Così le banche in saldo risanate dallo Stato italiano diventano prede facili per gli stranieri
di DIARIO DEL WEB
ROMA – Per colpa dello spread e dell’incertezza politica italiana si rischia di consegnare le banche italiane, ormai risanate, agli stranieri a causa di una «differenza abissale» tra patrimonio netto e capitalizzazione in Borsa. Con i cali di Borsa, infatti, le banche valgono molto meno del loro capitale, come ai tempi della grande crisi. Una situazione potenzialmente pericolosa per i lavoratori bancari che verrebbero svenduti, trovandosi di fronte a un futuro incerto. A lanciare l’allarme è un’analisi della FABI, primo sindacato del settore bancario, secondo cui a differenza del 2011, oggi le banche sono tornate a essere redditizie e hanno ripulito i loro bilanci dalle sofferenze.
Un quadro assai diverso e dunque più favorevole che rende gli istituti di credito italiani appetibili, soprattutto per i fondi esteri: chi volesse comprare l’industria bancaria italiana la troverebbe risanata e in saldo. Due grandi gruppi come Ubibanca e BancoBpm – che valgono circa 20 miliardi di euro – potrebbero essere comprati, stando alle attuali quotazioni, con soli 8 miliardi.
Ai fondi esteri interessano guadagni facili e in tempi brevi
«L’allarme sul fatto che le banche italiane possano diventare prede facili è quindi del tutto giustificato» dichiara in una nota il segretario generale della FABI, Lando Maria Sileoni. «A noi non interessa, in via di principio, quale sia la residenza degli azionisti delle nostre banche. Sappiamo bene, però, che ai fondi esteri interessano guadagni facili e in tempi brevi. Un obiettivo che gli avvoltoi stranieri sono disposti a raggiungere con spregiudicatezza, anche a danno dei lavoratori, se c’è da risparmiare e da tagliare i costi in maniera indiscriminata. Ecco perché siamo preoccupati» spiega Sileoni. Negli ultimi sei anni nel settore bancario europeo sono stati persi 328.500 posti di lavoro dei quali il 70% attraverso licenziamenti di personale. In Italia sono stati persi oltre 40mila posti di lavoro, ma senza un licenziamento, soltanto attraverso pensionamenti e prepensionamenti volontari.
Pesano le tensioni politichelegate al debito
I timori sono legati al recente andamento dei mercati finanziari, che ha subito gli effetti delle tensioni politiche sul debito pubblico italiano: ogni volta che si allarga lo spread, il differenziale di rendimento tra i btp italiani e i bund tedeschi, puntualmente le banche italiane cadono in borsa. La ragione è semplice: le banche hanno tuttora in pancia 340 miliardi di titoli di Stato, circa il 15% di tutti i titoli di debito italiano in circolazione. Vuol dire che quando l’Italia finisce nel mirino della speculazione finanziaria, l’attacco si riflette immediatamente sull’andamento delle banche sui listini di Borsa. Nell’ultimo mese la caduta media dei titoli bancari è stata di oltre il 20% del loro valore di mercato, proprio mentre lo spread è schizzato da 130-140 punti base fino a sfiorare i 300 punti.
Durante la crisi del 2011, per fare un paragone, le banche hanno quotato valori medi del 50% del loro patrimonio netto. Ma all’epoca questi valori depressi erano giustificati dalla redditività bassa o negativa e dal forte carico di sofferenze. Oggi il quadro è diverso: le banche sono tornate a fare utili e sono fortemente calati gli stock di npl (non performing loan) e di accantonamenti. Lo stato di salute ritrovato rischia ora, se lo spread dovesse avere nuove fiammate verso l’alto, di essere mal rappresentato in borsa. Numeri alla mano, emerge una differenza abissale tra patrimonio netto e valore in borsa. Secondo rapide stime, con 8 miliardi si potrebbero comprare Ubibanca e BancoBpm: due banche che insieme valgono oltre 20 miliardi.
A rischio anche il lavoro
«Si rischia di consegnare l’industria bancaria, già posseduta oggi per il 60% da fondi stranieri, a qualche grande banca europea». Ma il pericolo non è solo quello di mettere in saldo le nostre aziende bancarie. Con loro verrebbero svenduti anche i lavoratori e il loro futuro. I grandi gruppi stranieri infatti non avrebbero motivo di preoccuparsene. Con una logica a breve termine spremerebbero le banche acquistate solo per farne profitti velocemente. «Non possiamo permettercelo» osserva Sileoni. «Carlo Messina di Intesa ha detto che a 32-33 miliardi di euro il gruppo è a rischio scalata. Ha ragione, perché a quella quotazione varrebbe solo il 60% del patrimonio. Ora Intesa fa utili e si è ripulita dalle sofferenze, ma a quel prezzo diventa preda e non predatore. A noi interessa salvaguardare i posti di lavoro di ogni istituto bancario» conclude il segretario generale della Fabi.
Fonte:https://www.diariodelweb.it/economia/articolo/?nid=20180623-520904
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