‘Operation Twist’, l’arma segreta di Draghi per continuare a dare liquidità all’Europa
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Mauro Bottarelli)
Mentre il dibattito italiano si affanna sulla mancanza – oltre che di coperture finanziarie reali – di indicazioni relative ai dati di crescita del triennio 2019-2021 del Def e lo stesso Documento di programmazione economica appare la tela di Penelope, altrove si guarda avanti. E per altrove si intendono i mitologici mercati, quelli che con le loro reazioni possono promuovere o bocciare una manovra e, con essa, anche l’operato di un governo. E c’è da dire che, colmo dell’ironia quasi kafkiana della vita, un’enorme mano a uscire dall’impasse in cui si sono infilati con le loro alchimie aritmetiche Lega e 5 Stelle potrebbe arrivare dalla tanto vituperata Europa.
Per l’esattezza, dalla Bce. E non parliamo di tranquillizzazioni formali, di promozioni con riserva, parliamo di un potenziale calmante da cavallo per lo spread. A soli due giorni dal report di Goldman Sachs dedicato all’Italia, nel quale si faceva notare come con lo spread oltre 300 per un periodo prolungato di tempo, sarebbe stato necessario un cambio di politica a livello nazionale o europeo, ecco che giovedì pomeriggio una notizia faceva impennare l’euro e appiattire la curva di rendimento del Bund: stando a Market News, solitamente molto ben informato, la Bce starebbe considerando una ‘Operation Twist’ in salsa europea in vista della fine del Qe, con l’obiettivo di garantire uno scudo anti-spread proprio ai debiti più esposti (Italia e Spagna) ed evitare eccessive fluttuazioni sui titoli sovrani benchmark (Bund tedesco e OAT francese). Una sorta di reazione alle mosse della Fed, il cui atteggiamento sempre più da falco nelle ultime 48 ore ha portato a un vero e proprio bagno di sangue obbligazionario sui mercati.
In realtà non si tratta di un qualcosa di nuovo, perché già lo scorso aprile Bank of America rendeva noto come i suoi economisti vedessero probabile l’ipotesi di swap (scambio) sulle scadenze dei titoli già in possesso della Bce e in attesa di reinvestimento, al fine di garantire un arco temporale di detenzione che schermasse l’Europa da eccessive fluttuazioni e shock di mercato post-Qe. Il 29 giugno scorso, poi, ci aveva pensato l’agenzia Reuters a rilanciare la notizia, non ricevendo né conferme, né smentite dall’Eurotower e lasciando così intravedere la possibilità di una mossa a sorpresa di Mario Draghi verso la fine dell’anno.
Ma di cosa si tratta, come funzionerebbe questa riedizione europea di quanto operato dalla Fed nel 1961 e poi, soprattutto, nel 2011? Facendola molto breve e semplificando, significa rimpiazzare i bond a breve scadenza che vanno a maturazione e che sono già iscritti a bilancio con altri bond a lunga scadenza (invece che a breve), in modo da allungare la durata del portafoglio di detenzione obbligazionaria, che sul bilancio della Bce oggi ha un controvalore di 2,6 trilioni di euro. Di fatto, un’operazione chiave per mantenere basso il costo di finanziamento nell’eurozona anche dopo il 1 gennaio 2019.
Stranamente, la voce riportata dalla Reuters uscì in contemporanea con il vertice Ue, la cui determinazione sulla destinazione d’uso dei fondi Esm per la risoluzione bancaria passò bellamente sotto silenzio e con Eurostat che confermava ciò che si è aspettato per trimestri: il tasso di inflazione nell’eurozona era arrivato al mitologico 2%, ovvero l’obiettivo prefissatosi dalla Bce per il proprio programma di stimolo monetario. D’altronde, fin da principio, la banca centrale europea era stata volutamente vaga sul tema del reinvestimento dei bond già in portafoglio, visto che – lasciando intendere che il problema fosse il numero disponibile all’acquisto di Bund a lunga durata – aveva parlato di possibile “deviazione” dalla sua regola chiave, ovvero i paletti statutari che definiscono ciò che è acquistabile e ciò che non lo è.
Inoltre, stando a quanto riportato da Market News, rispetto all’originale della Fed, l’Operation Twist cui starebbe pensando Mario Draghi sarebbe molto meno rigida rispetto alle restrizioni poste sul tipo di bond ri-acquistabili. Vero? Falso? Una cosa è certa, la reazione del Bund all’indiscrezione ci dirà magari poco sulla credibilità della notizia ma molto sulla “sensibilità” del mercato al riguardo, ovvero il fatto che non sia solo il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ad attendere come pioggia di manzoniana memoria un ripensamento dell’Eurotower rispetto alle sue politiche espansive. I futures sui Bund hanno infatti dimezzato i cali, spedendo il rendimento del decennale ai minimi di sessione sotto lo 0,51% e la curva obbligazionaria tedesca fra 5 e 30 anni si è ristretta al massimo da due anni a questa parte.
- Il presidente della Bce, Mario Draghi, con il numero uno della Bundesbank Jens Weidmann. Foto di DANIEL ROLAND/AFP/Getty Images
Insomma, paradossalmente, i grattacapi sulle emissioni obbligazionarie del Tesoro potrebbero essere in parte risolti dalla Bce (e con la benedizione, magari dissimulata, della Bundesbank), la quale garantirebbe un’estensione temporale alla maturazione del debito italiano già detenuto e, di fatto, di nuova detenzione dopo lo swap fra breve e lunga scadenza, in questo modo “mettendo al sicuro” quel debito nei caveau di Francoforte, una sorta di Camelot del debito pubblico che nessuno speculatore, a meno di follia conclamata, si permette di sfidare con incursioni al ribasso.
E questo, di fatto, significa ossigeno anche per le banche italiane, le quali viaggiano ormai ben oltre i 325 miliardi di debito pubblico nei bilanci registrati ufficialmente a maggio e che, stante una Bce che tenesse fede alla sua promessa originaria di mero re-investimento dell’esistente, si sarebbero trovate a operare giocoforza da acquirente marginale dei Btp di nuova emissione. Da un lato, quindi, occupando attivi che verrebbero sottratti al credito a famiglie e imprese e, dall’altro, inglobando sempre più rischio attraverso quella carta così soggetta alle fluttuazioni dello spread e, quindi, a potenziali perdite di valore da scontare a bilancio.
La Bce interverrà, questa volta, smentendo o confermando? Di fatto, potrebbe non servire. Basterà vedere la reazione dei mercati nei prossimi giorni, i quali vedranno due appuntamenti di vitale importanza, oltre all’osservazione quasi maniacale del nostro spread sul Bund. Domenica 7 le presidenziali in Brasile, con la variabile Bolsonero già bollata come nefasta dall’Economist, che ci diranno molto riguardo il futuro del mercato emergente numero uno dell’America Latina, già tremebonda per il caso Argentina-Fmi. E poi domenica 14 con le elezioni in Baviera, fondamentali non tanto per il governo del Land quanto per la tenuta stessa di quello di coalizione Cdu-Csu-Spd a livello nazionale. Oltrettuto, con la spada di Damocle della fusione Deutsche Bank-Commerzbank che potrebbe agitare ulteriormente i sonni del Bund e, di converso, anche quelli del Btp, visti i circa 10 miliardi di debito italiano in pancia a Commerzbank che, in caso di merger, potrebbero divenire sacrificabili per esigenze di bilancio, stante il loro carattere di rischio sistemico.
Ma non basta. Perché sempre giovedì 4, praticamente in contemporanea con l’indiscrezione di Market News, Bloomberg poneva un altro tassello al mosaico di una Bce interventista (in sè, manovra benedetta dai governi ma anche sintomo di una situazione della zona euro tutt’altro che rosea e di ripresa sostenibile, come spacciato invece per trimestri proprio dai bollettini dell’Eurotower): il governo greco sarebbe infatti pronto a dar vita a una bad bank sul modello di quella italiana per liberare gli istituti di credito ellenici dal carico di sofferenze che li zavorrano, qualcosa come 89 miliardi di euro in Npl, stando all’ultimo dato di giugno, come ci mostra il grafico.
- Fonte: Bloomberg
Di fatto, le banche greche potranno separare le loro sofferenze e parcheggiarle in uno Special purpose vehicle che godrebbe della garanzia governativa e che, per finanziarsi, emetterebbe bond poi vendibili e trattabili sul mercato. L’intenzione sarebbe quella di riuscire a sgravare in questo modo gli istituti dal controvalore di circa 15 miliardi di euro di non-performing loans. E la questione sarebbe ben più che meramente un’ipotesi di studio, visto che stando a indiscrezioni, l’Hellenic Financial Stability Fund, fondo statale che detiene quote azionarie nelle quattro maggiori banche del Paese, starebbe già trattando l’affare sia con la Commissione Ue che con il Single Supervisory Mechanism proprio della Bce.
Anche in questo caso, vero? Falso? La reazione del mercato ha parlato chiaro, almeno a livello di aspettativa: dopo la notizia, Piraeus Bank è salita del 13%, Alpha Bank del 7,3% ed Eurobank Ergasias SA del 9%, spedendo così il comparto bancario dell’indice ellenico principale, Ftse/Athex, a +10%, di fatto azzerando le perdite del giorno precedente. Insomma, l’Europa, sia essa politica che monetaria, pare chiamata agli straordinari. Resta la grande questione: come reagiranno i mercati all’eventuale inversione a U, seppur parziale, della Bce rispetto alla fine del Qe, dopo l’ovvio entusiasmo iniziale?
Nessuno, magari interessato a spostare l’epicentro del prossimo scossone finanziario, evocato nientemeno che dall’Fmi come sempre più probabile, da casa – leggi il leverage americano o lo shadow banking cinese – verrebbe magari a vedere il bluff della famosa ripresa sostenuta e sostenibile dell’eurozona, scommettendo contro i suoi anelli deboli, prima che Operation Twist e bad bank greca schermino il rischio fino al cambio di guida alla Bce in novembre? C’è poi, volendo essere dietrologi, un’altra domanda da porsi: per arrivare a questo azzardo, di quale livello dovrà essere l’allarme emergenziale che Mario Draghi potrà vendere a mercati e opinioni pubbliche per invertire la rotta? E, soprattutto, chi vestirà i poco piacevoli panni della vittima sacrificale o del proverbiale canarino nella miniera?
Una cosa appare chiara, nel contempo: se la Grecia, fresca di uscita dal piano di salvataggio, azzarda subito una mossa del genere, oltretutto imponendo l’ipotesi di garanzia statale, è perché sa che la situazione generale europea non consente a Germania e falchi del Nord troppe intransigenze che solletichino ulteriormente gli istinti da killer dei mercati, già sovra-eccitati dalla Fed. E non pare un bel segnale.
Commenti recenti