Il vero sovranismo inizia dal controllo di sé
di CLAUDIO RISÈ
La grande stampa che dopo aver fiancheggiato tutti i governi italiani dal dopoguerra in poi, prima delle ultime elezioni assicurava la sconfitta di quelli che poi hanno vinto, e dopo la loro incapacità di formare qualsiasi governo, ora ne dà per certa la rapida fine e successiva scomparsa. Tra le principali ragioni della fine di questi governanti “provvisori” viene segnalata l’inconsistenza del loro bagaglio programmatico e culturale: populismo e sovranismo. Cosa accadrà del governo lo vedremo. Non scommetterei però un centesimo sulla scomparsa dello sfondo culturale e ideale per cui è stato votato. È da queste antiche tradizioni, rimosse da neppure un trentennio di globalizzazione (un tempo troppo breve per costruirci sopra qualcosa di solido), che sono venuti i voti, le prospettive, le alleanze internazionali, ed è ben difficile che spariscano.
Il sovranismo, ad esempio, è ben più che la riluttanza a pagare le tasse o l’ostilità/odio verso gli immigrati cui lo riduce l’informazione mainstream. La sovranità rimanda alla cosa più concreta della vita umana: il territorio su cui poggi i piedi, e di cui sei cittadino. È grazie a questo rapporto con la terra che il popolo vota i suoi rappresentanti, esercitando la sovranità, come dice appunto dice la Costituzione. Quando il popolo torna ad essere consapevole di questo fatto cambia tutto rispetto all’astrattezza della globalizzazione, dove voti con la testa e non con i piedi, come raccomanda invece da sempre il pensiero realista e sovranista. Che è appunto il massimo della democrazia, perché in quanto legata al territorio la sovranità appartiene ad ogni cittadino e il sovrano, il basileus greco, la esercita come servizio alla città, alla società.
Qui c’è anche un aspetto psicologico importante, ignoto al mainstream. Il capo comanda agli altri perché si è segnalato come qualcuno che ha il comando di se stesso, che governa le proprie forze e quindi sa guidare gli altri. Imparare a riconoscere le proprie energie e a dominarle nell’interesse comune, è nella formazione occidentale la vera educazione al potere. Per questo il precettore, l’insegnante personale del giovane Alessandro principe di Macedonia era Aristotele: per insegnargli a vivere, vale a dire a diventare padrone di sé. È la sovranità su se stessi quella sulla quale tutte le altre si fondano. Quest’idea continua poi con Tommaso d’Aquino, Agostino, il monachesimo, il Rinascimento, Leonardo da Vinci.
Il sovrano si misura sulla capacità di autogoverno. Si dirà che tutto ciò non importa perché a parte Benedetto XVI che l’ha più volte ricordato, non lo sa nessuno. Né i politici che da decenni si occupano soprattutto di organizzare clientele, né gli altri: si sa bene che la filosofia viene oggi presentata come se prima di Darwin e Marx non ci fosse niente da imparare. Il fatto però che quasi nessuno lo impari a scuola, non toglie di mezzo la potenza del sovranismo: dal rapporto col tuo territorio, anche psicologico, dipendono aspetti fondamentali della vita come il rapporto con l’altro sesso, quelli familiari, di lavoro, la vita stessa. Neanche i filosofi che hanno fatto dell’uomo che comanda a se stesso l’eroe occidentale (Teseo, o Ulisse) l’hanno imparato dai libri, ma da esperienze più profonde, appartenenti all’inconscio collettivo. A partire soprattutto da quelle religiose dove il comando su di sé, ritenuto un segno di amore per se stessi, deriva direttamente dal rapporto con Dio, e fonda quindi il rapporto con gli altri.
Pensate che sia roba d’altri tempi, ora che con con la secolarizzazione Dio è stato espulso dalla vita umana? Beh, è meglio aggiornarci perché anche quella pare che non ci sia più. La sociologia religiosa, che la studia con attenzione, la dà per morta dalla fine del secolo scorso e dell’Unione Sovietica. Guarda caso è da allora, infatti, che si è riaffacciata la passione per la sovranità su se stessi, e sui propri paesi.
L’idea che la sovranità sia la capacità di comandare a sé stessi è d’altra parte legata all’altro pilastro della civiltà occidentale: il valore della libertà. È perché il cittadino sa comandare a se stesso che in Occidente, in Grecia, a Roma, e nei paesi che da quelle civiltà presero poi forma, può essere libero, ha diritto di esserlo. È per questo che lo scienziato e filosofo Pitagora, ancora prima di Socrate, raccomanda l’esame di coscienza come pratica quotidiana, poi confermata dal cristianesimo: per diventare liberi da ogni dipendenza e capaci di realizzare il proprio Sé. L’esatto contrario dall’attuale società dei consumi e delle vanità più balorde. È per questo autogoverno del cittadino che il capo politico, perfino nei periodi in cui è un tiranno o dittatore, ne rappresenta e tutela la libertà.
Chiunque di noi abbia girato un po’ il mondo, anche solo per turismo, si accorge facilmente che negli altri continenti accadono con sorprendente facilità atti contro la singola persona umana da noi impraticabili (almeno ufficialmente). La ragione di ciò sta proprio nella diffusione in Occidente di quella particolare sovranità su di sé, che è anche garanzia della libertà degli altri. Infatti uno dei problemi, anche di polizia, collegato alle immigrazioni incontrollate, è la maggiore diffusione in diverse comunità immigrate (ad esempio) dello schiavismo, la perdita della libertà fra i loro componenti. È tra l’altro stata questa una delle ragioni per cui l’Inghilterra (abituata da più di un secolo agli immigrati) ha preferito votare per l’uscita dall’Europa e dalle sue immigrazioni incontrollate. La riduzione in schiavitù non è solo questione economica (può avvenire anche in famiglie molto ricche), ma riguarda i principi e valori sui quali le altre comunità sono fondate.
Libertà e responsabilità sono valori positivi in Occidente ma non altrettanto importanti in molte altre culture. Ecco allora perché i nuovi attuali capi sovranisti, italiani e stranieri, potrebbero invece durare molto a lungo. Il sovranismo, infatti, non è una robetta rabberciata negli ultimi decenni per cacciare via gli immigrati, ma è la visione della politica che ha strutturato la formazione della nostra civiltà, della sua psicologia e dei suoi valori, e che è stata messa in crisi dall’affermazione della modernità post illuminista e secolarizzata; negli ultimi 30 anni: globalizzata. Che oggi è appunto in evidente crisi.
La difficoltà per i nuovi leader non è la debolezza teorica o ideale del sovranismo, ma il contrario. Il problema è piuttosto, ormai, l’intrinseca fragilità dei nostri moderni “Stati della debolezza” (come il giurista Carl Schmitt li chiamava fin dagli anni 30 del secolo scorso), che i politici sovranisti oggi si trovano a guidare. Le cronache raccontano quotidianamente come gli Stati occidentali siano ora attraversati da forze che tendono alla loro stessa dissoluzione perché rifiutano il concreto per l’astratto, il luogo determinato (il territorio, appunto) per l’universale, la norma per l’ideologia, la morale con il moralismo o il politicamente corretto. È la debolezza degli Stati che essi amministrano e il “pensiero debole” in essi diffuso il vero problema dei leader populisti e sovranisti. Una debolezza pericolosa perché oltre a tutto il resto (come spiegava Carl Schmitt) colloca questi Stati sempre in una situazione intermedia tra pace e guerra: rischiano conflitti e guerre proprio perché incapaci di tutelare l’ordine attraverso decisioni politiche precise, “affidandosi piuttosto a ipotesi di pacificazioni automatiche e fantasticando di cancellare completamente il conflitto”. Un’ipotesi che la storia ha dimostrato infondata. Il sovranismo, con la sua giusta severità, riattualizza invece l’intuizione del suo sovrano e filosofo Marco Aurelio: “Retti bisogna essere, non da altri sorretti, o raddrizzati”. Prima che sia troppo tardi.
fonte: “La Verità”, 15.7.2018
Commenti recenti