E infine arriva il “negazionismo” economico: un manganello contro il dissenso.
di CRITICA SCIENTIFICA (Enzo Pennetta)
L’arma delle cosiddette “Fake news” per poter essere usata deve necessariamente poter disporre di una fonte riconosciuta come “verità” che faccia da confronto per stabilire cosa sia “non verità”.
La “scienza”, o meglio la sua grottesca caricatura, è l’unica possibilità per un tale strumento: chi non si accorda con i dettami dell’autorità sarà un “negazionista”.
Questa proprio ci mancava, dopo i cosiddetti negazionismi, termine criminalizzante delle opinioni contrarie al politicamente corretto su argomenti storici e scientifici con particolare riferimento alla medicina e al clima, arriva finalmente anche il negazionismo economico, e lo fa per bocca del bocconiano (purtroppo non redento) Guido Tabellini che citando a sua volta un libro di Pierre Cahuc et André Zylberberg così scrive in un articolo su Lavoce.info:
Il negazionismo economico che avanza
Viviamo in un’epoca in cui il progresso scientifico avanza a velocità straordinaria. Eppure, spesso le decisioni politiche non incorporano le migliori e più aggiornate conoscenze, e l’opinione pubblica non solo non è adeguatamente informata, ma non di rado è vittima di credenze errate e in contrasto con il consenso scientifico. Paradossalmente, il fenomeno sembra essersi accentuato con la diffusione di internet.
In questo passaggio ci sono già tutti gli elementi della questione: la scienza; l’ignoranza del popolo; le colpe di internet.
Insomma oggi nasce la categoria dei negazionisti economici perché l’economia è diventata una scienza esatta o quasi…
Il punto centrale del libro è che negli ultimi anni l’economia ha attraversato una vera e propria rivoluzione. Grazie alla grande disponibilità di dati e a importanti innovazioni metodologiche, la conoscenza economica ora si appoggia su risultati sperimentali o quasi-sperimentali, e l’evidenza empirica svolge un ruolo fondamentale nel guidarne il progresso. Da un lato, questo vuol dire che la conoscenza economica ha ora solide basi empiriche e le sue prescrizioni sono diventate più affidabili.
Dall’altro, il metodo sperimentale può essere esteso per valutare le conseguenze di specifici interventi di politica economica, senza dover fare affidamento su ipotesi solo teoriche. Tuttavia, questi progressi spesso sono ignorati al di fuori della disciplina, con la conseguenza che il dibattito di politica economica è di frequente viziato da pregiudizi ideologici.
Il principale trucco è nel presentare l’economia come una scienza naturale e non come una costruzione umana fatta di scelte tra alternative possibili.
Una volta fatto questo passo però non tutto quadra lo stesso, si parla di un ‘quasi esatto’ che significa errato, in un ambito che appartiene ai sistemi complessi è soggetto al noto effetto farfalla che amplifica a dismisura le conseguenze di piccole variazioni, questa scienza quasi-esatta è però così certa, secondo Tabellini, da giustificarne l’imposizione coatta degli assunti e a relegare nella geenna delle idee sbagliate per definizione gli argomenti contrari, e così anche le teorie alternative anziché sistemi possibili diventano pregiudizi. Un orecchio allenato (come dovrebbero essercene qui su CS) riconosce subito la posizione scientista di origine positivista che nega legittimità a ogni pensiero diverso dal proprio accusandolo di essere un’ideologia, ma poi esso stesso si pone come ideologia unica che per geniale definizione si pone come non ideologica.
Appena assunto il ruolo di depositari di una scienza naturale esatta, con un mirabile salto di orwelliano bipensiero, ci avvertono di non prendercela con loro se poi i timori dei negazionisti dovessero rivelarsi fondati perché questa scienza quasi-esatta di fatto non è poi così esatta:
…gli economisti non devono vendere false certezze. L’economia ha molte implicazioni rilevanti per la politica economica, e ormai ci sono tante conoscenze pratiche che possono informare le decisioni politiche. Tuttavia, in economia non vi sono leggi universali che valgono con esattezza e precisione e la nostra capacità di prevedere le conseguenze di specifiche azioni è comunque limitata.
Quindi la scienza economica di Tabellini (meglio Lascienza) si dichiara infine essere per quello che è, cioè un’ideologia che pretende di non esserlo, che deve essere accettata senza esitazioni e che rigetta ogni possibilità di critica.
Questa è l’essenza dei governi tecnici, o meglio della “Scientocrazia” già denunciata su queste pagine dal 2012, ma le affermazioni del bocconiano sono ancor più interessanti in quanto, come fa giustamente osservare Blondet, su La Stampa viene indicato come il prototipo del candidato ideale a Palazzo Chigi, allora alla citazione che Tabellini fa di Pierre Cahuc et André Zylberberg contrappongo quella di un autore come Alain Deneault e il suo prezioso “La mediocrazia”:
Eppure rovesciare i poteri e le istituzioni che recano grave danno alla cosa comune, ossia fare la rivoluzione, è un’urgenza primaria…
Pensare la rivoluzione senza romanticismo presuppone di non coltivare nessun preconcetto insindacabile su ciò che la rivoluzione stessa deve essere. Più che precisare una tattica esclusiva o un movimento programmatico della storia, si tratta di riconoscere in questa parola un fatto necessario, un agire mirato a por fine a determinati fenomeni sociali, economici, politici.
Fare la rivoluzione, è un’urgenza primaria…
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