Italia più povera con questo euro
di SINISTRAINRETE (Andrea Mazzalai)
Recentemente il professor Stefano Zamagni ricordando il nostro Alcide De Gasperi, ha ricordato che disoccupazione strutturale e povertà estrema furono sin da subito i suoi principali cavalli di battaglia insieme alla lotta agli interessi costituiti che quando danno vita a forti coalizioni distributive, rappresentano la più grave minaccia alla crescita.
In questi giorni è uscito un rapporto pubblicato da Corporate Europe Observatory, un gruppo di ricerca indipendente che vuole far conoscere e sfidare l’accesso privilegiato e l’influenza che godono i gruppi di pressione nel processo decisionale europeo, un esercito di 1.700 lobbisti con a disposizione un fatturato annuo di oltre 120 milioni di euro, forniti da banche e altre imprese del settore per sostenerne le attività.
Non solo, nei primi mesi del 2013 un quotidiano inglese ha reso noti documenti secondo i quali, a Bruxelles, hanno stanziato milioni di euro per intervenire sui social network nei dibattiti sulla moneta unica, cercando di influenzare l’opinione degli utenti, in direzione unica.
Possiamo progettare mille europe diverse, snocciolare numeri e cifre, ma se non si comprendono i conflitti di interesse privati e nazionali che stanno dietro a questa unione monetaria, non basteranno mille tavole rotonde per trovare una soluzione, per non parlare delle centinaia di inutili summit politici che hanno caratterizzato questa crisi.
In questi anni solo l’analisi storica, l’analisi empirica e comportamentale, mi hanno aiutato a comprendere l’arrivo della crisi e il rischio relativo di un fallimento del nostro Paese. Nessuno può prevedere il futuro, solo la storia ci può aiutare a comprendere le possibili dinamiche future.
Detto questo, una premessa è assolutamente necessaria!
Il peccato originale di questa unione è stato quello di aver cercato di costruire prima un’Europa dei capitali e delle monete, un’unione monetaria prima che politica e fiscale, prima di un’Europa dei popoli. Dimostrare che questa unione non è sostenibile non significa essere contro il progetto europeo. Nessuno oggi, ripeto nessuno, tantomeno gli economisti, può arrogarsi il diritto di dire con certezza cosa accadrebbe se un paese uscisse dall’euro, mentre in realtà le conseguenze di quello che sta accadendo alle economie di molti paesi europei, sono sotto gli occhi di tutti, quello che è accaduto e sta accadendo al nostro Paese è realtà.
Oggi non abbiamo bisogno di ideologie o correnti di pensiero accademico, ma di uomini e donne pragmatici, di statisti che trovino una soluzione negoziale.
Potrei elencarvi decine di studi sulle conseguenze di un’uscita dall’euro, ognuno diverso dall’altro, nelle conclusioni giuridiche, finanziarie e sociali, un sistema complesso di difficile comprensione per la gente comune. Non abbiamo bisogno di politici in campagna elettorale che approfittano del momento per fare facile demagogia per un pugno di voti dell’ultima ora, ma di maggiore consapevolezza, di uno sforzo personale ed individuale per cercare di comprendere il destino di un’unione che in una maniera o nell’altra può condizionare la nostra esistenza e quella dei nostri figli e nipoti.
Una crisi di debito privato che si è trasformata in una crisi di debito pubblico, attraverso la socializzazione delle perdite, oltre 4500 miliardi di euro impiegati per cercare di salvare banche d’affari che a loro volta hanno speculato contro gli Stati, sulla crisi di debito sovrano. E’ inutile parlare dei costi di una permanenza o di un’uscita dall’euro, quando non è stato ancora compreso il costo di aver tuttora un sistema finanziario fuori controllo composto in buona parte da banche d’affari speculative tecnicamente fallite e sistemi bancari ombra con bilanci imbottiti di derivati, controbilanciato in parte dalle banche tradizionali legate al territorio. Un sistema ancora oggi troppo grande per fallire, troppo sistemico anche per gli Stati, al punto tale che la recente unione bancaria è giunta alla conclusione che d’ora in poi, saranno azionisti, obbligazionisti e depositanti a pagare il prezzo dei prossimi fallimenti.
Un paio di giorni fa il professor Esposito ha esibito alcuni numeri relativi alla crisi del 1992 con percentuali varie, sia in relazione alla svalutazione che sulla presunta inflazione alla quale andrebbe incontro il nostro Paese, soffermandosi su quello che secondo lui accadrebbe a risparmi, conti correnti, titoli di Stato e via dicendo, condividendo scenari possibili e allo stesso tempo improbabili.
Ad esempio rispetto a quanto accadde nella crisi del 1992, basterebbe ricordare che l’allora professor Mario Monti, rettore della Bocconi un anno dopo in un’intervista al quotidiano Repubblica dichiarava… ”non siamo stati gli unici a saltare, ma anzi siamo stati i primi a vedere la strada da seguire. Però può anche portare a considerazioni più preoccupate su come altri paesi stanno cercando di reagire alla crisi dello Sme e come noi stiamo cercando di reagire”. In che senso, chiede il giornalista? “Nel senso che vi è una tendenza in Italia a considerare la svalutazione come uno degli elementi positivi del nuovo panorama, anche da parte di coloro che fino al 13 settembre scorso si erano pronunciati a favore del mantenimento del cambio. Io sono tra questi e perciò mi sono chiesto ogni tanto in che cosa fosse giusta e in che sbagliata la posizione che poi è stata smentita dai fatti”. E che risposte si è dato? “Un punto dove certamente ho visto male riguarda le conseguenze inflazionistiche”. Perché l’ inflazione è bassa…. “Sì, per ora non ci sono stati effetti. C’ entra anche la recessione…”
Da quel momento in poi l’inflazione non ha fatto altro che scendere! Oggi più che mai, in mezzo ad una depressione economica, persistente disoccupazione e svalutazione salariale, il rischio maggiore è la deflazione, accentuata dalle fallimentari politiche di svalutazione interna.
Ci si può spaventare perché nel ’92 nel giro di quattro mesi la lira perse il 30 % mentre è normale che la sterlina abbia perso rispettivamente il 27 % e il 31 % contro dollaro e euro nel 2007 e la sua economia ne abbia beneficiato. La crisi Argentina riesce sempre bene nella parte dell’uomo nero nascosto dietro l’uscita dall’euro, peccato che nessuno si prenda la briga di confrontare la situazione argentina con quella italiana, come nei talkshow televisivi, si dice di tutto e di più, ma nessuno mai va a verificare la fondatezza di certe tesi.
Il professor Esposito nel suo intervento ha dichiarato inoltre
…” il panico e le reazioni a catena nel sistema finanziario italiano che deriverebbero da una uscita dall’euro potrebbero determinare una crisi economica e una svalutazione ben superiore a quelle sperimentate in passato, perché una cosa è uscire da un sistema di cambi fissi e un’altra è uscire da una unione monetaria.”
Sulla base di quale analisi empirica e di quale precedente conclusione di unioni monetarie si basa questa affermazione? Se guardiamo a quello che è accaduto alle unioni monetarie latina e scandinava all’inizio del secolo scorso, unioni sciolte per interessi divergenti e desiderio di riacquistare la propria sovranità monetaria, nulla di tutto ciò è accaduto.
Aggiungiamoci pure che il professor Eichengreen, uno dei massimi esperti di sistemi monetari ha dichiarato che l’unione europea costituisce una costruzione monetaria sui generis, dotata di caratteri del tutto peculiari, una figura inedita, e come tale rappresenta un terreno inesplorato e non può essere paragonata a nessun’altra esperienza di unificazione monetaria del passato, è un parallelo fuorviante, citando Paul Valéry…”La storia è la scienza di ciò che non si verifica mai due volte”
La necessaria integrazione europea non può essere minata dall’ostinazione in un progetto monetario che si è dimostrato fallimentare, ribadisco unione monetaria, euro e non la necessaria integrazione europea, una soluzione che non passa necessariamente dall’uscita dell’Italia dall’euro, ma attraverso l’uscita di comune accordo di tutti i paesi che si ritengono maggiormente competitivi, Germania in primis, liberando la banca centrale europea di quei vincoli anacronistici che hanno accentuato la presente crisi.
E’ chiaro ormai a tutti che le banche centrali di America, Inghilterra, Giappone e in parte anche la Svizzera stanno sostenendo l’economia dei propri paesi attraverso una persistente svalutazione e monetizzazione del debito pubblico, inondando di liquidità i mercati ma non solo, sostenendo anche i rispettivi mercati immobiliari e in parte il mercato del credito.
Qualcuno ovviamente sorriderà, la Germania non ha alcun interesse a lasciare l’euro, ma il tempo è ormai scaduto e laggiù dietro l’angolo incombe il fiscal compact. Si tratta di un impegno annuale da 50 miliardi, necessario per ridurre il debito di 1/20 per i prossimi venti anni, eludibile solo con una crescita nominale del 3 % , mentre oggi arriviamo a malapena al 0,6 % secondo gli ultimi dati. Dobbiamo rinegoziare vincoli anacronistici, ora, subito adesso. Abbiamo bisogno di un euro debole, di una moneta debole, di una banca centrale che pratichi politiche monetarie espansive a sostegno dell’economia reale e non solo delle banche e di maggiore spesa pubblica o meglio di una migliore redistribuzione della stessa, un “new deal” che ci faccia uscire da questa depressione con lavoro e investimenti, senza dimenticare un completa riforma della finanza e del sistema economico in senso cooperativo più che competitivo.L’esperimento monetario dell’euro è fallito!
Non è più solo una questione di benessere, ma di sopravvivenza, la storia per l’ennesima volta sta bussando alla porta. Una nuova crisi è questione di mesi, non lo dico io ma Luigi Zingales, uno dei più importanti consiglieri economici di Renzi, in un’intervista al Foglio”:
…o l’Eurozona si autoriforma “nei prossimi 18-24 mesi oppure i costi di rimanere cominceranno a eccedere i benefici e l’uscita diventerà il male minore”.
Fonte: https://www.sinistrainrete.info/europa/12471-andrea-mazzalai-italia-piu-povera-con-questo-euro.html
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