Fides et ratio
di STEFANO ROSATI (FSI Rieti)
Guy Verhofstadt, paladino del liberismo Eurounitario (quello con cui i 5 stelle volevano associarsi) ripete che non ci può essere una politica sociale senza crescita.
‘Croissance’, la crescita in francese, suona come ‘croyance’ fede, credo, religione.
L’idea di fondo è sempre la stessa: lo Stato non si deve indebitare perché è come una famiglia. Questo, come noto, è vero solo nel sistema realizzato dai Trattati dove l’indebitamento pubblico deve finanziarsi sul mercato dei capitali (esteri) privati (in questo modo l’indebitamento pubblico non costituisce più una ricchezza per i cittadini ma solo una rendita per capitalisti stranieri).
In un sistema così fatto per creare crescita economica servirà ridurre i salari, cercando di mantenere immutata o addirittura aumentare la produttività del lavoro. Il surplus di bilancia commerciale, derivante dalle maggiori esportazioni, andrà a remunerare l’impresa e non il lavoro che, se tutto andrà bene, troverà un po’ di sostegno tramite la redistribuzione fiscale (sempre che non sia stata adottata la flat tax) e in parte con l’indebitamento del settore pubblico per finanziare i servizi pubblici (ti do prestazioni sociali non redditi, se no aumenta l’inflazione: risulta chiaro a cosa serve la paura dell’inflazione?).
Un bel sistema, non c’è che dire.
Però ha ragione Guy.
Due volte ragione.
Perché è vero che l’Unione europea si fonda su una fede, su un’idea che rende ciechi, e perché è vero che per fare politiche sociali bisogna crederci.
E infatti noi ci crediamo, con la forza della ragione.
Razionalmente, politiche sociali vere e vera redistribuzione sono possibili solo fuori dall’Unione.
Solo recedendo dai Trattati.
Razionalmente, politiche sociali vere e vera redistribuzione sono possibili solo seguendo il nostro modello costituzionale, non quello tedesco.
“Se per miracolo qualche risultato si dovesse raggiungere, ma andasse nel senso di un avvicinamento della nostra situazione a quella, poniamo, della Germania, non è questo il destino che augurerei al mio Paese. Si tratta, infatti, di una situazione in cui i lavoratori, pur godendo di un certo benessere, sono in una posizione fortemente subalterna. Non credo, in altri termini, che il risanamento della bilancia dei pagamenti e un riassetto dell’economia, senza l’introduzione di veri elementi di socialismo, sia qualcosa che vale, un traguardo degno di essere indicato alla società italiana. Mettersi su questa strada, è stato per la seconda volta un tradimento degli ideali della Resistenza. Non vorrei apparire retorico. Ma tradiremmo l’ideale di costruire un mondo in cui il progresso sociale e civile non rappresenti un sottoprodotto dello sviluppo economico, ma un obiettivo coscientemente perseguito.” (Federico Caffè)
Il recesso è l’unica scelta razionale (Stefano Rosati, FSI, partito del recesso).
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