All’ultimo Forum sulla Cooperazione Cina-Africa, tenutosi a Pechino all’inizio di settembre, il Presidente Xi Jinping ha annunciato un finanziamento di 60 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’Africa, di cui 15 miliardi in prestiti senza interessi. Questa nuova ondata di investimenti ha l’obiettivo di sostenere i costi di realizzazione delle infrastrutture nel continente inserite nel piano strategico globale della Via della Seta e avviare la rivoluzione industriale in Africa. L’obiettivo finale è quello di isolare Europa e Stati Uniti, privandoli delle risorse naturali africane e far divenire l’Africa il quarto blocco economico mondiale alleato alla Cina e ai BRICS.

Se il piano dovesse riuscire sarebbe il colpo di grazia alla supremazia occidentale a livello planetario. L’asse del potere mondiale si sposterebbe dal nord al sud rivoluzionando tutte le istituzioni mondiali attualmente esistenti, in primis le Nazioni Unite, Fondo Monetario, Banca Mondiale, creando un nuovo concetto di capitalismo. I prestiti senza intessi hanno già ottenuto un primo risultato strategico. La Cina ha di fatto preso il controllo del porto di Gibuti, punto strategico economico e militare per l’Occidente. Le basi militari americane e francesi non sono al momento messe in discussione ma è prevedibile che nei prossimi anni il governo di Gibuti cercherà di sbarazzarsi della scomoda presenza occidentale in quanto le fonti di finanziamento ora sono garantite da Pechino.

L’Unione Europea sta tentando di controbilanciare la conquista cinese in Africa proponendo un nuovo patto economico che scimmiotta le strategie economiche cinesi e la filosofia Win Win (tutti vincitori) e stanziando milioni di euro in progetti di sviluppo tesi a mitigare l’immigrazione irregolare in Europa. Entrambe le strategie non sembrano efficaci. I Paesi africani, che da tre anni si rifiutano di rinnovare gli accordi economici con la UE considerati ‘coloniali’,  rimangono molto scettici sulla nuova proposta  e la firma degli accordi potrebbe non avvenire in tempi brevi. I progetti di sviluppo tesi a mitigare l’immigrazione, seguendo la logica Salviniana «aiutiamoli a casa loro» sono già in fase di esecuzione ma già denotano la loro inefficacia a risolvere il problema. Gli interventi hanno scarso impatto sull’occupazione giovanile nei Paesi africani beneficiari e non creano piccole e medie industrie, l’ossatura economica storica per lo sviluppo di un Paese capace di assorbire la disoccupazione giovanile.

Se l’Italia sta utilizzando questa nuova strategia di cooperazione europea verso l’Africa a fini di propaganda politica per dimostrare all’opinione pubblica interna che l’attuale governo si sta seriamente impegnando per bloccare l’immigrazione clandestina, la Francia è terrorizzata. Se la strategia europea dovesse fallire, il piano di egemonia economica ideato da Pechino avrebbe dirette conseguenze sulla Francia. Più la Cina espande la sua area di influenza nell’Africa Occidentale e Centrale, più le ex colonie francesi prendono coraggio per ribellarsi al colonialismo economico ancora imposto da Parigi.

Secondo alcuni osservatori africani tra un decennio la Francia potrebbe perdere il controllo economico sulle sue ex colonie nel continente, il Franco CFA sostituito da una moneta sovrana supportata dalla Cina, le multinazionali francesi estromesse dal mercato africano. Uno scenario da incubo in quanto ad oggi il colonialismo economico francese in Africa garantisce alla Francia il 42% del PIL. Come è avvenuto per la riconquista della patria sotto l’occupazione nazista resa possibile solo grazie alle truppe coloniali africane nella Seconda Guerra Mondiale, senza la rapina attuata ai danni dei Paesi africani francofoni la Francia si ridurrebbe in una Nazione di serie B, diminuendo il suo potere politico all’interno della Unione Europea a tutto vantaggio della Germania che non ha mai abbandonato le politiche della Grande Europa e dello Spazio Vitale Tedesco portate avanti prima dal Kaiser e successivamente da Adolf Hitler.

Gli Stati Uniti, dopo aver perso quasi un decennio, dove il rischio cinese veniva largamente sottovalutato (amministrazione Obama), hanno tentato di rispondere all’avanzata dei BRICS con le armi classiche a disposizione della CIA e Pentagono: destabilizzazione, azioni eversive, tentativi di cambiare regimi considerati troppo amici di Pechino e Mosca, minacce di interventi militari. Una strategia che non ha funzionato. L’Africa del 2018 non è quella degli anni Ottanta dove bastava inviare qualche mercenario ad attuare un golpe o finanziare un gruppo ribelle per destituire il dittatore di turno non gradito.

Gli interventi militari americani non sono più di facile realizzazione, come dimostra l’abortito piano ‘Isolamento e Distruzione‘ ideato dal Segretario di Stato Mike Pompeo per attuare un cambiamento di regime nella Repubblica Democratica del Congo. Con una semplice ma abile mossa degna di un prestigiatore, il dittatore congolese ha rinunciato al terzo mandato nominando un delfino che parteciperà alle elezioni del prossimo dicembre e che permetterà al Rais Joseph Kabila e al Clan dei Mobutisti che lo sostiene di controllare dietro le quinte la vita politica e il traffico illegale dei minerali preziosi. Questa semplice mossa ha sbaragliato in poche ore tutti i piani americani di egemonia sul ricco Paese africano.

Dinnanzi all’impotenza militare riscontrata, lo scorso 3 ottobre il Senato americano ha votato una legge che crea la USIDFC (Corporazione degli Stati Uniti per lo Sviluppo Finanziario Internazionale) una nuova agenzia finanziaria rivolta allo sviluppo dell’Africa voluta dal Presidente Donald Trump per contrastare l’impero cinese nel Continente.  La legge, denominata BUILD Act, è stata votata in una raro clima di bipartitismo tra Repubblicani e Democratici con una maggioranza di 93 voti a favore e 6 contrari.

Il BUILD Act incorpora diverse agenzie americane nella nuova organizzazione: USIDFC con una disponibilità di fondi iniziale pari a 30 miliardi di dollari a cui si aggiunge il portafoglio di 23 miliardi di dollari a disposizione della OPIC (Corporazione degli Investimenti Privati d’Oltremare) anch’essa inglobata nella USIDFC assieme ad USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale). L’obiettivo immediato è di assicurare ai governi africani prestiti diretti per lo sviluppo economico e commerciale con però l’interdizione di detenere partecipazioni dirette nei progetti di investimento finanziati. La partecipazione diretta sarà possibile nella seconda fase di investimenti dove i fondi saranno raddoppiati arrivando a 60 miliardi di dollari.

La USIDFC è destinata a diventare il principale veicolo finanziario degli Stati Uniti per lo sviluppo economico africano che permetterà alla potenza imperiale in gravi difficoltà di contrastare l’influenza europea e l’espansione cinese nel Continente. La nuova agenzia si basa sulle idee del Presidente Nixon che portarono nel 1971 alla creazione dell’ OPIC, migliorando l’efficacia degli interventi, fanno notare due specialisti delle sviluppo internazionale: Todd Moss e Erin Collinson.

La legge BUILD Act è stata sostenuta dalla Casa Bianca nel disperato tentativo di contrastare il progetto di Pechino di trasformare l’Africa in un polo economico mondiale indipendente e suo alleato in chiave anti occidentale. Un polo economico che permetta alla Cina di diventare il leader incontrastato dell’economia e della finanzia mondiali. «La USIDFC, pur mantenendo la linea di credito rivolta ai governi, si orienterà verso gli investimenti del settore privato, considerati essenziali per la crescita economica e lo sviluppo in Africa, offrendo una valida alternativa alle iniziative di investimenti offerte dalla Cina. Non è esagerato affermare che la BUILD Act è l’iniziativa di politica estera più importante dopo la creazione della Corporazione per il Cambiamento Millenario del 2004 e il lancio del PEPFAR (Piano Presidenziale di Emergenza per la lotta contro l’AIDSdel 2003», spiega Ray W. Washburne, digerente della OPIC in un comunicato dello scorso 3 ottobre.

La controffensiva finanziaria voluta dal Presidente Donald Trump contrasta la sua linea politica ‘America First’ ma rappresenta un passo obbligato per gli Stati Uniti al fine di evitare l’egemonia cinese e la conseguente perdita del controllo sulle risorse naturali africane, indispensabili per l’industria americana. L’Europa, storico alleato americano, è frammentata dal nascere di movimenti populisti e fascisti (supportati anche dalla Russia) che rischiano di compromettere l’unità dell’Unione Europea e mettere in discussione il predominio militare americano sulla NATO. L’indebolimento politico interno all’Europa indebolisce direttamente il suo controllo sull’Africa e indirettamente gli interessi americani nel Continente.

Donald Trump è stato costretto ad ammettere che il progressivo disimpegno verso l’Africa è una politica sbagliata e nociva al capitalismo americano che rischia di compromettere la posizione degli Stati Uniti a livello mondiale. Egli pensava che fosse sufficiente appoggiare il terrorismo salafista di matrice Saudita per destabilizzare intere regioni africane e fermare l’espansionismo cinese. Come rivela il caso del giornalista scomparso Jamal Khashoggi (probabilmente ucciso all’interno del consolato saudita in Turchia) l’Arabia Saudita si sta rivelando un alleato sempre più scomodo, imbarazzante e inaffidabile per gli Stati Uniti. I gruppi Salafisti stanno proliferando nel Nord Africa (vedi Libia), in Mali, nella Repubblica Centrafrica, in Somalia e in vari Paesi dell’Africa Occidentali. Al Qaeda e DAESH si contendono l’egemonia sul continente supportando vari gruppi terroristici locali quali Al Shabaab in Somalia e Boko Haram in Nigeria. Hanno usufruito del supporto europeo e americano ma rispondono a proprie logiche e riconoscono fedeltà solo all’Arabia Saudita che, a sua volta, nutre propri interessi internazionali e in Africa che stanno progressivamente andando in netto contrasto con gli interessi occidentali.

Il BUILD Act richiede una strategia globale e un diverso approccio verso l’Africa che ospiterà entro il 2050 1,2 miliardi di persone con una classe media in continuo aumento e un alto potenziale di diventare un futuro e attraente mercato internazionale. Con una superficie uguale a quella della Luna, ricca di minerali e idrocarburi e con un potenziale economico di crescita quasi illimitato, l’Africa rischia di diventare il peggior nemico degli Stati Uniti decretando la fine dell’Impero.

Il declino del controllo europeo sul continente si manifesta in due fattori.  Il primo dettato dalla miopia politica dei movimenti populisti europei, alcuni di essi al potere (Lega Lombarda in Italia) che si concentrano in modo strumentale su una falsa emergenza migratoria dall’Africa per nascondere gravi problemi e crisi endemiche nazionali che stanno portando al fallimento economico e alla povertà cronica e diffusa. Questi movimenti dipingono l’Africa come un continente dell’orrore, in preda a carestie, dittature, guerre e povertà. Un’immagine necessaria per giustificare il falso mito dell’invasione africana dell’Europa (solo il 2% delle migrazioni africane si  rivolge al Vecchio Continente mentre il 98% delle migrazioni avviene in Africa) ma che impedisce ai governi europei di adottare mirate iniziative per diventare veri partner dello sviluppo dei Paesi Africani e partecipare al futuro mercato continentale mantenendo una situazione di privilegio e priorità sulle risorse naturali africane.

Il secondo fattore è rappresentato dalle sempre più evidenti difficoltà della Francia a controllare le sue colonie d’Oltre Mare. Un fattore di fine Impero che si abbina all’espansionismo cinese. Pechino non è la sola potenza emergente che sta minacciando il controllo occidentale sull’Africa. Anche la Russia, in modo più discreto ma altrettanto efficace, sta contribuendo al piano di rendere il Continente un polo economico indipendente anti occidentale.

La Russia ha intensificato l’influenza militare ed economica nell’Africa Centrale, strappando alla Francia il controllo della strategica e ricchissima Repubblica Centrafricana, dopo che la Cellula Africana dell’Eliseo ha creato una spaventosa guerra civile con forti componenti genocidarie per ottenere un governo sotto suo controllo e fallendo miserabilmente nell’intento. Mosca sta aumentando la cooperazione con l’Egitto con l’obiettivo di stabilire una presenza militare capace di controllare la principale rotta marittima utilizzata dall’Occidente: il Canale di Suez. Il controllo del canale, associato all’alleanza Russia-Iran, metterebbe in forti difficoltà l’Occidente che rischierebbe di perdere il controllo sul gran parte del Nord Africa, Corno d’Africa e Medio Oriente e sulle rotte marittime che collegano l’Europa con l’Asia: il Canale di Suez, lo stretto di Ba Al Mandab e lo stretto di Hormuz.

Il BUILD Act è l’atto finale di un doloroso processo di presa di coscienza da parte degli Stati Uniti che la sua politica dei ‘muscoli’ è fallimentare rispetto a quella del ‘Soft Power’ (potere soffice) adottata da Cina e Russia. Entrambe queste potenze emergenti non si stanno imponendo in Africa con la forza militare ma attraverso una aggressiva politica di investimenti conveniente ai partner africani in quanto mirata allo sviluppo economico del Continente e alla sua sovranità finanziaria rispetto alla secolare sudditanza verso l’Occidente. La Cina sta incorporando l’Africa nel suo progetto di dominio planetario attraverso la Via della Seta e sta avviando la rivoluzione industriale storicamente negata dall’Occidente. La Russia sta investendo in vari settori economici, produttivi, energetici e finanziari.

«Pentagono, Casa Bianca e Wall Street devono ripensare radicalmente le loro strategie militari, politiche ed economiche  in Africa» – avverte Emily Estelle un analista economico politico senior del Progetto Minacce Critiche dell’Istituto delle Imprese Americane – «Gli Stati Uniti devono andare oltre alla guerra contro il terrorismo islamico, iniziando a partecipare al futuro dell’Africa contribuendo a creare reciproca prosperità sostituendo i concetti di sfruttamento e rivalità che fino ad ora hanno governato la politica estera rivolta all’Africa con nuovi concetti di partenariato economico e mutui interessi basati su rapporti paritari».