Con in mente la Cina, gli Usa si ritirano dall’accordo sui missili
di LIMES (Giorgio Cuscito)
BOLLETTINO IMPERIALE L’uscita dall’Inf permetterebbe a Washington di posizionare vettori balistici e nucleari nelle basi a stelle e strisce dislocate nel Pacifico. Neutralizzando la strategia d’interdizione di Pechino nel Mar Cinese Meridionale.
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L’annuncio del ritiro degli Usa dal trattato sulle forze nucleari di gittata intermedia (acronimo inglese Inf) firmato con la Russia complica le già tortuose relazioni con la Cina. L’Inf impedisce a Washington e Mosca di possedere e usare missili (convenzionali e nucleari) basati a terra con una gittata compresa tra i 500 e i 5,500 chilometri. Da tempo, i due governi si accusano reciprocamente di violare l’accordo, ma le Forze armate russe ormai non possono sostenere il confronto missilistico con quelle Usa.
Se si concretizzerà, il ritiro degli Stati Uniti dall’Inf servirà principalmente a sviluppare una nuova tattica di contenimento dell’espansione militare attuata da Pechino in Asia-Pacifico. Washington potrebbe installare i vettori nelle proprie basi in Asia-Pacifico per tenere nel mirino navi, sottomarini e avamposti artificiali dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) nel Mar Cinese Meridionale e persino la costa della Repubblica Popolare. In questo modo, la deterrenza statunitense in queste acque si baserebbe su una vera e propria “difesa arcipelagica” e dipenderebbe in misura inferiore dall’impiego di cacciatorpediniere, portaerei e cacciabombardieri, le cui attività sono vulnerabili ai sistemi di difesa terrestri della Repubblica Popolare.
Il “vantaggio” cinese
La Cina non fu presa in considerazione quale potenziale firmataria dell’Inf perché, al momento della stipula (nel 1987), aveva avviato da poco la politica di riforma e apertura e non era la potenza economica e militare di oggi. L’Epl deve ancora colmare diverse lacune tecnologiche e di esperienza per eguagliare le Forze armate Usa. Tuttavia, ha potuto sviluppare un arsenale di missili che in larga parte non sarebbe consentito dall’Inf. Per esempio, il vettore balistico anti-nave Dongfeng-21, soprannominato negli Usa “killer di portaerei” (gittata 1,450 chilometri), il Dongfeng-26 (tra i 3,000 e i 4,000 chilometri) e quello intercontinentale Dongfeng-41 (tra 12 mila e 15 mila chilometri), giunto al decimo test.
Pechino ha così acquisito un vantaggio nell’ambito della strategia d’interdizione dello spazio (anti access/area denial o a2/ad), il cui scopo è impedire gli attacchi dei paesi rivali (Usa in primis) nel Mar Cinese Meridionale e Orientale. In questo bacino d’acqua, l’Epl ha aumentato il numero di esercitazioni e pattugliamenti navali e aerei e intensificato la costruzione di isole artificiali a uso militare e civile negli arcipelaghi Paracel e Spratly. Inoltre, è alle prese con i test della sua prima portaerei fatta in Cina.
Eppure la cosiddetta “prima catena di isole”, che ostacola fisicamente il libero accesso della Repubblica Popolare all’Oceano Pacifico, è composta da paesi che non gradiscono la sua ascesa (Giappone, Corea del Sud, Filippine, Malaysia, Indonesia e Brunei) ed è puntellata da basi militari Usa. Queste, per ora, non sono dotate di missili basati a terra.
La “difesa arcipelagica”
Per contestare le pretese di sovranità di Pechino nei Mari Cinesi, fin qui Washington si è limitata a intensificare le operazioni per la libertà di navigazione al largo dei suoi avamposti artificiali. In tale ambito, rientra la grande esercitazione a stelle e strisce pianificata per novembre. Questa tattica non ha intaccato la strategia di Pechino, piuttosto ha aumentato il rischio di incidenti tra le imbarcazioni dei due paesi.
L’installazione di missili basati a terra nelle basi Usa potrebbe non essere accolta a braccia aperta dagli alleati di Washington in Asia-Pacifico. Giappone, Corea del Sud e Filippine sono legati alla superpotenza in chiave militare ma intrattengono salde relazioni economiche con la Cina sul piano economico. Il posizionamento di questi vettori potrebbe alimentare il dibattito politico in questi paesi circa l’accrescimento della presenza militare a stelle e strisce e il potenziale inasprimento dei rapporti con la Repubblica Popolare. Basti pensare al malcontento manifestato recentemente dal governatore di Okinawa nei confronti di Tokyo per il trasferimento della base di Futenma a Henoko, che sarà oggetto di un referendum non vincolante. Tali dinamiche rendono più complesso il dispiegamento permanente dei missili ma non ne escludono uno temporaneo, come deterrente in caso di particolari tensioni tra Washington e Pechino.
Le conseguenze per la Cina
L’uscita degli Usa dall’Inf è evidentemente contro gli interessi cinesi. Eppure è improbabile che Pechino negozi con Washington un nuovo accordo sui missili, poiché implicherebbe la rinuncia a una componente essenziale della sua strategia di difesa.
La Cina potrebbe piuttosto sfruttare questa dinamica per alimentare la narrazione della minaccia Usa e accelerare ulteriormente il suo sviluppo militare. In tale ambito, la “fusione” tra industria militare e civile (junmin ronghe) attuata da Pechino è fondamentale. Questa implica la condivisione di conoscenze tecnologiche – anche nel campo dell’intelligenza artificiale – tra i due settori. Ciò spiega perché gli Usa vogliano ostacolare lo sviluppo dell’hi-tech cinese svincolando la propria filiera produttiva da quella della Repubblica Popolare.
Il ritiro di Washington dall’Inf potrebbe inoltre agevolare l’avvicinamento tattico tra Cina e Russia. Le due potenze euroasiatiche sono separate da una rivalità strategica di lungo periodo. Tuttavia, negli ultimi anni hanno rinnovato la loro intesa in chiave anti-Usa. Lo confermano gli accordi infrastrutturali ed energetici nell’ambito delle nuove vie della seta cinesi e la collaborazione militare, di cui gli imponenti giochi di guerra di Vostok 2018 sono stati il simbolo. A ciò si aggiunga che Mosca, libera dai limiti dell’Inf, potrebbe sviluppare le sue capacità missilistiche in Eurasia in chiave anti-Nato alla luce del sole e senza ulteriori danni d’immagine. A sua volta, ciò potrebbe complicare il rinnovo del trattato Start tra Usa e Russia sulla riduzione delle armi nucleari, che scadrà nel 2021, e alimentare le tensioni tra Washington e i paesi del Patto atlantico.
Il presidente statunitense Donald Trump ha fatto sapere di voler trovare un accordo commerciale con l’omologo cinese Xi Jinping a margine del summit G20 di Buenos Aires (30 novembre e 1 dicembre). Nel frattempo ha messo in preventivo nuovi dazi contro la Cina, qualora il vertice non andasse a buon fine. Eppure, tenuto conto delle crescenti tensioni nei Mari Cinesi e nel ciberspazio, la guerra commerciale non sembra il più rilevante dei problemi nel confronto di lungo periodo tra le due potenze.
FONTE: http://www.limesonline.com/rubrica/usa-cina-ritiro-accordo-missili-nucleari-russia
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