Incubo spread: cosa rischia davvero l’Italia
di TODAY
A fine ottobre due importanti agenzie di rating (Moody’s e S&P) dovranno pronunciarsi sulle capacità del nostro Paese di far fronte al proprio debito pubblico. E in caso di doppio downgrade le conseguenze potrebbero essere molto pesanti.
Secondo diversi economisti e commentatori, la vera partita sulla legge di bilancio non si giocherà tanto in Ue, quanto sui mercati internazionali. Se l’esecutivo ha qualche speranza di uscire indenne dallo scontro con la Commissione di bilancio, un eventuale taglio del rating avrebbe effetti molto più devastanti per l’economia italiana. A fine ottobre due importanti agenzie di rating (Moody’s e S&P) dovranno infatti pronunciarsi sulla capacità dell’Italia di ripagare gli interessi sul proprio debito pubblico. E se dovesse arrivare una bocciatura lo spread potrebbe iniziare ad impennarsi.
Le principali agenzia di rating attualmente attribuiscono una valutazione di affidabilità creditizia (BBB con S&P, Baa2 con Moody’s e BBB con Fitch) appena due gradini sopra lo spartiacque al di sotto del quale si finisce al livello comunemente chiamato “junk”, spazzatura, inferiore all’investment grade.
Le agenzie hanno messo sotto osservazione l’Italia per possibili declassamenti (outlook negativo), ma prima di assumere decisioni hanno scelto di attendere le cifre concrete che verranno inserite nella bozza di bilancio. Se il giudizio dovesse finire anche a un solo notch dal livello ‘junk‘, gli effetti non sarebbero indolori.
“Stare al limite dell’investment grade è molto rischioso perché il mercato tende ad anticipare le azioni delle agenzie di rating”, spiega all’AdnKronos Antonio Cesarano, Chief global strategist di Intermonte. Se dovesse arrivare una doppia bocciatura, sia da parte di Moody’s che di S&P, i mercati potrebbero iniziare a guardare con sospetto al debito italiano. Con le conseguenze del caso.
Ma gli effetti più devastanti si avrebbero ovviamente con un rating junk. In quel caso, spiega all’AdnKronos, Manuela Geranio, docente di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università Bocconi, “molti compratori istituzionali, soprattutto fondi comuni e fondi pensione”, non potrebbero più comprare “perché hanno limiti in statuto su investimenti ad alto rischio. Da una parte il mercato si restringe, dall’altra cambiano gli interlocutori, un po’ più hedge fund e meno investitori stabili, come gli assicurativi, cosa che ci esporrebbe a una maggiore volatilità”.
Conseguenze pesanti per le banche
Se i titoli di stato italiani finissero fuori dall’investment grade, con un doppio declassamento, o se le agenzie mostrassero un orientamento in tal senso, con un declassamento singolo combinato a un nuovo outlook negativo, in base alle regole della Bce una prima ricaduta immediata investirebbe le banche. Come spiega Askanews, in caso si rating junk gli istituti di credito non potrebbero più utilizzare le emissioni pubbliche tricolori come garanzie per aggiudicarsi i rifinanziamenti della stessa Bce. Inoltre il crollo di valore delle emissioni italiane crea poi subito un effetto meccanico di perdita di valore della banca che li possiede.
Addio al Qe in caso di declassamento
La seconda grande ricaduta negativa riguarderebbe gli stessi titoli pubblici italiani, a causa del piano di acquisti della Bce (il quantitative easing). L’istituzione attualmente è orientata ad interrompere gli acquisti netti dopo il mese di dicembre. Questo canale si chiuderà subito per l’Italia se perdesse i requisiti di rating di acquistabilità (almeno un investment grade).
Inoltre se i titoli italiani perdessero i rating minimi di ammissibilità sugli acquisti della Bce, questa non potrebbe procedere agli acquisti a scadenza.
In questo modo, oltre alle vendite degli operatori privati (ad esempio i fondi pensione o i fondi obbligazionari vincolati a determinati rating) sui mercati si scaricherebbero anche le vendite (non riassorbite) della Bce, con un potenziale effetto-spirale che potrebbe far salire ulteriormente tassi e spread e costi di rifianziamento del debito pubblico.
Il salvagente del fondo salva Stati
A quel punto il governo avrebbe una sola via d’uscita: chiedere un piano di sopporto da parte del fondo salva Stati europeo, l’Esm, per riattivare lo scudo anti-spread. Ma significherebbe chiedere aiuto alla Troika. E non è affatto detto che i Paesi del nord Europa siano così disposti ad aiutare il governo gialloverde a venire fuori dai guai.
Fonte: http://www.today.it/economia/spread-cosa-rischia-italia-taglio-rating.html
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