Mattarella in stato d’accusa? Non dichiamo fesserie
di ALDO GIANNULI
Mattarella in stato d’accusa? Non diciamo fesserie.
Dell’esito della crisi con le dimissioni di Conte diremo meglio prossimamente. Ora ci tocca affrontare il tema più urgente: mettere Mattarella in stato d’accusa o no?
Partiamo dalla questione di merito: il Presidente (art. 90 della Costituzione) può essere messo in stato d’accusa solo per due reati: alto tradimento ed attentato alla Costituzione (per intenderci: colpo di Stato).
Escluso il reato di alto tradimento, che non c’entra nulla, prendiamo in considerazione quello di attentato alla Costituzione, per il quale andrebbe preso in considerazione il precedente della richiesta di messa in Stato d’accusa del Presidente Cossiga da parte dell’allora Pds. In quella occasione, il Pds sostenne che l’attentato alla Costituzione si sarebbe configurato per alcuni atti del Presidente che, alterando i rapporti di potere fra gli organi costituzionali (la questione riguardava i rapporti con la magistratura) avrebbe stravolto l’ordinamento costituzionale anticipando una sorta di regime presidenziale.
Dunque, nel nostro caso, il Presidente avrebbe prevaricato il Presidente del Consiglio e la maggioranza parlamentare che lo sosteneva, impedendo la formazione del governo. Che fondamento ha questa tesi? Da un punto di vista formale, nullo direi: il Presidente non ha impedito la formazione del governo, ma solo rifiutato una delle proposte del Presidente del Consiglio chiedendo un altro nome al ministero dell’economia, ma è stato il Presidente del Consiglio a non fare questo nome e rinunciare all’incarico. Quindi il fatto lamentato non sussiste: se Conte avesse proposto un altro nome, il governo si sarebbe formato. Pertanto, il Capo dello Stato ha solo esercitato il potere di scelta dei ministri esplicitamente previsto dalla Costituzione.
Ma abbandoniamo il piano puramente formale per passare a quello sostanziale. E’ abbastanza evidente (e dichiarato dallo stesso Mattarella) che l’opposizione a Savona non aveva a che fare con le caratteristiche della persona ma con le sue posizioni in materia di ordinamento monetario, evidentemente condivise dalla maggioranza parlamentare. Qui si potrebbe intravedere una invasione di campo sui poteri del governo, dato che la definizione degli indirizzi di politica monetaria ed anche l’eventuale revisione dei relativi trattati in materia spetta al governo ed il Presidente deve astenersi da entrare nel merito salvo che eventuali decisioni ledano principi costituzionali come la tutela del risparmio (cosa che, però, il Presidente potrebbe fare rifiutando la firma all’eventuale rimandandolo alle Camere, mentre è discutibile che lo faccia preventivamente, sulla base delle convinzioni espresse dal candidato ministro in sede scientifica e non di ufficio).
Qui siamo molto sul limite estremo della linea d’ombra fra lecito ed illecito, un reciproco processo alle intenzioni per cui il Presidente rifiuta la nomina di un ministro perché pensa che il ministro darebbe il via ad una operazione di sganciamento dell’Italia dall’Euro e la maggioranza parlamentare pensa che neghi la nomina per impedire surrettiziamente la formazione di un governo che esprima una linea politica sgradita. Ma, come si sa, un processo alle intenzioni non si può fare. Certo la definizione dell’indirizzo politico spetta a Governo e Parlamento, mentre il Presidente ha poteri di indirizzo costituzionale ma non politico proprio per la sua funzione arbitrale, dunque se c’è una maggioranza determinata dal voto popolare, il Presidente deve prenderne atto.
Tuttavia, Mattarella, dal canto suo, correttamente fa notare che la questione dell’appartenenza dell’Italia all’Euro non è stata materia di dibattito elettorale e che, se la Lega lasciva trasparire –pur senza dirlo esplicitamente- una sua disponibilità a recedere dall’Euro, questa non era la posizione della coalizione di centro destra di cui era parte e con la quale ha vinto nei collegi uninominali del nord. Quanto al M5s, la precedente posizione ostile alla moneta comune era stata largamente ritrattata e sostituita da una nuova posizione ben più favorevole all’Europa ed alla sua moneta. Dunque è quantomeno discutibile che ci sia stato un mandato popolare ad operare in questa direzione.
Pertanto anche sotto il profilo sostanziale l’accusa appare assai fragile e quasi inconsistente.
Ma il Parlamento è un giudice politico e le disquisizioni giuridiche valgono assai poco: in passato nessun Presidente venne deferito all’Alta Corte (e qualcuno lo avrebbe meritato) sulla base di calcoli politici, oggi potrebbe deferire Mattarella sulla base degli stessi calcoli. Servono 477 voti, M5s e Lega ne hanno 518 e potrebbe aggregarsi anche Fratelli d’Italia, quindi i voti per deferire Mattarella ci sono. Si ma politicamente è fattibile?
In primo luogo c’è un contrasto fra la richiesta di messa in stato d’accusa e quella di immediate nuove elezioni: la procedura sulla messa in stato d’accusa prevede che la proposta venga formalizzata, che quindi i Presidenti dei due rami del Parlamento nominino una commissione straordinaria di parlamentari incaricati di un esame preliminare e che, superato questo giudizio, si porti la questione alla seduta comune del Parlamento che decide a voto segreto.
E’ prevedibile (anche sulla base delle esperienze precedenti) che l’esame preliminare richieda qualche mese, poi ci vorrebbe altro tempo per la convocazione del Parlamento in seduta comune, quindi per il dibattito e il voto. Tutto sommato, almeno tre-quattro mesi durante i quali lo scioglimento non potrebbe essere deciso, anche perché, ai contrari basterebbe fare ostruzionismo per arrivare alla data delle elezioni e far decadere la proposta di messa in stato d’accusa. Quindi occorrerebbe attendere la fine di questi ciclo ed il deferimento all’Alta Corte per procedere allo scioglimento delle camere, il che avverrebbe non prima del nuovo anno, e, nel frattempo, che governo si fa?
Peraltro la sovrapposizione delle due procedure (scioglimento anticipato e messa in stato d’accusa) creerebbe almeno due problemi di ordine costituzionale: in primo luogo si stabilirebbe un precedente molto pericoloso per il quale il Presidente che ha in corso una procedura accusatoria può sciogliere il Parlamento, quel che potrebbe tornare comodo ad un futuro presidente che corra rischi più seri di quello attuale. In secondo luogo, il nuovo Parlamento potrebbe non essere affatto del parere del precedente e potrebbe porsi il problema del se il deferimento già deciso sia ancora valido prima che l’Alta Corte sia composta ed abbia iniziato il dibattimento.
Ancora: il Parlamento può decidere la messa in stato d’accusa, ma la decisione finale spetta all’Alta Corte composta dai 15 giudici costituzionali (che si immagina siano un po’ più sensibili a valutazioni di ordine giuridico) e 16 di espressione parlamentare, fra cui anche quelli espressi dai partiti ostili al deferimento. La sentenza appare assai meno scontata del deferimento.
Ma nel frattempo che facciamo? Abbiamo il paese sotto attacco finanziario, nessun governo, un Parlamento paralizzato, uno stato di crescente sfiducia dei cittadini e noi, per non farci mancare niente che facciamo? Ci aggiungiamo un Presidente in stato d’accusa per almeno un paio di anni. Quale sarebbe la reazione dello spread alla sola notizia della richiesta di messa in stato d’accusa? Ma voi questo paese volete proprio ridurlo al fallimento senza speranze.
Fonte: https://www.facebook.com/aldogiannuli
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