Spread e Caporetto, sovranità e Vittorio Veneto
Di MICIDIAL (Massimo Bordin)
In questi mesi in Veneto c’è molta fibrillazione per le ricorrenze relative alla Prima Guerra Mondiale. Il 4 novembre di 100 anni fa entrava infatti in vigore l’armistizio siglato a Villa Giusti, presso Padova, tra l’impero austriaco e l’Italia a seguito del dilagare delle truppe italiane oltre le linee austriache. L’Italia aveva vinto la guerra e l’Austria l’aveva persa. Il merito fu dei soldati e del loro generale Armando Diaz che avevano saputo in pochi mesi rovesciare la situazione dopo la tragica sconfitta di Caporetto.
Oggi, come allora, arrivano le bastonate inflitte da “altri” europei all’Italia, ma questa volta in palio non c’è il territorio, ma la sconfitta del suo stile di vita, del suo modo di produrre e del suo Statuto dei Lavoratori.
Ovviamente in 100 anni l’opinione pubblica occidentale è cambiata e non si può più combattere la guerra a colpi di cannone come allora. Come ripetono sempre le italiche bellezze interpellate al concorso di Miss Italia: “se c’è una cosa brutta brutta brutta, è la guerra. Tutte queste guerre che fanno … in giro per il mondo … bleah”. Dunque, oggi i contrasti si combattono da noi con ben altre modalità: guerre commerciali, guerre dell’informazione, guerre valutarie ecc. ecc. ma sempre di guerre si tratta. Lo spread, ad esempio, viene usato dai banchieri internazionali e dai loro accoliti come una clava per modificare il nostro impianto di welfare state e di investimenti, spogliarci della ricchezza privata accumulata e sfavorire la nostra bilancia commerciale. Lo spread ha funzionato nel 2011, quando il governo Berlusconi fu costretto alle dimissioni, e poi è rimasto come spada di Damocle per condurre i governi successivi verso le riforme dell’austerità, dalla Fornero al Jobs Act.
Cosa accade quando l’Italia non segue il diktat del mercato, della finanza internazionale e dei politici lobbysti di Bruxelles? Semplice, si usa lo spread come metodo di governo e si invoca la minaccia di un governo “tecnico”.
L’inganno sta tutto nel considerare come positivo il termine “tecnico”
La tecnica, per sua stessa definizione, è un mezzo, e non un fine, e quando viene impiegata a prescindere dai fini diventa un robot che procede indipendentemente dalla volontà e dalle aspirazioni degli esseri umani. Essa procede meccanicamente, appunto.
Durante la Prima Guerra Mondiale, l’Italia aveva a disposizione un grande tecnico: il generale Luigi Cadorna. Egli godeva di un prestigio tale che gli fu consentito di condurre le operazioni dell’esercito regio contro l’Austria in modo pressochè assoluto, cioè senza ingerenze o suggerimenti esterni. La sua tecnica militare consisteva nelle “spallate”, cioè in offensive frontali contro le difese austriache. Mi perdoneranno i grandi esperti di tattiche militari, ma, semplificando, il ragionamento che sottintendeva alla tecnica di Cadorna era press’a poco questo: in quella trincea ci sono 100 uomini, io ne ho 200 a disposizione, allora li butto oltre le linee nemiche. Matematica e coraggio garibaldino faranno il resto. Leggiamo su una rivista:
Le sue teorie delle spallate, cioè dell’impiego in grande stile di masse di soldati, accompagnato dall’utilizzo delle artiglierie di medio e grosso calibro per scompaginare i trinceramenti avversari e ridurre le forze austriache fino a costringere alla resa per esaurimento delle riserve, appartenevano ad una concezione strategica largamente diffusa nelle scuole di pensiero militare europee.
Dunque, c’è poco da fare: Cadorna era un tecnico che nei primi due anni di guerra riuscì a ottenere risultati importanti come l’arresto dell’avanzata austriaca sull’altopiano di Asiago e la conquista di Gorizia. Però Cadorna, non essendo per l’appunto un politico, non era obbligato a rendere conto al popolo ed ottenne questi risultati a costo di enormi sacrifici: gli uomini per lui erano pedine, non soggetti pensanti i cui desideri, aspettative e paure dovessero essere compresi.
Tornando all’attualità, è’ piuttosto probabile che a furia di tagliare e tassare e massacrare quel poco che rimane del welfare state, l’Italia arrivi ad azzerare lo spread, ma a quale prezzo? Disoccupazione? Riduzione del Pil? Logoramento del risparmio privato degli italiani? “Ecchissenefrega”, esclamerà trionfante il tecnico, “io sono stato chiamato per ridurre lo spread e ci sono riuscito, proprio come Cadorna sul Carso.
In quell’aspro conflitto ci fu la disillusione dell’esercito italiano e molti soldati cominciarono a maturare un sincero disprezzo per i loro ufficiali, disprezzo che era ricambiato perchè allora il modello liberale aveva imposto una società paternalistica, fondata sulle differenze di censo. In pratica, il tenente in trincea era in genere il classico figlio del Dottore che non aveva mai fatto un cazzo, mentre i soldati erano i figli dei contadini che dovevano crepare al freddo o sotto i colpi della mitraglia per via della ostinata tecnica delle ‘spallate’ ordita da Cadorna.
Resta ancora da capire come riuscirono allora gli italiani a rovesciare totalmente la situazione sul Piave, non solo impendendo agli austriaci di arrivare a Milano e Venezia, ma anche constringendo lo stato maggiore Asburgico a chiedere l’armistizio.
Il governo decise di affidare il comando delle operazioni a Diaz, dopo aver destituito Cadorna.
Insomma, un altro tecnico, verrebbe da dire, figlio di ufficiali e carrierista nelle le scuole militari del Regno. Tuttavia, Diaz non si limitò alla tattica d’assalto: delegava volentieri le funzioni agli ufficiali e ai sottoposti affidando loro incarichi precisi e instaurando un clima di fiducia. In altri termini, si comportò sul campo tenendo conto che gli uomini non sono pedine e le truppe italiane ricambiarono la fiducia con uno spirito di sacrificio che gli altri eserciti si sognavano e si sognano tutt’ora. I Caimani del Piave – ad esempio – saltavano dentro le trincee avversarie anche da soli, con un pugnale tra i denti, rischiando la vita in difficili operazioni di sabotaggio. Il governo nel frattempo provvedeva a migliorare l’armamento in dotazione. Fu migliorato anche il vitto, furono concesse più licenze ai soldati, e venne meno la politica di decimazione all’interno dei tribunali militari. Diaz ed i suoi collaboratori non furono dei tecnici, furono anche e soprattutto dei politici, i quali compresero che non potevano vincere senza le truppe, cioè senza il popolo. Ecco perchè, oggi, occorre guardare con forte sospetto a tutti coloro i quali tracciano modelli econometricicome soluzione alla crisi (Savona compreso). Non ci sono solo roboanti studi sul rapporto pensionamenti-occupazione a dover essere presi in considerazione, ma la volontà generale, che produce risultati e fornisce consenso solo a chi la rispetta. Vittorio Veneto – con 58 divisioni italiane contro le 73 austriache non fu affatto la vittoria dei tecnici, ma la sconfitta della loro presunzione e disumanità.
Fonte: http://micidial.it/2018/10/spread-e-caporetto-sovranita-e-vittorio-veneto/
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