I salari cinesi stanno superando quelli europei
di MARX XXI
Produrre in Cina non conviene più: lo stipendio degli operai di Pechino triplicato in 10 anni. Costano meno brasiliani e messicani.
da laconceria.it
Lo stipendio medio degli operai cinesi nel 2016 era di 3,60 dollari l’ora: il triplo rispetto al valore del 2005. Il salario delle tute blu di Pechino è ormai più alto di quello dei colleghi in Brasile e Messico (dove la paga nel decennio è invece calata) e quasi al livello di quelli di Grecia e Portogallo. Lo sostiene il centro studi Euromonitor International (su dati Eurostat, ufficio statistico cinese e International Labour Organisation) in un report ripreso da Financial Times. Secondo lo studio, l’aumento dei salari è legato anche alla progressiva crescita della produttività: lo stipendio nel manifatturiero è cresciuto di più di quello di altri settori, come agricoltura ed edilizia.
L’odierno livello dei salari, conclude lo studio, ha ripercussioni sugli equilibri internazionali (e questo è sotto gli occhi di tutti): chi continua a cercare produzioni a basso costo trasferisce le linee a seconda delle convenienze nel Sud Est asiatico, in Europa o in America Latina. Il governo cinese, intanto, lavora alla migrazione dal modello economico “Fabbrica del Mondo” alla nuova identità di Paese manifatturiero che non fa dell’economicità la propria leva competitiva.
Incredibile! I salari cinesi stanno superando quelli europei
da analysisrubrica.weebly.com
E’ questa la notizia a dir poco sensazionale che arriva dall’ estremo oriente, che ci fa conoscere Forbes, rivista statunitense di economia e finanza. Ovviamente questo dato sorprendente non è esteso all’ intero mondo del lavoro cinese, ma circoscritto ad alcuni settori dei distretti produttivi cinesi di maggior rilievo. Il raffronto con l’Europa si riferisce sopratutto alle nazioni dell’Est, ma non solo, certamente il dato è estremamente significativo, poiché avvalora la tendenza che in Cina vi è un progressivo e generalizzato incremento dei salari.
Per fare degli esempi, le retribuzioni mensili medie cinesi a Shanghai ($ 1,135), Pechino ($ 983) e Shenzen ($ 938) sono più alte della Croazia, ma potremmo aggiungere anche dell’Italia, pensiamo a chi percepisce da noi un salario di 700-800,00 euro al mese, che in dollari sono circa 850 – 970; inoltre, sempre quelle di Shanghai, sono maggiori su base mensile anche della Lituania ($ 956) e Lettonia ($ 1,005), con l’Estonia, che ha aderito all’euro nel 2011, che secondo i dati del governo registra un reddito medio di $ 1,256 al mese nel 2016.
Sempre secondo l’articolo di Forbes la crescita dei salari in Cina è impressionante. Questo è un ottimo risultato per i cinesi. Certamente risulta indietro la crescita dei salari in molti dei paesi a basso reddito in Europa. Ciò che questi numeri dimostrano è che il ruolo della Cina, come centro manifatturiero, ha posto le basi per qualsiasi aumento futuro delle retribuzioni, in particolare per gli operai non qualificati del settore manifatturiero, ma anche ben presto in altri nuovi settori come l’e-commerce.
L’articolo però non ci dice il motivo per cui è avvenuta questa progressiva tendenza all’aumento degli stipendi in Cina, la risposta la possiamo trovare nel ragionamento dell’economista Antonino Galloni, che spiega come la Cina stia puntando ad incrementare la domanda interna di consumi e a diminuire le esportazioni. “Fino al 2012 infatti la priorità era esportare limitando la domanda interna, riducendo i salari, poi la Cina ha pensato di aumentare i salari dei lavoratori, ha iniziato a fare investimenti in infrastrutture, ospedali ecc..” ecco perché vi è stato un generale aumento dei salari. Non solo, ma secondo l’economista, lo stesso indirizzo lo troviamo in altri paesi come l’India, la Russia e gli stessi Usa. Mentre in Europa è ancora ben saldo il paradigma economico dell’export che, in nome della competitività, prevede salari bassi per i lavoratori. E’ proprio questo paradigma, afferma Galloni, che è necessario ribaltare, per consentire salari più alti per chi lavora in Europa e soprattutto in Italia, ciò consentirebbe una ripresa dei consumi e quindi un incremento della domanda interna, con ricadute positive sull’occupazione.
Cambiare si può, basta che chi governa il nostro Paese lo voglia, intanto i lavoratori attendono.
Cina, i salari degli operai dei cantieri crescono troppo in fretta
da themeditelegraph.com
Genova – Un operaio guadagna quasi mille dollari al mese, più del doppio di 10 anni fa. E gli investitori stranieri si spaventano.
Genova – La crescita economica in Cina rischia di compromettere tutto il vantaggio accumulato dall’industria navalmeccanica nei confronti dei competitor asiatici. Dieci anni fa gli investitori stranieri erano stati attratti da Pechino grazie ai costi bassi dei salari e alla grande disponibilità di manodopera a basso costo. Ma quelle condizioni oggi sembrano essere terminate: «In dieci anni la paga di un operaio cinese è più che raddoppiata ed è arrivata a 945 dollari al mese» spiegano gli analisti.
Per ora rimane un buon salario per le aziende, anche comparato con gli altri mestieri cinesi che stanno progressivamente conoscendo un aumento, ma il trend verso l’alto spaventa i calcoli degli investitori stranieri, sempre a caccia di tagli ai costi in un mercato difficile come quello dei cantieri navali.
Cina, il lavoro costa. E Samsung chiude la fabbrica
da ilgiornale.it
Nelle metropoli salari al livello dell’Europa dell’est, i vicini asiatici sono sempre più appetibili
La notizia non è ancora ufficiale, ma Samsung ammette che ci sta pensando su: il colosso sudcoreano dell’elettronica valuta di sospendere la produzione di smartphone in uno dei suoi due stabilimenti cinesi, quello che si trova a Tianjin (nel nord del Paese).
Il motivo? Innanzitutto la concorrenza, perché i marchi locali Huawei e Xiaomi negli ultimi cinque anni si sono mangiati tutto il mercato: basti pensare che nel 2013 la quota detenuta da Samsung era del 20% mentre quest’anno è scesa sotto l’1%. E poi c’è il problema legato al costo del lavoro che in Cina cresce ormai da una quindicina d’anni e rende sempre meno vantaggioso produrre nella terra del Dragone.
Pechino non è più la capitale della manodopera a basso costo. Nel 2002 la Cina si è pienamente integrata nella forza lavoro globale entrando a far parte dell’Organizzazione mondiale del Commercio, e da allora il progressivo aumento della produttività ha spinto in alto i redditi. Inoltre ormai tutte le grandi metropoli hanno stabilito uno stipendio minimo: l’ultima a farlo è stata Shangai dove gli operai dovranno essere pagati almeno 2300 yuan al mese, vale a dire 333 dollari americani; il che significa +5% rispetto a un anno fa.
Naturalmente c’è ancora un forte disequilibrio tra le aree rurali e le grandi città, dove si sta facendo largo una manodopera qualificata i cui standard si avvicinano a quelli occidentali. Parlando di salari medi Shangai è la città cinese dove si guadagna meglio, circa 1.200 dollari al mese. A Pechino e a Shenzen si viaggia intorno ai 1000, ma sono comunque livelli retributivi ormai paragonabili a quelli dei Paesi dell’Europa dell’est: non come in Polonia o della Repubblica Ceca, però sullo stesso piano della Lituania, della Lettonia o dell’Estonia e addirittura più alti della Croazia. E se in Cina tra il 2005 e il 2016 le paghe medie orarie del settore manifatturiero sono triplicate, nello stesso periodo in altre zone del mondo – come ad esempio in America Latina – la tendenza è stata alla diminuzione. Questo fa si che da qualche anno le multinazionali preferiscano delocalizzare altrove.
La concorrenza globale e in particolare quella di Paesi vicini come Taiwan, ma anche Malesia, Thailandia, Vietnam e India, insomma, è sempre più forte. Da un paio d’anni sembra essersene reso conto anche il governo cinese: da un lato il vice ministro del Lavoro Xin Changxing ha sottolineato come la Cina debba restare competitiva con i concorrenti asiatici, dall’altro le autorità stanno cercando di trovare un equilibrio tra datori di lavoro e impiegati che garantisca la stabilità sociale senza arrivare agli eccessi del capitalismo di casa nostra.
Se fino al 2016 la crescita dei salari è stata a due cifre ora ha un po’ rallentato, ma i tempi in cui produrre in Cina costava pochissimo sono ormai lontani e non torneranno più. Altri potrebbero seguire l’esempio di Samsung: gli equilibri mondiali stanno già cambiando.
La Cina aggancia l’Europa dell’Est, ecco la svolta sui salari
da lamescolanza.com
I salari cinesi non sono più così a buon mercato come in passato e l’Europa dell’Est potrebbe approfittarne.
I testi di economia del lavoro spiegano ormai dall’inizio del Millennio che “i salari si fissano a Pechino”, un’espressione che punta a rimarcare come sia l’economia asiatica ormai a influenzare i meccanismi di formazione dei prezzi, inclusi gli stipendi. La Cina è la seconda potenza economica al mondo dopo gli USA ed entro il prossimo decennio potrebbe diventare la prima. Quel che accade al suo interno non può mai passare inosservato, perché rischia di avere prima o poi ripercussioni sulle nostre vite, anche perché qui vi abita quasi un abitante su cinque della Terra.
E proprio dalla Cina arriva una notizia, destinata ad avere conseguenze a medio-lungo termine anche sulle economie avanzate. Secondo Forbes, lo stipendio mensile medio di città come Shanghai ($1.135), Pechino ($983) e Shenzen ($938) avrebbe raggiunto e superato quello di alcune economie dell’Europa dell’Est. Un esempio? Lo stipendio medio mensile di un lavoratore croato è di appena 887 dollari, quello di lituano di 956, di un lettone di 1.005, mentre in Estonia si arriva a 1.256 dollari e in Ungheria a 1.139 dollari.
Nel giro di qualche anno, poi, sembra alla portata per i cinesi raggiungere i livelli salariali dei colleghi polacchi ($1.569) e cechi ($1.400), dati gli elevati ritmi di crescita dei primi, rispetto a quelli pur soddisfacenti degli europei orientali.
Salari cinesi sempre meno allettanti per il capitale
Aver colmato il gap salariale con parte dell’Europa rappresenta una svolta per la società cinese e, soprattutto, per quella delle economie più ricche del pianeta. Il costo del lavoro è notoriamente una delle principali variabili, che determina lo spostamento dei capitali da un’economia a un’altra. Se un lavoratore italiano costa 1.000 e uno cinese costa 100, esiste un impulso per le aziende a spostarsi dall’Italia alla Cina.
Se ciò è vero, il raggiungimento dei salari est-europei farebbe ipotizzare un minore incentivo da parte delle multinazionali a delocalizzare la produzione in Cina, disponendo di manodopera qualificata e dai costi simili nel Vecchio Continente. Certo, il costo del lavoro non è l’unica variabile ad essere tenuta in considerazione in fase di investimento. Anche la burocrazia, le norme ambientali, i diritti sindacali e la tassazione incidono moltissimo.
In ogni caso, possiamo affermare che esisterebbero già alcune condizioni minime per prevedere una minore fuga delle aziende verso la Cina, specie quando nei prossimi anni verranno agganciati i livelli salariali di un numero crescente di paesi dell’Est. A quel punto, per un’impresa tedesca risulterebbe sempre meno appetibile aprire battenti in Cina, piuttosto che nella vicina Polonia, così come per una italiana sarà relativamente più conveniente puntare sulla Croazia.
Lavoratori cinesi fanno meno paura?
Non è ancora la fine di un’era, ma l’inizio di una svolta sì. Non è nemmeno detto che non verranno trovate nuove realtà simili alla Cina. In quei paraggi in Asia esiste un altro gigante da 1,3 miliardi di abitanti – l’India – che potrebbe sostituire progressivamente Pechino nell’attrazione degli investimenti internazionali. Ad oggi, molte delle condizioni favorevoli esibite dall’economia cinese qui non hanno trovato terreno fertile, come suggerisce la carenza di infrastrutture.
Non si può nemmeno, però, sminuire il significato del cambiamento in atto. La Cina è sempre meno un’economia emergente e sempre più una potenza di rilievo internazionale. I salari continueranno ad essere fissati a Pechino, ma nei prossimi anni fungeranno sempre meno da tetto per quelli di numerose altre economie. I lavoratori dell’Est Europa dovranno forse iniziare a temere più i venti contrari di Bruxelles che non l’aria inquinata nella capitale cinese.
Salari cinesi pari o superiori ad alcuni salari europei
da vocidallestero.it
Tra gli effetti più deleteri della globalizzazione e della libera circolazione dei capitali in tutto il mondo vi è l’abbattimento del costo del lavoro dovuto alla disponibilità di enormi sacche di manodopera a basso costo. In questo articolo di Forbes si mostra come l’ingresso della Cina nel WTO e l’integrazione ad est dell’Unione europea abbiano più che raddoppiato, in poco più di un decennio, la forza lavoro dell’Europa occidentale, comportando una potente pressione al ribasso sul livello dei salari. Tra alcune zone dell’Europa e la Cina non c’è più differenza, o se c’è, è a favore della Cina. L’articolo, che ha una prima occhiata sembra la solita constatazione che “oggi c’è la Cina”, contiene invece due ammissioni rilevanti: la prima, che i salari cinesi stanno crescendo a gran ritmo; la seconda, che la nuova “Cina” del lavoro a basso costo sono i paesi dell’Europa dell’est, quelli che non a caso l’Unione europea sta puntando a inglobare.
Potremmo vederlo come un bicchiere mezzo pieno. O la Cina sta raggiungendo alcune zone dell’Europa in termini di salari, o le retribuzioni nei paesi entrati più di recente nell’Unione europea sono schiacciati dalla competizione globale sul lavoro, una competizione che la Cina vince a mani basse. In realtà, si tratta di entrambe le cose.
Le retribuzioni mensili mediane cinesi a Shanghai ($ 1,135), Pechino ($ 983) e Shenzen ($ 938) sono più alte che in Croazia, nuovo paese membro dell’Unione europea. Lo stipendio medio netto in Croazia è di $ 887 al mese. Ha aderito all’UE nel 2013.
Le retribuzioni mediane di Shanghai, in particolare, sono anche maggiori di due dei paesi baltici recentemente diventato membri dell’eurozona : Lituania ($ 956) e Lettonia ($ 1,005), con l’Estonia, che ha aderito all’euro nel 2011, che secondo i dati del governo registra un reddito medio di $ 1,256 al mese nel 2016.
Negli ultimi 10 anni, l’Europa ha cercato di integrare dentro l’Unione europea la manodopera qualificata a basso costo dall’Europa dell’Est. Nel 2002 la Cina si è pienamente integrata nella forza lavoro globale entrando a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio. L’entrata di questi due enormi bacini di manodopera nella forza lavoro mondiale ha posto le basi per la stagnazione dei salari tra i lavoratori meno qualificati delle catene di montaggio in tutto il mondo.
In gergo economico, questo è descritto come “appiattimento della curva di Phillips“, dice l’economista di VTB Capital Neil MacKinnon.
“L’impatto della globalizzazione e l’ingresso della Cina nell’OMC nel 2002 ha aumentato notevolmente l’offerta di manodopera globale“, afferma MacKinnon. L’eccesso di offerta di manodopera cinese e il flusso di merci cinesi a basso costo nell’economia mondiale ha creato un vantaggio per i consumatori globali, ma ha significato anche che determinati prodotti e posti di lavoro dell’Europa orientale hanno dovuto competere con la Cina, che ha prezzi più bassi. Catene di approvvigionamento e mercati a parte, il costo maggiore per un’azienda è la sua forza lavoro. La forza lavoro cinese viene finalmente retribuita. Le retribuzioni dell’Europa orientale, simili a quelle cinesi, fanno parte di un mondo il cui motto è diventato: qualsiasi cosa tu possa fare, la Cina può farla a minor costo.
La Cina stabilisce il prezzo per la manodopera manifatturiera e, in futuro, per la logistica relativa all’e-commerce. Alcuni europei dovrebbero sperare nei continui aumenti salariali della Cina se vogliono aumentare le loro stesse retribuzioni lorde.
La quota della Cina nel commercio mondiale (una media di esportazioni più importazioni) è aumentata da poco meno del 2% nel 1990 a quasi il 15% di oggi, secondo la Bank for International Settlements. Da allora, l’economia di mercato cinese si è integrata all’economia globale, guidata principalmente dalla sua forza lavoro, con un rapporto capitale-lavoro inferiore agli standard globali. La Cina sta iniziando solo ora ad automatizzare.
L’integrazione dell’Europa orientale in Occidente è spesso trascurata.
In un arco di tempo simile, dagli anni ’90 ad oggi, i paesi dell’Europa orientale sono usciti dall’orbita della Russia e si sono spostati verso ovest. Prima della caduta del comunismo, questi paesi erano rimasti più o meno isolati. La forza lavoro era abbondante e ben istruita, ma il capitale e il management erano limitati. Ne è seguita una combinazione fruttuosa: l’Europa occidentale ha fornito i soldi e il management, l’Europa dell’Est ha fornito la manodopera a basso costo.
I dati relativi all’integrazione della Cina e dell’Est Europa sono impressionanti. Contando solo la forza lavoro potenziale, la popolazione attiva in Cina e nell’Europa orientale tra i 20 e i 64 anni era di 820 milioni di persone nel 1990 e ha raggiunto 1,2 miliardi nel 2015. La popolazione attiva disponibile nei paesi europei industrializzati era di 685 milioni prima della crisi dell’Unione Sovietica nel 1990 e raggiungeva i 763 milioni nel 2014. Parliamo quindi di un aumento una tantum del 120% della forza lavoro, che ha schiacciato i salari per i lavoratori meno qualificati, secondo la BRI.
Usando come indicatore queste tre città cinesi, gli stipendi mediani dei lavoratori dipendenti sono più alti dei salari della parte più povera d’Europa: i vecchi Balcani dell’area comunista.
Proprio sul Mar Adriatico, di fronte alla ricca frontiera italiana, si trova una manodopera di tipo cinese. Anzi ancora più economica, in realtà. I lavoratori cinesi a Shanghai, Shenzhen e Pechino, in media, guadagnano più dei lavoratori in Albania, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Montenegro, nuovo paese membro della NATO, che ha un reddito medio di appena $ 896 al mese.
I salari medi di Shanghai non sono molto diversi da quelli della Polonia, a $ 1,569. Lo stesso vale per la Repubblica Ceca, dove lo stipendio medio a Praga, la sua città più ricca, si aggira intorno a $ 1400. Il salario medio lordo dell’Ungheria sta proprio al livello di Shanghai, a $ 1139 al mese.
La crescita dei salari in Cina è impressionante. Ottimo per i cinesi. Ma ha lasciato indietro la crescita dei salari in molti dei paesi a basso reddito in Europa. Ciò che questi numeri dimostrano è che il ruolo della Cina come centro manifatturiero ha posto le basi per qualsiasi aumento futuro delle retribuzioni, in particolare per gli operai non qualificati del settore manifatturiero, ma anche ben presto in altri nuovi settori come l’e-commerce.
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