Riprendiamoci il debito pubblico!
di IL MEDITERRANEO (Loris Virgadaula)
Se gli italiani riprendessero in mano il debito nazionale (così come è sempre stato fino a 20 anni fa) lo spread semplicemente tornerebbe ad essere un dato macroeconomico, interessante certo in termini comparativi, ma svuotato del potere che oggi ha.
Partiamo da alcuni dati, utili a una migliore comprensione delle dinamiche e dei soggetti in campo.
Repubblica Italiana
Popolazione: 60 483 973 milioni
Pil Nominale: 1.725 miliardi di euro circa
Debito Pubblico: 2 342 miliardi di euro circa
Risparmio Privato: 4 406 miliardi di euro circa
La prima osservazione che si può fare è la seguente: perché nella stampa main stream si guarda sempre l’economia solo dalla parte del debito? Mi spiego meglio, secondo questi dati la stampa riporta molto spesso il seguente mantra: ”ogni italiano, alla nascita, ha già circa 38 000 euro di debito pubblico sulle spalle”. Sarebbe invece utile osservare che “ogni italiano, alla nascita, ha già circa 73 000 euro di risparmio privato sulle spalle”, potenzialmente utilizzabile in ambito pubblico, sicuramente motivo di orgoglio (e di sicurezza) per i cittadini.
Il dato sul Pil inoltre è a conferma del fatto che la nostra è una grande economia (la settima al mondo) e che non bisogna aver paura di osare o di essere audaci, e che anzi il mondo ha tutto l’interesse ad avere un’Italia fonte di ispirazione, di coraggio, di lungimiranza, e non di insicurezza, di sudditanza, di ignavia.
Ma come azzerare queste percezioni, come fare in modo che la Repubblica Italiana torni finalmente padrona di sé, pur rimanendo nella cornice europea e nei limiti (auspicabilmente modificabili, ragionevolmente discutibili) oggi presenti nei trattati europei?
Per rispondere adeguatamente sarà bene partire dal 1981, anno in cui l’allora ministro del tesoro Beniamino Andreatta, con la famosa lettera del 12 febbraio, comunicò alla Banca d’Italia che non era più tenuta ad intervenire nelle aste dei titoli pubblici pluriennali.
Questa decisione, apparentemente tecnica, aveva invece chiari intenti politico-economici: infatti alla base della decisione vi era il preciso intento di aprire l’Italia agli investitori stranieri. Per far ciò venne introdotto il meccanismo delle aste marginali, che stabilisce che il tasso di interesse per un Buono del Tesoro Pluriennale non è definito dallo Stato (che infatti non interviene più), ma è “proposto” dagli investitori.
E non solo: come se non bastasse, lo Stato è obbligato a garantire a tutti gli acquirenti il tasso d’interesse più alto accordato durante l’asta! Questo meccanismo spinge gli investitori stranieri, che sono speculatori, e non risparmiatori, a cercare sempre il massimo profitto, ai danni dello Stato che inspiegabilmente permette tutto ciò.
Questa precisa politica contribuì all’innalzamento repentino del debito pubblico italiano, che da quel momento al 1994 raddoppiò, passando dal 58% al 120% del PIL. Un aumento dovuto quindi in gran parte all’impatto della spesa per interessi, che praticamente triplicò passando dal 4% al 12% del PIL.
Secondo la relazione annuale del 2017 della Banca d’Italia, gli investitori esteri detengono il 26,5% del debito pubblico italiano, vale a dire 600 miliardi, una quota che permette loro di essere, di fatto, l’azionista di maggioranza nell’ Italia S.p.a. E va da sé che, se questa Italia S.p.a decide di attuare politiche sociali, di deficit pubblico e di spesa, ovvero se rischia di aumentare l’inflazione (e quindi ridurre i guadagni netti derivanti dagli interessi sui titoli), l’azionista di maggioranza si innervosisce. E questo malcontento si manifesta con un termine a noi conosciuto: SPREAD.
Di fatto, gli investitori esteri, le agenzie, gli speculatori, hanno un potere di condizionamento incredibile sulle vicende interne di uno Stato, andando de facto contro quei principi di Sovranità, Autodeterminazione e Indipendenza, che oggi, senza più alcun indugio, dovrebbero tornare faro del nostro cammino!
Se gli italiani riprendessero in mano il debito nazionale (così come è sempre stato fino a 20 anni fa) lo spread semplicemente tornerebbe ad essere un dato macroeconomico, interessante certo in termini comparativi, ma svuotato del potere che oggi ha. Non inciderebbe sulla tenuta delle banche e non potrebbe essere usato (come lo è oggi) quale strumento di costrizione per non dire strozzinaggio speculativo.
Inoltre ricordo che il debito italiano ammonta a 2 342 mld circa di euro, mentre è stimato un risparmio privato di oltre 4 406 mld di euro, che durante gli ultimi anni è aumentato, conseguenza della crisi finanziaria e del meccanismo tale per cui in momenti difficili e di incertezza si è portati a risparmiare di più.
Questa enorme massa di risparmio, se convogliata in mezzi appropriati, ad adeguate condizioni per i cittadini, potrebbe, con una sua minima parte, risolvere molti problemi.
Il giurista ed ex manager BNL Guido Grossi, durante una conferenza tenutasi a Roma lo scorso 21 settembre, ha fornito una serie di spunti, davvero interessanti, su ciò che realmente oggi lo Stato potrebbe fare, tenendo conto dei mezzi a disposizione e ricercando, in ultima analisi, un rifiuto del possesso da parte degli investitori esteri di una fetta così grande del debito pubblico.
Innanzitutto abbassare l’offerta di BTP (buoni del tesoro pluriennali, tipicamente acquistati dagli investitori esteri), alzando contemporaneamente quella di BOT (buoni ordinari del tesoro, acquistabili con meccanismo d’asta di tipo competitivo, che garantisce il maggior profitto possibile allo Stato) e di CCT (certificati di credito del tesoro, da sempre molto apprezzati dalle famiglie per la loro caratteristica di garantire, in occasione di eventuale negoziazione prima della scadenza, un capitale verosimilmente uguale a quello inizialmente investito, dato che vi è la possibilità di adeguare la cedola ai tassi di mercato.)
Questi ultimi due strumenti, che garantiscono piattaforme sicure in cui collocare il proprio risparmio, sarebbero miele per api in Italia, attualmente dominata da offerte di strumenti di investimento, più rischiosi e ovviamente meno appetibili per le famiglie e la gente comune.
Lo Stato dovrebbe perciò incentivarne l’acquisto, alzando i rendimenti dei BOT (oggi negativi per attirare istituti bancari) e introducendo un sistema di aste differenziate, in grado di premiare investitori “fedeli” con premi aggiuntivi, collegati al momento della sottoscrizione, della scadenza o con trattamento fiscale privilegiato, proponendo strumenti di risparmio per i cittadini.
Basterebbero sottoscrizioni per poche centinaia di milioni di euro, e lo Stato sarebbe in grado di andare sul mercato a ricomprarsi i suoi BTP in mano agli investitori esteri, esorcizzando una volta per tutte il demone dello spread, invertendo il meccanismo d’asta (mai più marginale) e tornando dunque padrona di decidere quanti titoli e a quali condizioni immetterli.
Inoltre, volendo attuare un metodo più rapido ed efficace , bisognerebbe prendere esempio (una volta tanto) da Francia e Germania, che, in barba all’art.123 del TUE, acquistano de facto i loro stessi titoli di Stato. Infatti le corrispondenti franco tedesche della nostra Cassa Depositi e Prestiti, nei momenti di instabilità finanziaria, in cui non conviene vendere titoli perché i tassi d’interesse proposti dagli investitori esteri si alzano, acquistano i titoli, conservandoli in istituti bancari nazionali e riproponendoli in situazioni più favorevoli. Di fatto questi paesi sono in grado, perseguendo il loro legittimo interesse nazionale, di stabilire il tasso d’interesse sui loro titoli.
Fonte: https://www.ilmediterraneo.org/16/10/2018/riprendiamoci-il-debito-pubblico/
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