Il caso Jacques Baud
di LA FIONDA (Giuseppe Gagliano)
Un analista fuori dal perimetro Jacques Baud non è un commentatore qualsiasi. Ex ufficiale dell’intelligence svizzera, con passaggi in strutture multilaterali occidentali, si è costruito negli ultimi anni un profilo pubblico fortemente critico verso la gestione occidentale della guerra in Ucraina. Le sue analisi, spesso documentate e tecnicamente articolate, hanno avuto un impatto reale sul dibattito pubblico europeo, proprio perché provenienti da una figura interna al mondo della sicurezza. È qui che nasce il “caso Baud”: quando la critica non arriva dall’esterno ideologico, ma dall’interno del sistema.
L’ipotesi sanzionatoria come segnale politico L’eventuale inserimento di Baud in un regime sanzionatorio europeo – o anche solo il dibattito che lo circonda – va letto prima come messaggio politico che come misura punitiva individuale. L’Unione Europea, dal 2022 in poi, ha progressivamente ampliato il concetto di minaccia includendo l’informazione, l’interpretazione dei fatti, la costruzione delle narrazioni. In questo quadro, non conta solo ciò che è falso, ma ciò che è ritenuto destabilizzante per la coesione strategica occidentale. Baud diventa così un caso-limite: non un propagandista dichiarato, ma un analista che contesta i presupposti politici e militari della linea euro-atlantica.
Valutazione strategico-militare Sul piano militare, le critiche a Baud riguardano soprattutto il suo modo di leggere il conflitto: attenzione alle capacità reali sul terreno, scetticismo verso le narrazioni di superiorità tecnologica, insistenza sugli errori strutturali della pianificazione occidentale e ucraina. Questa impostazione entra in collisione con una comunicazione strategica che ha bisogno di semplificare, mobilitare consenso, sostenere flussi di aiuti militari e industriali. Il problema, per molti decisori, non è tanto se Baud abbia torto o ragione, ma il fatto che rompa l’allineamento cognitivo in una fase di guerra prolungata.
Scenari economici e industriali C’è poi una dimensione economica meno visibile ma decisiva. La guerra in Ucraina è diventata il motore di una riconversione industriale europea: difesa, energia, materie prime critiche, bilanci pubblici. Una narrazione che metta in dubbio la sostenibilità militare o politica del conflitto rischia di riflettersi sulla fiducia degli investitori, sulla legittimità della spesa militare e sul consenso sociale interno. In questo senso, colpire – o isolare – figure come Baud significa anche proteggere l’architettura economica della guerra, non solo la narrativa.
Geopolitica e geoeconomia della disinformazione Il caso Baud si inserisce in una tendenza più ampia: la trasformazione della disinformazione in categoria geopolitica elastica. Non si sanzionano più soltanto Stati, oligarchi o industrie, ma anche individui accusati di favorire, consapevolmente o meno, strategie di influenza avversarie. È una logica tipica delle guerre ibride, dove il confine tra libertà di analisi e minaccia strategica diventa sfumato. Il rischio, però, è evidente: confondere il dissenso analitico con l’ostilità politica, riducendo lo spazio del dibattito proprio mentre la complessità richiederebbe più pluralismo, non meno.
Una frattura interna all’Occidente In definitiva, Jacques Baud rappresenta una frattura interna al mondo occidentale più che un attore esterno. Il suo caso dice molto meno sulla Russia e molto di più sull’Europa: sulla sua difficoltà a gestire il dissenso strategico, sulla paura di perdere il controllo della narrazione e sulla scelta di rispondere con strumenti eccezionali a una crisi che non è solo militare, ma anche cognitiva. È qui che si gioca la partita più delicata: non sul campo di battaglia, ma sul terreno della legittimità dell’analisi.
FONTE: https://www.lafionda.org/2025/12/17/il-caso-jacques-baud/





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