di MARX XXI (Maria Morigi)
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la prima e la seconda e ultima parte dell’articolo
Nel gennaio del 2015 il Ministero dell’Istruzione cinese annunciava l’intenzione di bandire dalle aule universitarie i materiali d’insegnamento che “diffondevano i valori occidentali”.
Le autorità cinesi erano dunque ostili nei confronti dell’occidentalizzazione? Ci si chiede anche se in Cina è riconosciuta una sorta di equivalenza tra valori occidentali = valori liberali, ovvero princìpi di governo e ideali politico-sociali, quali libertà, uguaglianza, autonomia individuale e autogoverno repubblicano, con cui l’Occidente definisce la propria identità liberale e democratica. O forse i valori occidentali erano incompatibili con la “grande rinascita della nazione cinese” con cui erano stati promossi i “valori cinesi”?.
La stampa ufficiale intervenuta tempestivamente (Vedi Guangming online: “Cosa c’è di sbagliato a non far circolare i valori occidentali nelle università socialiste”, 31-01-2015) chiariva: “I valori occidentali principalmente si riferiscono, nella Cina di oggi, alle idee errate provenienti dal mondo capitalista occidentale e in particolare a quelle idee e valori politici propagandati dai paesi capitalisti occidentali rappresentati in primis dall’America, come la democrazia costituzionale, i valori universali, la società civile, il neoliberalismo, il nichilismo storico…”.
Per capire le dimensioni del problema dobbiamo fare molti passi indietro, perché in Cina la storia contemporanea –a partire dalle Riforme dei 100 giorni (1898) dell’imperatore Guangxu- è segnata da un lato dalla promozione dell’occidentalizzazione, che chiedeva una costituzione e un parlamento per garantire ai cinesi uguali diritti e doveri e per partecipare alla costruzione della nazione; dall’altro lato è segnata dalla difesa dei valori autoctoni. Tale contesa culturale e ideologica era motivata dall’aspirazione a creare un moderno sistema democratico, pur assecondando l’esigenza di conservare un sistema autocratico che fosse espressione della tradizione cinese di Stato-civiltà.
Prima ancora della caduta dell’Impero, i difensori dell’assolutismo imperiale avevano sostenuto il principio divenuto in seguito proverbiale: “Sapere cinese come sostanza, Sapere occidentale come mezzo”, come dire che la Cina, nell’ accogliere il sapere occidentale sul piano strumentale -dato il maggiore livello di sviluppo e l’ utilità pratica del sapere occidentale-, avrebbe dovuto nello stesso tempo difendere e preservare la peculiarità cinese sul piano etico-politico (“Ciò che faceva della Cina la Cina” cit. da Zhang Zhidong) [1]. Era in pratica riproposta l’ideologia confuciana dei “Tre Cardini” che sancivano la sottomissione dell’individuo all’ ordine della società tradizionale.
Questa dialettica continuò subito dopo la caduta dell’Impero con il Movimento per la Nuova Cultura, che si costituì per opporsi ad ogni restaurazione dinastica. Esso contrapponeva la cultura tradizionale cinese feudale-gerarchica alla cultura occidentale moderna e liberale. Negli anni Trenta, seguì la disputa fra i fautori dell’occidentalizzazione totale (Quanpan xihua), e i difensori della base cinese (Zhongguo benweilun): i primi, fautori dell’occidentalizzazione, erano liberali critici della Repubblica Nazionalista di Nanchino e ritenevano che la Cina dovesse importare dall’Occidente non solo gli elementi materiali della modernità ma anche quelli politici e culturali (istituzioni democratiche e diritti individuali), i secondi, difensori della base cinese, erano conservatori organici alle politiche del governo Nazionalista, che non mettevano in discussione l’occidentalizzazione materiale della Cina, ma sostenevano che la Cina avrebbe dovuto rimodellare la propria modernizzazione per adattarla alle proprie peculiari caratteristiche storico-culturali. Ormai, non si parlava più di occidentalizzazione bensì di modernizzazione.
Solo negli anni ’80, passata la Rivoluzione maoista che aveva combattuto il pensiero confuciano insieme ai residui della tradizione feudale-religiosa cinese e alle ‘tentazioni’ di individualismo occidentale, è tornata in auge l’idea di occidentalizzazione totale. Venne lanciata da Deng Xiaoping e dal progetto illuminista del Quattro Maggio con ideali di emancipazione individuale, autodeterminazione politica e rinnovata fiducia in scienza + tecnologia occidentali nella prospettiva di una democrazia liberale. Ma si riaccendeva anche, sempre negli stessi anni, l’interesse nei confronti delle molteplici tradizioni nazionali con specifiche caratteristiche cinesi, combattute precedentemente o ignorate dalla Rivoluzione. Tale interesse venne intercettato e fatto proprio dal Partito Comunista. Ed ecco così il nuovo connubio fra confucianesimo e potere, destinato a una crescita costante, in cui il confucianesimo forniva al Governo il tradizionale valore di Armonia (Hé), per amministrare l’ordine sociale, ricomporre le fratture provocate dal Mercato e superare le frequenti recriminazioni contro le disparità sociali.
Infine il dibattito, ormai nel XXI secolo, fra valori universali e valori cinesi. C’era chi affermava che la Cina, divenuta di fatto protagonista del capitalismo globale, avrebbe dovuto continuare la propria crescita sotto l’insegna dei valori rappresentati dal modello occidentale, e c’era chi invece, difendendo il modello cinese, rigettava questi valori come storicamente specifici dell’Occidente (che li avrebbe propagandati al solo scopo di imporre la propria egemonia liberistica e capitalistica). La crescita economica aveva inoltre ben dimostrato la validità della via cinese allo sviluppo, insieme al diritto ad affermare nel mondo la soggettività cinese.
Questa querelle sui valori (lunga più di un secolo) venne praticamente accantonata e superata con la promozione della “eccellenza della cultura cinese tradizionale”. Xi Jinping, Segretario generale del PCC a partire dal XVIII Congresso del Partito del 2012 cominciò infatti a promuovere i cosiddetti Valori fondamentali del socialismo, una lista di dodici valori che include anche quelli definiti universali come democrazia, libertà, uguaglianza, giustizia e governo della legge. Per superare le divergenze, il Partito stesso, sotto la guida di Xi Jinping, ha approntato quindi una summa teorica in materia di valori sociali, che sancisce l’interpretazione dei “valori universali” da parte dello stesso Partito (vedi articolo seguente).
Ci tengo a chiarire che il tema continua ad essere oggetto di discussione, tanto che studiosi, giornalisti, storici e filosofi di primo piano, anche appartenenti ai quadri di Partito, danno libera espressione a critiche radicali o parziali del pensiero governativo introducendo frequentemente spunti di riflessione… a dispetto di chi in Occidente crede che la Cina sia un paese in cui domina il pensiero unico. Nella prossima puntata porterò alcuni esempi di dibattito recente, il contributo di Chen Lai e dello stesso Xi Jinping con l’elenco dei valori ufficialmente riconosciuti.
Presso la Chinese Academy of Social Sciences – CASS sono numerosi gli studiosi liberisti favorevoli alle politiche riformiste intraprese fin dagli anni Novanta. Questi intellettuali sostengono le riforme liberiste e ne propongono un’ulteriore espansione in senso politico, ritenendo che la modernizzazione porterà l’economia cinese alla completa integrazione nel mercato globale per ‘collocare’ il paese nella cosiddetta civiltà universale.
Xu Jilin, Professore di Storia all’Università Normale di Shanghai, di tendenze liberali ‘di sinistra’, sottopone a esame critico sia la visione universalista -che identifica modernizzazione e occidentalizzazione- sia la visione relativista, più favorevole alla via cinese di modernizzazione. Ne scaturisce una visione della modernità come un insieme composito di valori e un sostanziale invito al buon senso.
Più favorevole a consolidare la tradizione è la posizione di Yu Keping [1], studioso di Scienze politiche dell’Università di Pechino, che scrive: “xihua o xifanghua = occidentalizzazione, significa che la modernizzazione deve essere un processo complessivo di conoscenza e avvicinamento ai paesi occidentali, sicché non basta importare da questi ultimi sistemi e metodi economici e tecnico-scientifici, ma occorre apprendere anche in ambito politico e culturale. Sinizzazione (zhonghua o zhongguohua), viceversa, significa fondamentalmente che la Cina, benché più arretrata rispetto ai paesi occidentali in ambito economico e tecno-scientifico, rimane comunque più avanzata sul piano politico e culturale, sicché l’apprendimento dell’economia e della tecnologia dei paesi occidentali è finalizzato a rafforzare le radici del paese, ovvero a consolidare il sistema politico e la tradizione culturale preesistente.”
Un caso particolare di intellettuale ‘dissidente’ ma molto conosciuto all’estero per la sua ricerca sugli aspetti più controversi del Grande Balzo (Tombstone:The Great Chinese Famine, 1958-1962, vietato in Cina e nel 2012 tradotto in varie lingue) Yang Jisheng, giornalista alla Xinhua News Agency fino al suo ritiro nel 2001, indica come più grave causa dei problemi la scelta del Partito, perseguita fin dall’era riformista, di portare avanti soltanto riforme economiche tralasciando le riforme politiche. Yang Jisheng confidava infatti che le riforme avrebbero portato a una maggiore liberalizzazione non solo in ambito economico, ma anche in ambito politico.
Ben diversa dalle precedenti interpretazioni e soprattutto apprezzata dalla dirigenza della RPC, è la visione culturalista e tradizionalista di Chen Lai, studioso di “saperi nazionali” all’Università Qinghua di Pechino e sostenitore di una moderno “ritorno a Confucio” nella società cinese. Chen Lai è portavoce dell’attuale ideologia ufficiale di Partito. L’articolo “Conosciamo a fondo i valori distintivi della Cina”, di cui si fa qui una breve sintesi, è stato pubblicato dal Quotidiano del Popolo il 4 marzo 2015. In esso Chen Lai contrappone rigidamente i valori occidentali ai valori cinesi, identificando i primi con quelli della modernità liberale e riducendo i secondi alla tradizione confuciana. Scrive Chen Lai: “…è solo attraverso delle operazioni di confronto, selezione e contrasto che un determinato sistema di valori si palesa nella sua peculiarità; così, se vogliamo discutere di ciò che caratterizza i valori cinesi, non possiamo limitarci a osservare la cultura cinese in modo isolato, ma dobbiamo anche prendere, come termine di paragone, la cultura occidentale e in particolare i suoi valori moderni. Se confrontati con quelli della modernità occidentale, i valori cinesi evidenziano quattro grandi caratteristiche.
1- La responsabilità viene prima della libertà
2- Il dovere viene prima dei diritti
3- Il gruppo è superiore all’individuo
4- L’armonia è superiore al conflitto
Chen Lai ammonisce contro la pericolosità di una cultura fondata sui diritti, associandola alla proliferazione dell’individualismo, reputato dannoso perché antepone al bene sociale comune l’interesse dell’individuo. Inoltre critica le società occidentali per la loro incapacità di promuovere in modo efficace un’etica della responsabilità fra i cittadini.
Tuttavia notiamo che la tradizione confuciana è concepita da Chen Lai senza sfumature e che di fatto egli non tiene conto della molteplicità culturale cinese. Inoltre i diritti sono descritti come valori meramente etici e non come meccanismi istituzionali, mentre si potrebbe osservare che problema della Cina (come di ogni altro Stato) non sta tanto nell’affermazione di una cultura dei diritti, quanto nella debolezza del sistema istituzionale a custodire il rispetto degli stessi diritti. In realtà minimizzando l’importanza dei diritti sul piano istituzionale ed enfatizzando l’importanza di un’etica della responsabilità, Chen Lai, insieme a molti altri pensatori di tendenza confuciana, non fa altro che legittimare l’autorità dello Stato a discapito dei diritti individuali dei cittadini.
E veniamo al pensiero di Xi Jinping espresso nel Discorso alla conferenza dei professori e degli studenti all’Università di Pechino dal titolo “I giovani devono consapevolmente mettere in pratica i valori fondamentali del socialismo” [2]: “Ogni epoca ha il suo spirito, ogni epoca ha il suo sistema di valori. “I principi dello stato sono quattro: proprietà, rettitudine, integrità e senso di vergogna. Se questi non si manifestano, lo stato andrà in rovina” [scriveva il Guanzi, classico redatto nel periodo pre-imperiale NdR]. Questa era la visione dei nostri antenati riguardo ai valori fondamentali del loro tempo. Ma oggi, nella Cina contemporanea, quali sono i valori fondamentali che la nostra nazione, il nostro stato devono difendere? È un problema teorico, ma anche un problema pratico. Così, dopo avere ricercato numerosi pareri e avere sintetizzato svariate visioni, abbiamo scelto di promuovere i valori di prosperità, democrazia, civiltà e armonia; quindi libertà, uguaglianza, giustizia e governo della legge; quindi patriottismo, dedizione al lavoro, affidabilità e amichevolezza, al fine di coltivare e mettere in pratica i valori fondamentali del socialismo. Prosperità, democrazia, civiltà e armonia sono i valori richiesti a livello dello stato; libertà, uguaglianza, giustizia e governo della legge sono i valori richiesti a livello della società; patriottismo, dedizione al lavoro, affidabilità e amichevolezza sono i valori richiesti a livello del cittadino. Questa sintesi, in realtà, è la risposta al grande quesito riguardo a quale tipo di stato e società vogliamo costruire e quale tipo di cittadino vogliamo formare…”
Possiamo osservare che i 12 valori sono divisi in 3 livelli: 4 competono allo Stato, 4 sono relativi alla società, 4 sono relativi ai cittadini. Ma nessuno dei valori ritenuti universali è collocato sul livello dei cittadini, poiché se la democrazia riguarda lo Stato, diventa appannaggio del potere politico che deve occuparsi dell’esercizio della democrazia stessa. Quanto ai valori spettanti ai cittadini sono in realtà norme morali, doveri e compiti etici che i cittadini hanno la responsabilità di perseguire (patriottismo, dedizione al lavoro, affidabilità e amichevolezza) e non sono diritti.
Xi Jinping in conclusione afferma che i valori fondamentali del socialismo, benché in buona parte di origine occidentale e liberale, rappresentano la trasmissione dell’ eccellenza della cultura cinese tradizionale.
Una cultura cinese tradizionale -oramai totalmente riabilitata dal Partito – che gode di grande apprezzamento presso il Popolo cinese, alieno dai dibattiti e dalle controversie accademiche e anche dall’esprimere opinioni personali che non tengano conto dell’indirizzo ufficiale o in contrasto con esso. I cinesi infatti, come ho avuto modo di osservare parlando con gente comune, impiegati, lavoratori e studenti universitari, sono tanto legati alle loro tradizioni da non riuscire a concepire uno Stato che non sia Padre o Antenato. La Tradizione è di fatto percepita e perseguita come l’unica Libertà e Democrazia possibile.
Fonte: Marco Fumian, “Quali valori per la modernità cinese” http://sinosfere.com/2018/10/01/6073/)
FONTE
[1] Zhang Zhidong, uomo di stato e letterato cinese, 1837- 1909; governatore e viceré in varie province, segretario di stato nel 1907, impegnato nel movimento di riforme e di modernizzazione, autore del Quanxuepian “Esortazione allo studio” del 1898.
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