Conosciamo bene i meccanismi della realpolitik e sappiamo alla perfezione che l’attuale governo italiano, alla faccia dei proclami propagandistici, sta cercando di riconquistare spazi di sovranità dalla meschina Unione tecnocratica svendendosi a chi la sovranità italiana la calpesta da oltre settant’anni. Sappiamo altresì che tale operazione, visto l’attuale inquilino della Casa Bianca, richieda l’entusiastico pellegrinaggio nel “baluardo della democrazia nella regione”. E sappiamo perfettamente che ogni politico desideroso di fare una brillante carriera nel nuovo ordine nazional-liberista disegnato dagli strateghi di Washington necessiti del battesimo sionista. Non ignoriamo il fatto che la propaganda sia un’arte e che le grandi masse, assuefatte dall’uso smodato dei social network e per nulla interessate a qualsiasi approfondimento di sorta, possano cadere maggiormente vittime di una grossa menzogna piuttosto che di una piccola.

Tuttavia, noi, fedeli alla vecchia scuola, continuiamo a pensare che il mondo debba essere raccontato nel rispetto dei fatti e delle verità storiche. Così, questa attitudine ci porta ad affermare, senza tanti di giri di parole, che su Hezbollah ha torto. Non solo perché Le sue dichiarazioni hanno giustamente messo in difficoltà e suscitato l’imbarazzo dei militari italiani dell’UNIFIL che ogni giorno hanno la possibilità di constatare la realtà sul campo al di là delle sensazionalistiche dichiarazioni di chi cerca di riscuotere l’apprezzamento del proprio padrino d’oltreoceano. Ma, soprattutto, perché il Partito di Dio è un protagonista di rilievo della vita politica libanese (l’Alleanza da lui guidata ha ottenuto la metà dei 128 seggi a disposizione nelle ultime elezioni) e perché senza di esso lo stesso Libano, con tutta probabilità, non esisterebbe più.

Il disegno sionista, costruito sull’idea della “Grande Israele dal Nilo all’Eufrate” propugnato da quelli che il pensatore belga Jean Thiriart definì come i “rabbini folli”, non ha mai nascosto la volontà di occupare permanentemente la fascia meridionale del Libano: terra della tribù di Aser, figlio di Giacobbe. E già durante l’operazione “Pace in Galilea” del 1982 il rabbinato militare aveva diffuso carte geografiche in cui il sud del Libano veniva inglobato tra i confini israeliani e gli stessi villaggi libanesi venivano indicati con nomi ebraici. Una volontà che si è scontrata proprio contro la resistenza ad oltranza di Hezbollah la cui accresciuta capacità militare preoccupa non poco i vertici sionisti sempre interessati alla ricerca di un casus belli che giustifichi nuove aggressioni ai paesi confinanti.

Hezbollah, infatti, lungi dal poter essere definito come entità terroristica, rappresenta una sorta di baluardo “katecontico” contro i piani di espansione di quell’avamposto dell’Occidente che, a prescindere dall’ormai obsoleta retorica dell’unica democrazia della regione (da poco il parlamento israeliano ha approvato una legge che di fatto sancisce la diseguaglianza tra cittadini israeliani e arabi), ha fatto del terrorismo sulla popolazione indigena il fondamento stesso della propria esistenza. Senza considerare che i terroristi, quelli veri, Israele, con i suoi complici occidentali, li ha armati e sostenuti. Quegli stessi terroristi che in Siria hanno trasformato la minoranza cristiana in carne da macello. Una strage a cui proprio Hezbollah, intervenendo in sostegno delle forze lealiste con Iran e successivamente Russia, ha posto la parola fine.

Queste cose, un politico che agita il rosario e parla delle radici cristiane dell’Europa, seppur declinate nella versione “giudaico-cristiana” tanto amata dall’agitatore e ideologo del trumpismo Steve Bannon, dovrebbe saperle e forse le sa, ma, probabilmente, conta sul fatto che non le sappiamo la maggioranza delle persone che seguono i suoi “cinguettii” su Twitter. Con noi non ha avuto questa fortuna. Ed anzi, cogliamo l’occasione per affermare che a noi Hezbollah piace. Ci piace perché, alla pari dell’Iran khomeinista e dell’incredibile capacità di resistenza dei ribelli yementi di Ansarullah, rappresenta l’ultima e forse la massima espressione di rivolta contro il mondo moderno. Popoli che lottano ogni giorno contro forze sovrastanti e accerchianti non solo per la propria “reale” sovranità ma soprattutto per gridare al mondo intero il loro desiderio di esistere e di farlo in modo autentico. Una lotta che, parafrasando Martin Heidegger, non si lascia mai turbare dalla possibilità di quel passo estremo che rappresenta l’essenza di ogni sacrificio.