Cina e Giappone parlano da amici, pensano da rivali
di BOLLETTINO IMPERIALE (Giorgio Cuscito)
Carta di Laura Canali – 2017
BOLLETTINO IMPERIALE Ottobre lungo le nuove vie della seta. Pechino e Tokyo si riavvicinano per contrastare il protezionismo di Trump, ma restano antagonisti.
Il Bollettino Imperiale è l’osservatorio settimanale di Limes dedicato all’analisi geopolitica della Cina e alle nuove vie della seta. Grazie al sostegno di TELT. Puoi seguirci su Facebook e Twitter.
Indicatore geopolitico: 7 Il primo ministro giapponese Shinzo Abe si è recato a Pechino per una missione di tre giorni, sette anni dopo l’ultima visita di un capo di governo nipponico in Cina. Nel 2012, il riaccendersi della disputa sul controllo delle isole Senkaku/Diaoyu nel Mar Cinese Orientale aveva infatti provocato il gelo tra i due governi.
DISGELO APPARENTE TRA CINA E GIAPPONE
Ricevuto dal presidente cinese Xi Jinping, Abe ha detto che le relazioni sino-giapponesi hanno raggiunto “uno storico punto di svolta”. Tuttavia, il riavvicinamento tra Repubblica Popolare e Giappone è probabilmente di natura tattica e dipende dalla comune avversione alle misure protezionistiche adottate dagli Stati Uniti. I due paesi asiatici hanno firmato diversi accordi economici e di cooperazione. Tra questi ultimi, rileva quello per scambiare 200 miliardi di yuan (la valuta cinese) con 3,4 mila miliardi di yen (quella giapponese). La cifra è pari a circa 30 miliardi di dollari. Questa manovra dovrebbe agevolare il commercio bilaterale e ridurre l’utilizzo del dollaro statunitense.
La distensione delle relazioni tra Cina e Giappone sul fronte economico non intaccherà la loro rivalità di lungo periodo. Tra i due paesi asiatici regna un antagonismo storico e strategico difficilmente sanabile. Pechino non dimentica l’impatto della prima e della seconda guerra sino-giapponese sul declino della Cina imperiale. I due conflitti peraltro hanno inciso sulla disputa per il controllo delle isole Senkaku/Diaoyu e su quella per la sovranità di Taiwan. Il paese del Sol Levante è preoccupato dall’impatto delle misure protezionistiche statunitensi sulla sua industria automobilistica (molte imprese assemblano in Cina ed esportano negli Usa), ma è il principale alleato di Washington in Asia-Pacifico contro Pechino. Inoltre, malgrado gli accordi infrastruttuali conclusi con la Repubblica Popolare, Tokyo non ha ancora aderito formalmente alla Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta). Del resto, l’iniziativa contribuisce al “risorgimento” della Cina al rango di superpotenza che aveva in epoca imperiale. Per ostacolare questo progetto, il Giappone sta estendendo le sue attività navali al conteso Mar Cinese Meridionale. In tale ambito, a inizio ottobre Tokyo ha condotto nelle Filippine la sua prima esercitazione terrestre dalla seconda guerra mondiale, assieme a Washington e Manila.
NOVEMBRE, IL MESE DI ITALIA E CINA?
Gli incroci tra esponenti di alto livello di Italia e Cina sono sempre più frequenti. Tra settembre e ottobre, il ministro dell’Economia italiano Giovanni Tria ha incontrato due volte (una a Pechino e una a Milano) Tu Guangshao, vicepresidente della China investment corporation (Cic), primo fondo sovrano della Repubblica Popolare. Obiettivo: creare un fondo comune per stimolare gli investimenti nel mercato altrui. La bozza dell’accordo dovrebbe essere firmata a inizio 2019.
A inizio novembre il vicepresidente del consiglio Luigi Di Maio dovrebbe tornare per la seconda volta in Cina, per partecipare all’Expo internazionale per le importazioni che si svolgerà a Shanghai tra il 5 e il 10 novembre. Potrebbe essere l’occasione giusta per firmare il memorandum d’intesa per partecipare formalmente alla Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta). Inoltre, un investimento cinese nel porto di Trieste pare imminente. Novembre insomma potrebbe essere un mese fondamentale per le relazioni sino-italiane.
LE OPZIONI DI PECHINO PER EVITARE LA TRAPPOLA DEL DEBITO
La Cina vuole risolvere il principale ostacolo economico allo sviluppo delle nuove vie della seta: l’accumulo di debito pubblico da parte di diversi paesi partner. Questo infatti starebbe spingendo alcuni governi a ritrattare o addirittura cancellare i progetti concordati con Pechino. Perciò, il 20 ottobre il viceministro delle Finanze cinese Zou Jiayi ha detto che la Repubblica Popolare potrebbe ridurre i prestiti commerciali e allo stesso tempo intensificare gli investimenti diretti esteri, le partnership tra imprese pubbliche e private e gli investimenti in equity.
Lo scorso agosto, Xi Jinping aveva già fatto capire che la Bri deve aggiustare il tiro e “dare priorità ai bisogni delle altre parti”. Evidentemente Pechino ha compreso che le nuove vie della seta sono estremamente fragili senza la fiducia dei governi stranieri. Alla medesima conclusione sono giunti anche diversi paesi partner (vedi Malaysia, Pakistan e Maldive), che possono servirsi di questo fattore e della vulnerabilità cinese alla guerra commerciale con gli Usa per pretendere da Pechino costi inferiori per i progetti concordati.
IL PAKISTAN FA UN PASSO INDIETRO
Il primo ministro pakistano Imran Khan ha tagliato di due miliardi di dollari il budget previsto per la costruzione della linea ferroviaria tra Karachi e Peshawar. Il progetto (costo iniziale 8,2 miliardi) rientra nello sviluppo del Corridoio economico Cina-Pakistan, che unisce il turbolento Xinjiang al porto di Gwadar, sull’Oceano Indiano. Qualche mese fa, Khan aveva definito le nuove vie della seta “un’opportunità d’oro” per il suo paese, ma evidentemente ora nutre dei timori circa le ripercussioni finanziarie dell’iniziativa. Islamabad deve fare i conti con il crollo delle riserve in valuta estera e con gli alti livelli di debito pubblico e di deficit commerciale con i paesi stranieri. Per questo, ha chiesto prestiti all’Arabia Saudita e al Fondo monetario internazionale. A causa delle difficoltà economiche in cui versa, il Pakistan potrebbe proporre alla Cina di ridimensionare ulteriormente la portata dei progetti. Danneggiando così gli interessi di Pechino, che considera il corridoio sino-pakistano un pilastro delle nuove vie della seta.
NIENTE NUOVO AEROPORTO PER LA SIERRA LEONE
Anche la Sierra Leone teme che i progetti infrastrutturali cinesi alimentino la dipendenza economica dalla Repubblica Popolare. Il governo del presidente Julius Maada Bio ha cancellato il progetto per la costruzione di un nuovo aeroporto fuori dalla capitale Freetown (costo 400 milioni di dollari), perché giudicato non necessario. Il piano era stato approvato da Ernest Bai Koroma, l’ex capo di Stato che ha perso le elezioni lo scorso marzo. L’attuale leader sierraleonese pare più interessato alla costruzione di un ponte che colleghi l’aeroporto di Lungi (l’unico del paese) a Freetown.
UN NUOVO PROGETTO PER IL MYANMAR
Myanmar e Cina hanno avviato uno studio di fattibilità per la costruzione della rotta ferroviaria tra Musa e Mandalay. La prima città si trova nello stato birmano di Shan nel Nordest del paese, al confine con la provincia cinese dello Yunnan. Mandalay è ubicata nel centro del Myanmar, a metà strada tra Musa e il fondamentale porto di Kyaukphyu. Questo percorso fa parte del corridoio economico che in futuro dovrebbe collegare i due paesi. Pechino vuole servirsene per ridurre la dipendenza dei suoi flussi commerciali dalla rotta passante per lo Stretto di Malacca. Questo obiettivo strategico e le cospicue risorse energetiche e minerarie del Myanmar spingono Pechino a sostenere il processo di pace tra l’esercito birmano e i gruppi etnici armati.
TESLA APRIRÀ UNA FABBRICA IN CINA
Il colosso statunitense produttore di auto elettriche aprirà nella Repubblica Popolare il suo primo impianto all’estero. La notizia è rilevante per due ragioni. Primo, Pechino vuole introdurre questi veicoli sul suo mercato per contrastare gli alti livelli di inquinamento che caratterizzano il paese. Secondo, la scelta di Tesla è in contrasto con l’attuale politica degli Usa contro la Cina. L’amministrazione Trump vorrebbe svincolare la propria filiera produttiva da quella cinese per ostacolare il processo di sviluppo tecnologico del Dragone. Pechino infatti intende elevare la qualità della propria economia e potenziare le Forze armate tramite la collaborazione tra industria militare e civile.
HUAWEI PUNTA AL 5G DELLA GERMANIA
Il gigante tecnologico cinese vuole sviluppare la rete 5g della Germania. Prima però deve convincere Berlino che non userà l’infrastruttura per spiare il paese per conto di Pechino. A novembre infatti Huawei aprirà a Bonn un laboratorio per consentire al regolatore tedesco la verifica dei suoi codici sorgente. Di questi tempi, l’azienda cinese non ha vita facile. Prima gli Usa le hanno impedito di concludere accordi con i suoi enti governativi. Poi l’Australia ha di fatto proibito alla Cina di sviluppare la rete 5g nazionale. La vittoria dell’appalto consentirebbe a Pechino di smentire le accuse di ciberspionaggio. Al contrario, se Berlino negasse il permesso all’azienda tecnologica cinese per ragioni di sicurezza nazionale, danneggerebbe ulteriormente l’immagine della Repubblica Popolare all’estero.
IL PONTE PER HONGKONG
Il 23 ottobre, Xi Jinping ha personalmente inaugurato l’apertura del ponte più lungo del mondo (55 chilometri), che unisce Hong Kong, Macao e Zhuhai (nel Guangdong). La nuova infrastruttura contribuisce al processo d’integrazione geoeconomica delle due ex colonie (rispettivamente britannica e portoghese) con la Cina continentale. In particolare, Pechino vuole garantire a Hong Kong il ruolo di “superconnettore” finanziario ed economico tra Repubblica Popolare e resto del mondo. Allo stesso tempo, vuole arginarne le pretese democratiche. Una parte della popolazione hongkonghese pretende infatti il suffragio universale per l’elezione del capo del governo locale.
È assai improbabile che queste aspettative siano soddisfatte. Se Hong Kong adottasse un sistema democratico di tipo occidentale potrebbe alimentare il desiderio di libertà nel resto della Cina. Mettendo a repentaglio la sua stabilità e la supremazia del Partito comunista.
REGOLAMENTATI I CAMPI DI RIEDUCAZIONE NEL XINJIANG
Pechino ha legalizzato l’esistenza dei cosiddetti “centri di rieducazione professionale” nella regione cinese del Xinjiang. Secondo gli Usa e l’Onu, queste strutture servono a detenere e rieducare politicamente fino a un milione di musulmani. Di questi, la maggioranza sarebbe di etnia uigura, minoranza che popola il Xinjiang. Qui Pechino conduce dal 2014 una dura campagna antiterrorismo, che non punta solo a scovare le cellule jihadiste ma a “de-estremizzare” coloro che giudica radicalizzati.
La Cina vuole controllare saldamente la regione perché è la porta d’accesso all’Asia Centrale e un cuscinetto a protezione del nucleo geopolitico del paese, sulla costa orientale. Ma la repressione nel Xinjiang potrebbe alimentare nuove minacce agli interessi della Cina in patria e all’estero.
UN TRENO DAL QINGHAI ALLA RUSSIA VIA XINJIANG
A fine ottobre, è entrata in funzione una nuova linea ferroviaria tra Cina e Russia. In 12 giorni, i treni percorreranno i 4.345 chilometri di binari che da Delingha (nel Qinghai) attraversano il Xinjiang, il Kazakistan e raggiungono la città russa di Barnaul. L’aumento delle connessioni infrastrutturali, degli accordi energetici e della collaborazione militare conferma l’intesa tra Cina e Russia. Questa tuttavia dipende soprattutto dalla condivisa avversione agli Usa. Mosca infatti teme le ambizioni imperiali di Pechino e non vede di buon occhio il coinvolgimento dell’Asia Centrale – storica aerea d’influenza russa – nelle nuove vie della seta.
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