inefficace.
A marzo sono state pubblicate dalla Commissione europea e dalla Bce nuove regole, in vigore dal 1 aprile 2018, per tentare di risolvere il problema degli npl, con un duplice scopo: ridurre il rischio per un istituto di credito legato all’accumularsi delle sofferenze e, allo stesso tempo, uniformare la politica di copertura di tali crediti tra i Paesi dell’Unione europea. Queste nuove misure, che riguardano soprattutto la tempistica relativa agli accantonamenti sulle sofferenze, hanno però suscitato qualche perplessità tra gli analisti.
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“Facciamo un esempio per meglio comprendere le dinamiche relative ai crediti deteriorati. Una piccola impresa chiede un prestito e la banca glielo concede. Ad un certo punto, però, l’impresa entra in difficoltà e la banca valuta che soltanto l’80% di quel prestito sarà restituito. Il prestito sarà classificato come deteriorato e, a fini prudenziali, la banca effettuerà un accantonamento a fronte della perdita attesa stimata (in questo caso del 20%) sul suo bilancio. Tale perdita andrà ad erodere parte del capitale della banca”, spiega a Business Insider Rodolfo Pambianco, esperto del settore di Investment Banking a cui abbiamo chiesto di illustrarci le nuove misure introdotte dalla Commissione europea e dalla Bce. “Fino ad oggi, l’ammontare degli accantonamenti a copertura dei crediti deteriorati era arbitrario e ogni banca si autoregolava in base alle proprie stime interne, alle indicazioni informali ricevute dai regolatori e ai livelli di copertura medi di mercato”.
Le nuove regole pubblicate lo scorso marzo forniscono alle banche delle tempistiche e dei livelli ben precisi di coperture su crediti deteriorati. “In particolare”, prosegue Pambianco, “per i crediti deteriorati garantiti (ad esempio, un mutuo con la garanzia sulla casa) è prevista una copertura graduale fino al 100% in otto o sette anni, rispettivamente in base a quanto pubblicato dalla Commissione europea e dalla Bce. Per i crediti non garantiti (quindi più rischiosi per le banche) invece, la copertura totale dovrà avvenire, in base ad entrambe le pubblicazioni, in due anni”.
C’è però un’altra differenza tra quanto stabilito dalla Commissione europea (la cui decisione è quella vincolante) e il parere della Bce. “Per la prima”, dice Pambianco, “queste misure vanno applicate solo ai crediti deteriorati riferibili a prestiti erogati successivamente all’entrata in vigore delle nuove disposizioni; per la Bce invece a tutti gli impieghi che diventano deteriorati a partire dalla data del primo aprile 2018, anche se riferibili a prestiti erogati precedentemente”. Le banche si troveranno dunque nella situazione di fatto di dover seguire le linee guida, più stringenti, dettate dalla Bce, perché rimane comunque il loro supervisore.
L’aspetto che più preoccupa gli esperti è che, come è stato fatto notare durante un’audizione al Parlamento europeo, non è stato valutato approfonditamente quale sarà l’impatto di queste misure sul sistema del credito, cioè sull’economia reale. “La preoccupazione emersa nel corso dell’audizione al Parlamento europeo è che, a fronte di queste misure, le banche potrebbero essere ancora più prudenti nel concedere prestiti non garantiti, preferendo grandi aziende o applicando tassi più alti” conclude Pambianco.
Il danno all’economia italiana rischia di essere significativo, dal momento che le piccole e medie imprese ricorrono spesso al credito bancario non garantito come fonte di finanziamento primario. In una fase di timida ripresa economica, come quella attuale, tali iniziative potrebbero frenare inesorabilmente il trend positivo di crescita.
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