Rilanciare la cultura dell’interesse nazionale: una sfida chiave
di ALDO GIANNULI (Andrea Muratore)
Le dinamiche della globalizzazione hanno, nel corso dell’ultimo quarto di secolo, più volte spiazzato un’Italia ritrovatasi molto spesso impossibilitata a comprendere quali fossero le sue prospettive, le sue priorità e, soprattutto, le sue potenzialità nell’approccio agli eventi del mondo.
A ignorare, in altre parole, la definizione delle linee guida a cui dovrebbe conformarsi l’interesse nazionale, espressione troppo spesso abusata ma che di fatto è definibile, in maniera chiara, come la somma delle priorità della politica estera di un Paese, del loro rapporto con le principali dinamiche economiche e sociali e degli strumenti di cui l’apparato politico si dota per poterle realizzare concretamente.
“Per varcare la linea d’ombra”, ha scritto Lucio Caracciolo nell’editoriale d’apertura al numero di Limes di aprile 2017, “dobbiamo emanciparci dall’idea che il nostro interesse nazionale consista nel non averne, salvo aderire a quello, tra gli altrui, che ci pare prevalente”: in questa osservazione di Caracciolo è riassunto, in maniera convincente, il vulnus principale del nostro Paese, ovvero il decadimento della cultura del pensiero strategico.
Riflessioni sull’Italia che non sa più “pensare” l’interesse nazionale
Le direttrici tradizionali su cui la geopolitica italiana si è imperniata nel secondo dopoguerra, quella atlantico-continentale e quella mediterranea, sono state progressivamente abbandonate da Roma che, se sul primo fronte ha, con diverse intensità, optato per il docile appiattimento linee fissate dagli Stati Uniti in campo Nato e dalla Germania in sede comunitaria, nel secondo è andata letteralmente in corto circuito, come ignorando che nel Mare Nostrum abbiamo la prima linea della nostra proiezione nel mondo.
Questa tesi è condivisa da Guido dell’Omo e Leonardo Palma, che in un recente, interessante articolo pubblicato su Nazione Futura hanno invitato a un ripensamento completo dell’approccio italiano alla politica estera e al concetto stesso di “interesse nazionale” e segnalato la mancanza, in Italia, di una classe dirigente e di figure capaci di “affrontare al meglio le sfide epocali che si prospettano cercando contemporaneamente di tutelare l’interesse, la storia, la cultura del proprio popolo e della propria nazione”.
“Qui si parla di mancanza di visione”, aggiungono i due autori. “Nessun politico italiano sa che tipo di Italia desidera nel concreto. L’Italia non è più in grado di formare classe dirigente; ha smesso di produrre statisti. E di questi c’è bisogno per capire che ruolo poter ritagliare per l’Italia in un mondo che vede sfide e opportunità enormi. La classe politica non è attrezzata culturalmente, politicamente e moralmente per elaborare una politica estera coerente e di ampio respiro”.
A dell’Omo e Palma fa eco l’analisi puntuale di Alessandro Sansoni che su Il Giornale ha aggiunto un’ulteriore pregiudiziale sfavorevole al nostro Paese, ovvero l’assenza di interesse per le tematiche internazionali tanto nel contesto mediatico quanto nel dibattito pubblico. “Si tratta di una patologia che inquina il dibattito ed impedisce all’opinione pubblica di farsi un’idea chiara in politica estera. […] solo in casi eccezionali i quotidiani dedicano più di un paio di pagine agli esteri. A ciò va aggiunto l’approccio dei media mainstream: sempre ideologico, orientato alla ricerca dei buoni e dei cattivi, mai a un’analisi razionale dei fatti in una prospettiva collegata all’interesse nazionale […] Talvolta i giudizi veicolati sono così smaccatamente contrari ai nostri interessi da far pensare che ci sia malafede. In realtà c’è un problema più profondo: dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia è stato considerato equivoco qualunque atteggiamento patriottico e messa al bando la formazione geopolitica delle classi dirigenti e degli intellettuali. Mancano insomma gli strumenti culturali per pensare l’interesse nazionale”.
Mancanza che si inserisce in un quadro di mediocrità divenuto oramai generale in cui forte è la necessità per una nuova cultura politica e partitica che ponge i presupposti per una rifondazione della Repubblica. A questo tema si è dedicato, di recente, Ernesto Galli della Loggia: “La democrazia italiana ha bisogno di un forte richiamo a un impegno nazionale comune”, da attuarsi attraverso una nuova cultura politica che superi la palude in cui quella attuale è intrappolata e in cui non si trova spazio per qualsivoglia ragionamento organico di lungo termine.
Le prospettive dell’Italia
Galli della Loggia inserisce il rilancio della politica italiana in un contesto di “rifondazione della Repubblica”. L’interesse nazionale e la politica estera hanno come presupposto l’ordinato funzionamento dello Stato e del sistema-Paese. E oramai non è solo la politica a latitare: Giuseppe Berta, nel suo fondamentale saggio Che fine ha fatto il capitalismo italiano?, ha sottolineato le responsabilità del mondo imprenditoriale italiano nella transizione di sistema verificatasi agli albori della globalizzazione post-Guerra Fredda.
Le prospettive strategiche dell’Italia devono fondarsi, in primo luogo, sulla realpolitik e su un equilibrato bilanciamento della relazione tra obiettivi e capacità disponibili per concretizzarli: in questo contesto, la globalizzazione offre per noi opportunità importanti all’Italia, “Paese strategico che rifiuta di esserlo”, come ha scritto il già citato Caracciolo. Il posizionamento al centro del Mediterraneo, lo storico rapporto di buon vicinato con la Russia e la crescita delle ambizioni economiche cinesi ci permetterebbero, se volessimo, di ottenere ottimi risultati senza mettere in discussione il solido ancoraggio occidentale, che non può risolversi nel mero ondeggiare tra Berlino e Washington ma deve evolversi attraverso la lettura dei vari scenari in cui l’Occidente è coinvolto in chiave della massimizzazione dell’interesse nazionale.
In questo contesto, è interessante la lettura data da Virgilio Ilari sull’ultimo numero di Limes di quella che dovrebbe essere la via maestra su cui sviluppare le politiche di consolidamento dell’interesse nazionale, ovvero la valorizzazione della “funzione geoeconomica dell’Italia, in cui la Penisola diventa il segmento centrale di una linea di comunicazione globale Est-Ovest […] La grande Farnesina della gloriosa Prima Repubblica pilotata dall’Eni si avvicinava alla realtà, con la metafora dell’Italia “crocevia” tra Est e Ovest (e tra Nord e Sud”. Uno spunto che basta a farci capire come la prima linea della partita per il rilancio dell’Italia si giochi, di fatto, sull’acquisizione di un sistema di infrastrutture, portuale e ferroviario in primo, degno per una strategia di così ampio respiro che massimizzerebbe l’ampiezza dei limitati spazi di manovra dell’Italia”.
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/rilanciare-la-cultura-dellinteresse-nazionale/
Commenti recenti