Se dovessimo confrontarci con il nuovo Governo per modificarne il programma, lo faremmo avendo in mente un obiettivo minimo e uno massimo rispetto ai quali muoverci nel confronto.
Oggi scriviamo sulla modifica minima accettabile.
Il criterio che guida il nostro ragionamento è quello per cui vi deve essere un rifiuto aprioristico e vincolante della disoccupazione involontaria, dato che non vi è alcun motivo per cui questa debba essere tollerata. Intendiamo per disoccupazione la forza lavoro che ricerca un impiego dignitoso [1] senza riuscire a trovarlo; non è semplicemente uno spreco, ma una discriminazione nei confronti della partecipazione al sistema economico. Una produzione reale persa che non potrà mai più essere recuperata.
La piena occupazione, ovvero la capacità produttiva a regime, è il punto di partenza che apre ad una serie di dilemmi in termini di cosa produrre e come distribuire. Prima della piena occupazione non ha senso porsi questi dilemmi, perché la torta può essere più grande; puoi produrre più di una cosa senza produrre meno di un’altra, e la moneta può essere utilizzata per attivare maggiore capacità produttiva e non solo per distribuirne i frutti.
La premessa di un programma politico è la piena occupazione. Dopo aver esplicitato tale premessa, si può discutere di come far evolvere la struttura economica di un Paese, il suo grado di dipendenza-autonomia, il suo livello di “produttività” e le implicazioni in termini di distribuzione e di povertà relativa (la piena occupazione dignitosa elimina quasi completamente la povertà assoluta).
L’integrazione di minima al Contratto di Governo gialloverde è la seguente:
- Aumento della spesa pubblica in deficit ottenuto aumentando la spesa pubblica, spendendo a prezzi costanti ed eliminando l’IVA fino ad un livello di disoccupazione inferiore all’1%.
- Rimozione del pareggio di bilancio dalla Costituzione entro la legislatura.
Il Contratto di Governo non chiarisce quale sia il criterio con cui verrà determinata l’ampiezza del deficit, e questo equivale a non esprimersi su ciò da cui dipende la validità di tutto il resto. Per questo è necessario porre la piena occupazione come limite quantitativo e i “prezzi costanti” come parametro “qualitativo”.
Il deficit, la quantità di valuta immessa con la spesa nel settore privato e non ritirata con le tasse, può essere ottenuto sia tramite la diminuzione delle tasse sia tramite l’aumento della spesa pubblica. Noi proponiamo che ciò venga fatto su entrambi i fronti, perché su entrambi i fronti vi sono semplici e importanti misure da adottare. È necessario che questo aumenti abbastanza da creare nell’economia una spesa capace di assorbire tutta l’offerta di lavoro.
In linea teorica ciò può essere ottenuto, come pare si voglia ottenere dal Contratto di Governo, anche con lo scorporo degli “investimenti produttivi” dal calcolo del deficit, che permetterebbe di “bypassare” il limite del 3% deficit/Pil.
Per quanto riguarda l’aumento della spesa, è importante spendere a prezzi costanti al fine di non ri-denominare il valore della valuta e dunque non creare inflazione o deflazione. L’inflazione non è un problema (di per sé neanche la deflazione), ma la compressione del sistema monetario è talmente limitata a livello di media e di corpi intermedi che un aumento dell’inflazione darebbe spazio a possibili fobie che nuocerebbero alla bontà del dibattito di politica economica e all’evoluzione delle politiche stesse. Evitiamo di mettere le basi per portare acqua al mulino dei fan dell’austerità e dimostriamo come sia possibile raggiungere la piena occupazione senza “inflazione monetaria”. Se lo Stato spende a prezzi costanti, l’unica vera inflazione possibile è quella legata a casi di euforie nel credito bancario, per esempio nell’edilizia, o quella importata, come quella dovuta a shock petroliferi, ma entrambe sono facilmente individuabili perché legate a settori specifici e, più che vera e propria inflazione, si tratterebbe di un cambiamento di valori relativi interni al paniere di beni.
Sul fronte della diminuzione delle tasse, la prima tassa da far saltare è l’IVA:
- non ha alcuna funzione positiva, si porta dietro costi reali accessori inutili in termini di registrazione contabile [2]
- impatta sia sulle fasce deboli sia su quelle abbienti, che spendono solo una piccola componente dei loro introiti in beni di consumo
- contribuisce paradossalmente a creare una concentrazione della ricchezza verso l’alto.
È fondamentale assicurarsi che una politica di pieno impiego possa perdurare e che quindi, al fine di evitare la possibilità che un Presidente della Repubblica denunci l’incostituzionalità di queste politiche, è importante almeno provare a togliere dalla Costituzione l’assurdità del pareggio di bilancio!
Viva l’Italia.
Note dell’Autore
1.^ Con remunerazione al di sopra della soglia di povertà in condizioni di lavoro non irrimediabilmente degradanti, fisicamente o psicologicamente.
2.^ È necessario allocare forza lavoro alla produzione di scontrini, casse elettroniche e simili, invece di impiegarla in attività produttive.
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