Chi c’è dietro ‘people’s vote’, il carrozzone che vuole un nuovo referendum sulla Brexit?
di ANTIDIPLOMATICO
La stampa mainstream così come certi esponenti politici ‘europeisti’ collocati tra le fila di tutti gli schieramenti politici all’unisono affermano: bisogna ascoltare il popolo e organizzare un nuovo referendum sulla Brexit. Ignorando chi si è già espresso e ha votato chiaramente per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Il discorso sulla doppia morale si ripropone per l’ennesima volta. In questo caso, lo schieramento sopra citato, che comprende uomini del Labour e dei Tories, uniti dalla volontà di non permettere che il Regno Unito si stacchi da questa Unione Europea, enfatizza al massimo la richiesta di chi è sceso in piazza a Londra.
Non c’è nulla di male o sbagliato nel prendere in seria considerazione le richieste di chi ha manifestato. Tutt’altro. Il problema è che si tratta degli stessi che ignorarono i due milioni di manifestanti in marcia contro il massacro in Iraq ad insistere affinché la richiesta di un numero molto inferiore di persone – parliamo di circa mezzo milione di persone – venga soddisfatta.
Il quotidiano della sinistra britannica Morning Star scrive: «Mentre nel 2003 si piazzavano ostacoli contro la coalizione Stop the War, dalla falsa rappresentazione dei media o alla censura, ai tentativi del governo Blair di impedire che i manifestanti si radunassero ad Hyde Park per paura che “danneggiassero l’erba”, i media neoliberisti, tra cui la BBC, si sono spesi senza riserve per il progetto ‘People’s Vote’. Ma chi c’è dietro questo progetto che mira ad arrivare all’indizione di un nuovo referendum sulla Brexit? A rivelarlo è sempre Morning Star: «I bus per Londra sono stati finanziati da Peter Mandelson, Michael Heseltine, Anna Soubry, David Miliband, Alastair Campbell e una miscellanea di celebrità benestanti. Ciò si aggiunge a donazioni consistenti – fino a 1 milione di sterline -, dal co-fondatore di Superdry, Julian Dunkerton, dallo speculatore finanziario George Soros e altri». Forse adesso gli schieramenti in campo sono più chiari. Può essere facilmente compreso perché vi sia una tale resistenza diretta a impedire l’uscita del Regno Unito dall’UE.
Il quotidiano britannico passa poi a spiegare come molte manifestazioni siano basate su «sentimenti assolutamente lodevoli vedendo l’UE come un’alternativa civile e umanitaria alla realtà di un governo Tory pieno di razzismo, xenofobia e disprezzo per la classe operaia. Sfortunatamente si tratta di una falsa dicotomia, incentrata sui Tories, ma irriducibilmente idealistica nei confronti dell’UE.
L’accordo di Schengen, che consente la libera circolazione interna dell’UE, si riflette nell’atteggiamento di Fortress Europe nei confronti del resto del mondo che spinge la Turchia e la Libia a fungere da guardie di frontiera dell’UE per impedire alle persone provenienti da zone di guerra e alla disperazione economica di raggiungere l’UE per chiedere asilo.
Per quanto riguarda la politica economica, il patto di stabilità e crescita dell’UE stabilisce un regime di austerità capitalista per l’intero blocco, con severe restrizioni sui deficit di bilancio e sui prestiti pubblici che hanno devastato molte economie periferiche – la Grecia in modo più grave. Quando il governo Syriza disse alla Troika, Banca Centrale Europea-Commissione Europea-Fondo Monetario Internazionale di non voler programmare prestiti per salvare banche estere operanti in Grecia perché l’elettorato aveva votato contro le misure di austerità, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble rispose che la democrazia greca era irrilevante perché «le regole sono regole». Il motivo è facilmente intuibile visto che le «regole» prevedono tagli alle retribuzioni e alle pensioni, privatizzazioni, svendita di tutto il settore pubblico.
«Tale disprezzo per la democrazia nazionale è radicato nelle strutture dell’UE – afferma più avanti Morning Star – senza che gli elettori possano esprimersi nei confronti della Commissione Europea, guidata nelle sue deliberazioni sulla legislazione da una Tavola Rotonda Europea degli Industriali e da un esercito di lobbisti delle imprese multinazionali. Il cosiddetto Parlamento Europeo non ha il diritto o la funzione di proporre una legislazione. È poco più di una costosa camera di discussione e una foglia di fico pseudo-democratica per il governo delle multinazionali.
Il Partito Tory ha sempre privilegiato gli interessi della City di Londra, in particolare il settore finanziario, ed è per questo che David Cameron, George Osborne e Theresa May hanno guidato la campagna ‘Remain’ nel referendum del 2016. Il governo di May ha ancora questa priorità, quindi possiamo anticipare i negoziati Tory con l’UE come molto probabilmente risultanti in una Brexit solo di nome. Oltre i due terzi dei deputati laburisti rappresentano i collegi elettorali che hanno votato per lasciare l’UE, il che dovrebbe servire come cautela per le cheerleader dell’UE nella leadership del partito a non saltare sul carrozzone del ‘People’s Vote.
Come ha detto coerentemente Jeremy Corbyn, il voto popolare del 2016 è stato per il ‘Leave’ e questo deve essere rispettato».
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