Reddito di cittadinanza: funzionamento e criticità
di MARX XXI (Francesco Fustaneo)
Riceviamo da Francesco Fustaneo un’interessante analisi sul reddito di cittadinanza
Il reddito di cittadinanza è stato l’argomento più discusso tra le proposte Lega-M5s in ordine alla Nota di aggiornamento al Def che formulata dal Consiglio dei Ministri dovrà ora essere approvata nelle prossime settimane dal Parlamento.
Parliamo di una misura che deve ancora superare il vaglio parlamentare e dunque potenzialmente soggetta a modifiche, di cui non si conoscono ancora i dettagli ma che non ha già mancato di sollevare numerose perplessità, a partire dai conteggi.
Il deficit stimato al 2,4% per il 2019 “ ha liberato 10 miliardi per il reddito di cittadinanza” ha affermato il ministro Di Maio “ che restituirà un futuro a 6 milioni e mezzo di persone”. Ora se la matematica non è un’opinione, calcolatrice alla mano, 10 miliardi diviso 6 milioni e mezzo di persone significherebbe mensilità erogate per circa € 128,20 al mese. Insomma dati ben lontani dai toni eclatanti visti nelle interviste governative e dalla propinata affermazione sulla “sconfitta della povertà”.
Nelle intese Lega-M5S si parlava di 780 euro mensili, ma se le cifre sono quelle di cui riferiva Di Maio è chiaro che le somme individualmente erogate, rischierebbero di essere inferiore a quelle del reddito di inclusione (REI). Da precisazioni postume trapelate da ambienti governativi, parrebbe che più semplicemente le 780 euro potrebbero riferirsi al fatto che nessuno potrà guadagnare o avere una pensione minima inferiore a tale soglia di reddito e dunque gli importi verranno erogati fino al raggiungimento della stessa.
Le ipotesi estreme sono dunque: sei milioni e mezzo di destinatari e un importo medio di poco più di 100 euro, oppure un milione di beneficiari con un sussidio di 780 euro al mese. Chiaramente potrebbe esserci soluzioni alternative dentro questo intervallo.
Per poter godere del reddito di cittadinanza, al di la delle incertezze sulle cifre erogate mensilmente (comunque previste per tre anni) la cosa che è certa è che saranno quattro i requisiti necessari:
– ricerca attiva di lavoro;
– completamento dei percorsi di formazione;
– involontarietà della disoccupazione;
– reddito familiare ( molto probabilmente si farà riferimento all’Isee)
Un ruolo chiave dovrebbe essere svolto dai Centri per l’impiego (si sta valutando un apporto iniziale di 1,5 -2 miliardi alle suddette strutture) che formuleranno proposte di lavoro ai potenziali beneficiari. La misura si perderà se si rifiuteranno tre proposte di impiego “congrue”.
Per quanto concerne la modalità di erogazione, avverrà probabilmente con la tessera sanitaria, “non certo in contanti e riguarderà cittadini italiani residenti da almeno dieci anni che accettano percorsi di formazione e riqualificazione” aveva annunciato qualche giorno fa Di Maio ai microfoni di Radio Anch’io. Se tale indirizzo sarà confermato si porranno anche evidenti profili di incostituzionalità: la Corte europea, infatti, si è pronunciata spesso contro le discriminazioni nei confronti dei cittadini extracomunitari nell’accesso a prestazioni assistenziali e lo stesso orientamento ha assunto la Corte Costituzionale con numerose sentenze.
E’ evidente che tanti sono i dubbi, a partire dalle risorse in ballo. Tecnicamente si attingerà anche ai fondi destinati al Rei e alle risorse del Fondo Sociale Europeo (uno dei programmi a sostegno della c.d. Garanzia Giovani) e molto probabilmente anche al fondo delle politiche attive del Ministero del Lavoro. Se i redditi erogati non rispecchieranno gli annunci roboanti dati in tv il flop, però, potrebbe essere clamoroso con un effetto boomerang per i 5S.
Una grande incognita è rappresentata poi dai Centri per l’impiego: attualmente adoperano circa 8.000 dipendenti e riescono a trovare un lavoro solo al 3,4% dei loro utenti. Il rischio significativo è quello di accrescere personale e sprecare ulteriori risorse per strutture che finora hanno dimostrato di essere veri e propri “carrozzoni”. Negli annunci di governo, la messa in efficienza di tali strutture dovrebbe avvenire entro i primi mesi del prossimo anno, prospettiva fin troppa ottimistica a detta di chi scrive.
Considerate l’oggettiva difficoltà dei C.p.i di incrociare domanda e offerta di lavoro ( soprattutto al sud) e la formula delle tre proposte di lavoro, il reddito di cittadinanza rischia di trasformarsi in un sussidio permanente per almeno tre anni, mentre non è per niente chiaro se la misura continuerà ad essere erogata dopo il triennio previsto.
Anche nel caso in cui, poi, il reddito integrale erogato ammontasse a 780 euro mensili per una platea più o meno estesa è chiaro che si andrebbe incontro a delle storture evidenti nel mercato del lavoro. Chi non ha un impiego potrebbe rinunciare a cercarlo mentre chi lo ha già e guadagna un reddito che si attesta su quelle cifre potrebbe annusare l’escamotage legale per una “perdita involontaria” del lavoro e magari avviare un lavoro in nero con una doppia “uscita” per lo Stato: il sussidio erogato e le mancate trattenute del lavoro regolare.
Tale misura, idealmente concepita come strumento di argine alla povertà, presta poi il fianco a ulteriori critiche: non tanto per l’indebitamento a cui lo Stato va incontro per finanziarla, ma soprattutto per la mancata contemplazione di misure per la crescita economica.
Ne’ nel programma di governo né nei correttivi apportati al Def, infatti, si parla di investimenti strategici in infrastrutture che avrebbero potuto, sfruttando il celebre effetto del moltiplicatore keynesiano aumentare consumi, investimenti privati e dunque occupazione e redditi, rilanciando così l’economia, in particolare di un meridione in cui negli ultimi anni è cresciuto l’investimento privato, ma è stato significativamente assente l’investimento del soggetto pubblico.
Investire nello sviluppo dell’ occupazione in luogo dei sussidi avrebbe avuto poi dei vantaggi non solo economici, ma anche etici. Un uomo che lavora è un uomo che ha dignità e diritti, parte attiva dell’ingranaggio economico-sociale, aspetti che vengono appannati in una società che invece di incrementare le possibilità di lavoro opta per elargire sussidi, preferendo appunto, consumatori-sussidiati passivi a lavoratori coscienti con diritti.
Commenti recenti