Braccio di ferro tra Fed e Banca centrale cinese sulla liquidità da dare in pasto ai mercati. In gioco i destini delle Borse mondiali
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Mauro Bottarelli)
C’è da sperare che quello posto in essere fra domenica 7 e lunedì 8 ottobre dalle autorità monetarie cinesi sia stato uno stress test, fallito ma voluto.
Altrimenti, potrebbero essere guai. E veramente seri a livello globale questa volta, non l’ormai quotidiana osservazione dello spread fra Btp e Bund. Perché il mercato ha dovuto prendere suo malgrado atto del primo redde rationem relativo alla profondità e alla sistemicità del processo di rialzo dei tassi di interesse da parte della Fed e lo ha fatto proprio con la riapertura dei mercati cinesi dopo la settimana di festeggiamenti per le celebrazioni della Repubblica popolare: un tonfo.
L’indice A50 ha perso il 4,8%, lo Shanghai Composite il 3,7% e lo Shenzen Composite oltre il 4%.
E dove sarebbe lo stress test? Presto detto: il tutto, infatti, è avvenuto al netto dell’iniezione di liquidità da 1.200 miliardi di yuan posta in essere dalla Banca centrale cinese (Pboc) domenica attraverso il taglio dell’1% dei requisiti di riserva delle banche, proprio in vista della riapertura delle contrattazioni.
Insomma, il dilemma è serio: quella mossa della Pboc era in realtà il classico amo per vedere se qualcuno abbocca o, realmente, si credeva che quel denaro avrebbe saziato la sete del mercato, un po’ come quando gli istituti di credito ricaricano i bancomat dopo un ponte festivo particolarmente lungo e di shopping? E la Borsa, questa volta, non parla soltanto di valutazioni gonfiate o criticità nel sistema creditizio, come nell’estate del 2015 ma ci dice che il mondo è in crisi di liquidità e comincia ad agitarsi come un tossicodipendente da Qe che sta provando la sua prima, vera, crisi di astinenza, come ci mostrano i prossimi due grafici.
- Macquarie Bank
Il primo è relativo alla velocità e alla magnitudo di calo della massa monetaria M2 (consistente nei bilanci della Banche centrali del G4, le riserve valutarie globali e i bilanci di conto corrente di Giappone, Cina ed eurozona) a livello globale e il secondo, decisamente interessante ed evocativo, quasi una fotografia della situazione attuale dei mercati globali, visto che ci mostra come il calo del supporto monetario dei programmi espansivi di Bank of Japan e Bce, in presenza della politica di contrazione ufficiale della Fed, abbia portato proprio il titolo di Stato Usa a 10 anni al rialzo record degli ultimi giorni e alla conseguente esplosione dei rendimenti obbligazionari a livello mondiale.
E lo stress test, se tale era, è fallito. Perché i mercati non hanno prezzato quella liquidità come un bicchierone d’acqua fresca ma come un segnale che le riserve stanno finendo e, d’ora in poi, il razionamento si farà più stringente.
“La Cina ha tagliato i requisiti obbligatori di riserva ed espanso la sua politica monetaria, di fatto una risposta al rallentamento dell’economia interna ma il mercato non crede che questo sia uno stimolo sufficiente a bloccare quel trend. Anche perché, nonostante non abbia raggiunto il risultato rassicurante che si sperava, questa iniezione di liquidità si è già tramutata in prezzi azionari più deboli“, sentenzia Guillermo Felices, senior strategist di BNP Paribas Asset Management.
Insomma, serve di più.
Ma a fronte di dinamiche come quelle descritte dai prossimi grafici, la Cina non vuole e forse – ragionando razionalmente dal punto di vista macro – non può fare di più, visto che l’attuale politica di contrazione monetaria si è resa necessaria per sgonfiare proprio l’enorme bolla creditizia in seno al cosiddetto shadow banking system, il sistema bancario ombra e parallelo che ha alimentato per anni e anni il mercato immobiliare, oggi in netto rallentamento con l’intera economia ma capace di dar vita a un vero e proprio mostro a livello di emissioni obbligazionarie ad alto rendimento.
- Crescat Capital
Insomma, una bomba junk che ticchetta sempre più pericolosamente all’interno di un sistema che, al netto della guerra dei prezzi commerciale da sovra-produzione e manipolazione valutaria, altro non è se non un gigantesco schema Ponzi basato sull’indebitamento e la garanzia statale a sua assicurazione.
- Crescat Capital
E qui non si tratta di valutazioni politiche, sono i numeri a parlare e a spiegare chiaramente del perché la Banca centrale cinese (Pboc) stia centellinando la liquidità, limitandola a iniezioni mirate nei settori più a rischio e sensibili dell’economia interna, onde evitare pericolosi “effetti palla di neve” sui bond delle società industriali.
Un qualcosa che, di fatto, si sta già sostanziando, però. Questo grafici parlano chiaro, e sono stati pubblicati da Goldman Sachs nell’ultimo report sul tema: il 2018, infatti, è già oggi destinato a passare alla storia come l’anno record per i default, 19 in totale, quando ancora mancano tre mesi al 2019.
Il precedente massimo era stato raggiunto con 18 nel 2016 e in termini di ammontare nozionale di bond che hanno fatto default, si sono raggiunti i 91,4 miliardi di yuan, equivalenti allo 0,5% di tutti i bond in circolazione da inizio anno e in aumento del 69,6% rispetto ai 53,9 miliardi di yuan di due anni fa.
Soltanto fra agosto e settembre si sono registrati 8 default, un trend preoccupante sia perché proprio a fine luglio la Pboc era intervenuta con le sue misure draconiane per evitare gli eccessi sul credito, sia perché le aziende coinvolte sono di dimensioni sempre maggiori, fra cui la Neoglory Holding Group, la Jilin Liyuan Precision Manufacturing e il Gangtai Group.
E ora lo spettro è quello che i default possano andare a intaccare non solo aziende private, come quelle ora elencate, bensì anche imprese a parziale o totale controllo statale, le cosiddette Soe (State-owned enterprises).
E il primo caso in tal senso è stato evitato nell’ultimo giorno utile per il pagamento degli interessi su un bond da 300 milioni di dollari dalla Qinghai Provincial Investment Group, la quale opera come China Local Government Financing Vehicle e il 26 settembre scorso è stata salvata dal default sulla scadenza soltanto da un intervento governativo.
Ma non basta. Perché ad aggravare la situazione, a meno di un cambio di politica netto della Pboc verso una dinamica nuovamente espansiva, ci sono necessità di finanziamento enormi per la seconda metà di quest’anno, visto che le aziende cinesi devono fare fronte a bond in scadenza sul mercato interno e offshore per 2.700 miliardi di yuan di controvalore, cui vanno a unirsi altri 3.300 miliardi di prodotti legati a trust, tanto che otto di questi ultimi nel comparto dell’alto rendimento hanno giù dovuto spostare le scadenze di pagamento all’inizio del 2019.
Ovviamente, quest’ultimo trend non potrà che peggiorare se la Fed continuerà nella sua politica di aumento dei tassi, la quale già in questi giorni ha portato a una prima fiammata a livello globale dei rendimento obbligazionari. E contemporaneamente, dalla Ckgsb Business School di Pechino, è arrivata la conferma: i 300 dirigenti di piccole e medie aziende totalmente private intervistati in una ricerca demoscopica hanno infatti detto chiaramente che le condizioni di business attuale sono le peggiori di sempre, aggravate di fatto anche dai primi ricaschi reali della guerra commerciale. E quel “anche” appare dirimente, perché questi grafici parlano chiaro:
- CKGSB
il primo contestualizza appunto il risultato del sondaggio rispetto al dato manifatturiero ufficiale, mentre il secondo mostra come ormai i dati economici “reali” cinesi siano deludenti da mesi, per l’esattezza il periodo consecutivamente più lungo dal 2015. Quindi, non solo dazi e tariffe ma qualcosa di strutturale nel sistema produttivo più attivo al mondo.
E qui, subentra l’ampliamento dell’attuale dinamica in atto a scenari decisamente più interessanti. E pericolosi.
Stando all’analisi contenuta nel suo ultimo report, Viktor Shvets di Macquarie Bank pare avere un’idea molto chiara di quanto covi in realtà sotto la cenere della mera normalizzazione del costo del denaro da parte della Federal Reserve.
Gli Usa, non potendo perdere la faccia bloccando il rialzo dei tassi di interesse (di fatto entrando in palese contraddizione fattuale con la narrativa dell’economia più forte di sempre, proprio alla vigilia del voto di mid-term), non solo hanno ingaggiato il più classico degli sketch del poliziotto buono e poliziotto cattivo fra Donald Trump e Jerome Powell sul tema ma, forzando l’ampliamento degli spread obbligazionari e mandando in tilt i mercati, vogliono portare a galla le criticità sistemiche cinesi al fine di ottenere dalla Pboc un ritorno in grande stile alla politica espansiva.
In sostanza, Washington vuole un QE4, perché la liquidità nel sistema sta terminando e i mercati rischiano di grippare ma intende far pagare il conto a Pechino, di fatto obbligandola a irradiare nuovamente il suo impulso creditizio globale attraverso politiche di espansione monetaria a pioggia. E per farlo, oltre alla “copertura mediatica” della guerra commerciale (ad oggi, poco efficace), serve andare a vedere il bluff delle iniezioni mirate di liquidità e della politica di contrazione della Pboc per sgonfiare la bolla del sistema bancario ombra: ovvero ciò che hanno fatto i mercati lunedì mattina, ignorando il taglio dei requisiti di riserva e spedendo in profondo rosso gli indici cinesi, tanto per chiarire il concetto.
Ecco come l’estensore della nota definisce la situazione in atto fra le due superpotenze e le loro Banche centrali, ammesso che questa lettura parallela e non ortodossa delle dinamiche reali di mercato sia vera:
There is a growing possibility that the plot might go terribly wrong. E, in effetti, l’antipasto di ieri mattina a Shanghai e Shenzen è stato decisamente indigesto.
Ora la palla passa a Xi Jinping, plenipotenziario delle casse cinesi. I destini del mondo, almeno a livello di mercati e nel breve termine, sembrano decisamente in mano a Pechino. Sperando che Viktor Shvets stia prendendo la peggiore cantonata interpretativa della sua vita di strategist.
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