Olivetti ha inventato il modello di impresa internazionale moderna. Chiunque vada al governo dovrebbe ripartire da lì
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Giuseppe Rao)
- Adriano Olivetti (1901 – 1960) nel 1958
Troppo spesso in Italia dimentichiamo che il modello internazionale di impresa moderna – attenta alla contaminazione dei saperi scientifici e umanistici, ai valori etici e costantemente protesa verso il futuro – è nato alla Olivetti di Ivrea.
L’opera e il pensiero di Adriano Olivetti (e del figlio Roberto) costituiscono un patrimonio preziosissimo, ancora oggi fonte di ispirazione per i cittadini e per chi è impegnato nelle attività destinate a creare impresa, conoscenza, benessere e giustizia sociale.
- Roberto Olivetti con l’ingegnere informatico Mario Tchou.
Analizziamo, in rapida sintesi, i pilastri del modello olivettiano.
La Olivetti è stata innanzitutto un’azienda leader mondiale nelle tecnologie
Le produzioni dell’azienda – macchine per scrivere e da calcolo, calcolatori elettronici, meccatronica (Olivetti Controllo Numerico) e persino mobili per ufficio – hanno conquistato tutti i mercati del mondo. Rimane il rammarico che, a partire dal 1960, insipienze e persino boicottaggi della politica e dell’establishment nazionale, e non solo, abbiano impedito all’azienda di conseguire successi in settori d’avanguardia (si pensi all’occasione perduta con il primo calcolatore elettronico da tavolo nel mondo, la “P101” di Piergiorgio Perotto).
- Il “P101” Olivetti
Leadership, vision, e investimenti nel capitale umano e nei giovani
Il modello Olivetti nasce dalla lungimiranza dell’ing. Adriano e dalla sua scelta di investire nei talenti e nei giovani laureati – capaci di garantire creatività, nuove energie e persino quella ventata di incoscienza necessaria per la costruzione di progetti di natura sperimentale (citiamo per tutti Mario Tchou, che aveva 30 anni quando gli fu chiesto di tornare dagli Stati Uniti per avviare le attività nel settore elettronico). Le attività di formazione consentivano ai dipendenti più meritevoli di progredire nella carriera interna. E senza dimenticare che Olivetti, assieme ad ENI, è stata la più grande scuola di management in Italia. Poi accadde che un geniale operaio, Natale Capellaro, inventò la “Divisumma 24”, calcolatrice rivoluzionaria, capace di conquistare il mondo e assicurare i profitti necessari per finanziare le diverse attività dell’azienda.
La contaminazione dei saperi e la ricerca della bellezza.
Il sapere scientifico e tecnologico, nella visione di Adriano Olivetti, richiedeva il sostegno di altre discipline, che avrebbero migliorato la funzionalità e l’estetica dei prodotti e dei luoghi di lavoro, nonché le condizioni di vita dei lavoratori: design, architettura, grafica, logistica, sociologia, medicina del lavoro, cultura in senso esteso. L’azienda pubblicava libri (Edizioni di Comunità – e qui il ricordo va a Renzo Zorzi) e riviste scientifiche e culturali di alto valore (Tecnica e Organizzazione e Zodiac su tutte), finanziava periodici culturali (Metron, Urbanistica, Sele arte), ospitava dibattiti e mostre d’arte.
Scriverà Franco Fortini: “La Olivetti è stata ed è anche questo: il luogo dove è possibile attribuire alla scelta di un colore per una copertina, di un aggettivo per uno slogan, di un profilato per uno stand o di una linea per una carrozzeria di una macchina, un’importanza non troppo diversa di quella che si dà alla scelta di una soluzione meccanica, di un acciaio, di un procedimento di fusione.”
La strategia “local→global”
La Olivetti è stata una multinazionale – l’unica italiana ad aver conquistato tutti i mercati – con una visione “local→global”: radicata nel territorio e nella comunità (concetto fondamentale per l’ing. Adriano) canavesana, sin dagli anni ’30 ha costruito stabilimenti e centri di ricerca in Italia e all’estero – Argentina, Brasile, Spagna, Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito, Giappone, Messico, Singapore, Cina (anche in questi casi la progettazione degli edifici era affidata ad architetti del livello di Kanh, Stirling, Tange). Le produzioni venivano esportate in tutti i continenti, dove l’azienda era presente con proprie filiali ed una autonoma rete di distribuzione.
- Lo stabilimento Olivetti a Yokohama in Giappone progettato da Kenzo Tange, 1970. L’edificio ospita magazzini, scuole per meccanici, mensa e biblioteca (Associazione archivio storico Olivetti, Società Olivetti)
L’attenzione maniacale al marchio, alla reputazione e alla comunicazione
Olivetti è diventata il simbolo nel mondo di un’azienda che investe nella comunicazione d’impresa per promuovere il proprio marchio e la propria reputazione. A Ivrea hanno lavorato – la lista è impressionante, qui ci limitiamo a qualche citazione – i migliori architetti (Figini e Pollini, Vittoria, Zanuso), grafici (Pintori, Ballmer, Bassi), designer (Nizzoli, Sottsass, Bellini), registi e musicisti (N. Risi, Ragghianti, Berio), scrittori (Sinisgalli, Pampaloni, Ottieri), sociologi (Pizzorno, Ferrarotti, Novara), fotografi (Berengo Gardin, Mulas, Cartier-Bresson) che si sono impegnati a dare forma e immagine alla bellezza creata ogni giorno ad Ivrea e nei diversi stabilimenti italiani e stranieri. I negozi Olivetti, progettati da grandi architetti e designer (Gae Aulenti, Nivola, Scarpa) sono diventati luoghi di culto – antesignani degli Apple Store, ma con la differenza che ciascun negozio Olivetti era un unicum.
- Un negozio monomarca Olivetti nel 1966 circa. Wikipedia
L’uso delle informazioni, la capacità di misurarsi con i casi di successo internazionali, la curiosità per tutto ciò che è diverso
Il modello organizzativo Olivetti era costruito su metodologie organizzative particolarmente innovative: la ricerca continua di condivisione delle informazioni fra le diverse strutture interne (documentate nel libro del 1960 di Luciano Gallino “Progresso tecnologico ed evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti, 1946-1959. Ricerca sui fattori interni di espansione di un’impresa”); lo studio dei casi di successo internazionali, e quindi la curiosità per la diversità, ai fini del perfezionamento della qualità delle attività – a Ivrea era in funzione la migliore emeroteca d’Italia. Vi è poi una pagina poco conosciuta della storia della “Ditta” (mio padre, uscendo da casa la mattina diceva “vado in Ditta”, come se questa fosse una seconda casa). Roberto Olivetti – entusiasta sostenitore delle attività nel settore elettronico – all’inizio degli anni ’70 aveva intuito l’avvento della Società dell’Informazione, come testimoniano gli investimenti nell’informatica distribuita, gli scritti e le campagne pubblicitarie.
Il rispetto per i lavoratori e la loro partecipazione alla vita dell’impresa
- Colonia Olivetti a Marina di Massa (1955 circa)
La Olivetti – come è noto – è stato il simbolo dell’azienda sensibile ai diritti dei lavoratori (e dei loro figli), a cui venivano offerti ambienti di lavoro, salari, servizi sociali – asili nido, colonie e borse di studio, servizi sanitari, biblioteche ed emeroteche – senza eguali nel mondo, la possibilità di crescita professionale e persino le abitazioni. Erano stati avviati progetti di partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione aziendale. Ad Ivrea non erano consentite discriminazioni sulla base delle idee politiche (alcuni tra i maggiori collaboratori di Adriano Olivetti erano comunisti – Fortini e Volponi i casi più noti).
La politica per il mezzogiorno
Sin dall’inizio degli anni ’50 Adriano Olivetti ha avuto una particolare attenzione per la rinascita del Mezzogiorno. Si pensi al progetto di riqualificazione del quartiere Martella di Matera. E quando decise di costruire la fabbrica di Pozzuoli chiamò il geniale architetto (comunista) Luigi Cosenza, incaricandolo di progettare una fabbrica a misura d’uomo, in cui nessun operaio dovesse lavorare a più di sette metri da un punto luce, nonché le case destinate ai dipendenti. L’industriale eporediese sarà ripagato dal fatto che in breve tempo Pozzuoli diventerà lo stabilimento più efficiente del gruppo.
Ripartire dalla “nazione” e dalla visione “local→global”?
Viviamo in un tempo caratterizzato dalla ridefinizione del concetto di nazione, dalla delegittimazione delle istituzioni e della politica, dal predominio del capitalismo finanziario, dall’acuirsi delle differenze tra pochi ricchi – sempre più ricchi –, la classe media, che ha perso benessere e speranze, e ceti sociali sempre più poveri. La precarietà impedisce ai giovani, spesso costretti ad emigrare all’estero, di costruire un progetto di vita.
Fenomeni frettolosamente definiti come sovranismo e populismo segnalano la reazione diffusa di politici, intellettuali e cittadini che rivendicano la volontà di ripartire dalla valorizzazione del ruolo della “nazione” nella comunità globalizzata (local→glocal). L’elezione di Donald Trump, il successo di Bernie Sanders e Jeremy Corbyn e in Italia del M5S e della Lega, nonché l’ascesa in Europa di numerosi movimenti critici sulla globalizzazione, rappresentano una risposta, ognuna con proprie specificità, a queste lacerazioni.
Si è creato uno strapotere della finanza e delle multinazionali che controllano tecnologie, brevetti, informazioni, social network e logistica, e che, grazie a questi strumenti, sono in grado di influenzare la formazione degli orientamenti politici (e non solo) dei cittadini e quindi i meccanismi che regolano il funzionamento delle singole democrazie.
Le reti e le nuove tecnologie hanno disarticolato gerarchie e modificato distanze, ad ogni livello, e consentono ora un accesso generalizzato alle informazioni (quelle pregiate rimangono sovente nella disponibilità di pochi) e influenzano l’agire e il pensiero delle giovani generazioni.
La Quarta Rivoluzione Industriale, con lo sviluppo di servizi e prodotti, offre tuttavia inedite opportunità ai Paesi in grado di garantire la partecipazione popolare ai processi decisionali, e promuovere il sistema educativo, la ricerca scientifica e il proprio sistema industriale.
Interesse nazionale e politiche industriali
Il successo di scienze, tecnologie e metodologie innovative (big data, Intelligenza Artificiale, robotica, machine learning, genetica, nanotecnologie, logistica) trasformano gli assetti geopolitici, con il protagonismo dei Paesi emergenti, e determinano nuovi fenomeni economici e sociali – quali la riduzione dei posti di lavoro e la necessità di professionalità sofisticate. Il modello occidentale, con il parallelo invecchiamento della popolazione, è entrato in crisi, con l’eccezione della Germania, che invece ha saputo cogliere le opportunità del nuovo “ordine mondiale”, a partire dalla promozione del sistema educativo, della R&S e della grande industria e degli investimenti strategici in Cina.
Le rivoluzioni in atto richiedono sinergie e integrazioni tra i saperi scientifici, tecnologici e umanistici; investimenti significativi nell’istruzione, nella ricerca e nella cultura (consapevoli che gli innovatori iniziano a formarsi sin da bambini); alleanze internazionali win-win.
Siamo di fronte ai grandi temi dell’interesse nazionale e delle politiche industriali settoriali, in Italia troppo spesso sacrificati sull’altare del liberismo, della subalternità ad altri Paesi, e della mancanza di progetti a lungo termine, in favore della politica del “day by day”.
Il rilancio della Olivetti come simbolo della rinascita dell’Italia
Veniamo alla storia recente. Tutto è iniziato nel febbraio 1999, quando la Olivetti, cedute a Mannesmann le partecipazioni in Omnitel e Infostrada, acquisisce il controllo, tramite Tecnost, di Telecom Italia – lo strumento è una OPAS in gran parte a debito. Da quel momento l’azienda inizia il suo inarrestabile declino.
Tralasciamo i dettagli sulle vicende successive e arriviamo al 4 agosto 2004, quando, a seguito della fusione con Telecom Italia, il nome Olivetti scompare dalla borsa.
La relazione tra Telecom Italia e Olivetti non ha dato i frutti che, forse, qualcuno auspicava. Il sito di Olivetti S.p.A., oggi controllata da Telecom Italia, informa che l’azienda offre “soluzioni in grado di automatizzare processi e attività aziendali per le PMI, le grandi aziende e i mercati verticali” e impiega 450 dipendenti; il fatturato del 2016 è stato di 264 milioni di euro. I timidi segnali di ripresa nell’ultimo biennio dimostrano che nel Dna della società è rimasta una forte tensione verso l’innovazione.
In Italia il dibattito sull’Europa spesso evade il tema del contributo concreto il nostro Paese intende offrire per fronteggiare la competizione mondiale.
L’Italia ha necessità di rilanciare politiche industriali selettive, in grado di promuovere l’innovazione nelle nuove tecnologie e l’integrazione fra i saperi, per riportare il Paese nel posto che gli compete nella comunità internazionale.
La Olivetti – che ha subito per decenni di ostracismi di ogni genere – rimane il modello di impresa moderno più ammirato e citato, oggetto ogni anno di numerose monografie.
Un progetto per il rilancio di Olivetti potrebbe costituire un segnale di forte discontinuità, da parte del nuovo Esecutivo, rispetto alla scarsa attenzione prestata dai governi, a partire dal 1990, alla promozione del nostro patrimonio industriale e tecnologico. Un simile progetto potrebbe rappresentare un segnale di speranza e di fiducia rivolto ai cittadini e ai ceti produttivi.
Poiché Telecom Italia non ha mai considerato davvero strategica Olivetti, non sarebbe forse auspicabile uno scorporo, con un intervento guidato da CDP e con la partecipazione di imprenditori virtuosi, per dar vita ad un nuovo grande progetto di industria, capace di reinterpretare i processi di innovazione?
Il rilancio di Olivetti potrebbe correre in parallelo con un progetto strategico di una rete di eccellenze nazionali – magari coordinato dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova –, in grado di scommettere sulle nuove frontiere della conoscenza.
L’Unesco nella prossima sessione di giugno-luglio deciderà se dichiarare “Ivrea, Città industriale del XX Secolo” patrimonio dell’umanità.
- Una vecchia cartolina del 1965
La Olivetti S.p.A. quest’anno ha organizzato una mostra presso la Galleria d’arte Moderna di Roma dal titolo “Looking forward – Olivetti – 110 anni di immaginazione”, focalizzata sul Dna continuamente proteso verso l’innovazione dell’azienda di Ivrea.
E’ auspicabile che la storica ricorrenza dei 110 anni – l’anniversario cade ad ottobre 2018 – diventi un’occasione di ripartenza per l’Italia, per le politiche industriali selettive, per la Olivetti. E che il cambiamento sia ispirato dalla partecipazione popolare e guidato da un nuovo potere politico, dotato di “vision” e immaginazione di lungo periodo.
*Giuseppe Rao, allievo del costituzionalista Paolo Barile, è consigliere/dirigente generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal 2007 al 2015 ha lavorato presso l’Ambasciata d’Italia in Cina. Negli anni 1996-1998 ha collaborato con il Ministro Antonio Maccanico nella stesura delle norme che hanno liberalizzato il mercato delle telecomunicazioni e istituito l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Le opinioni qui pubblicate sono espresse a titolo personale.
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