Una Cina ancorata al presente celebra il passato, ma quale il futuro?
di L’INDRO
Xi Jinping celebra il 40° anniversario delle riforme attuate da Deng Xiaoping, ma non concretizza sul futuro
Questa mattina, presso la Sala Grande del Popolo di Pechino, mentre in Italia era notte fonda, si è svolto un grande convegno per celebrare il 40° anniversario della riforma e dell’apertura della Cina al mondo.
L’incontro – trasmesso in diretta nazionale dalla tv cinese – che ha visto riuniti oltre 3.000 tra ospiti e funzionari del Comitato permanente dell’ufficio politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, ha fatto da cornice al discorso, durato più di 80 minuti, del Presidente Xi Jinping, il quale ha illustrato i risultati raggiunti da quando la Cina, sul finire degli anni ’70, ha dato il via alla sua politica riformatrice che ha completamente cambiato il volto del Paese. Durante la cerimonia, secondo una decisione presa dal Comitato Centrale e dal Consiglio di Stato, sono state assegnate le medaglie dei pionieri della riforma a 100 cittadini cinesi, mentre 10 stranieri sono stati insigniti con delle medaglie di amicizia per la riforma della Cina.
‘Gaige Kaifang’ (Riforma e Apertura) è la denominazione usata per descrivere il periodo che ha portato la Repubblica Popolare Cinese ad aprirsi al mondo sotto la guida di Deng Xiaoping, il quale, nel dicembre del 1978, si distaccò nettamente dalle politiche fino ad allora attuate dal defunto Presidente-filosofo e rivoluzionario Mao Tse-Tung che non avevano portato il Paese a compiere quel ‘Grande balzo in avanti’, così com’era stato definito il piano economico maoista.
Tra il 18 ed il 22 Dicembre 1978, infatti, si tenne, presso l’hotel Jingxi di Pechino, la Terza Sessione Plenaria dell’XI Comitato Centrale del Partito comunista cinese. Le decisioni prese durante questa assemblea diedero impulso alle riforme economiche che avrebbero stravolto il Paese. Ad uscire rafforzata dalla sessione plenaria, però, non fu solo l’economia cinese, ma anche l’immagine di Deng Xiaoping a discapito di quella di Hua Guofeng, successore di Mao – deceduto nel settembre del ’76 – e Segretario generale del PCC. Deng, adottando un approccio pragmatista e abbandonando gli ideali, i principi e la filosofia di stampo maoista, seppe raccogliere intorno a sé l’insoddisfazione manifestata da molti membri del Comitato e si fece interprete delle ‘Quattro Trasformazioni’, una serie di riforme da attuare in quattro settori principali: agricoltura, difesa nazionale, industria e tecnologia.
E i risultati si sono visti. Quando Deng si rivolse alla dirigenza del Partito Comunista, il PIL della Cina era poco meno di 150 miliardi di dollari. Quarant’anni dopo, è salito a più di 12 trilioni di dollari, ossia 12 miliardi di miliardi. Tutto ciò si è potuto verificare anche perché Deng allentò i controlli governativi sull’economia e sulle libertà personali, dando così slancio all’iniziativa privata. Libertà che portarono, nel 1990, alla riapertura della Borsa cinese.
«Non mi sarei mai aspettato che una famiglia cinese ordinaria fosse proprietaria di un’automobile e che la Cina sarebbe diventata un importante Paese di produzione automobilistica», ha dichiarato in un’intervista per la ‘CNN’ Victor Zhikai Gao, esperto in relazioni internazionali e vice presidente del centro di ricerca cinese Center for China and Globalization, che ha poi sintetizzato l’approccio di Deng alla politica riformatrice adottata nel ’78, «l’idea di base di Deng era che ti perdi un punto importante se rimani impantanato nel dibattito tra socialismo e capitalismo, ciò che conta davvero è ciò che funzionerà, che porterà cibo al popolo cinese».
Dalla Terza Sessione Plenaria del 1978, il Paese ha registrato un tasso medio di crescita del prodotto interno del 10% l’anno. Attualmente la Cina è al primo posto nella classifica degli esportatori di beni e servizi, con un volume di 2.491 miliardi di dollari nel 2017, mentre nel 1980 il suo export valeva solo 21 miliardi. Tutto ciò si è tradotto anche in benessere per le famiglie. Il consumo delle famiglie nel 2016 è stato di 4.412 miliardi di dollari, 90 volte superiore rispetto ai 49 miliardi del 1980.
Anche l’aspettativa di vita è migliorata: dal 1979 al 2016 è aumenta di 10 anni, da una media di 66 anni si è passati ad una di 76. Sul fronte istruzione, poi, ci sono stati enormi passi in avanti. Il tasso di popolazione non alfabetizzata, infatti, è progressivamente diminuito, attestandosi al 4% nel 2010, mentre nel 1982 era oltre il 20%.
La forte crescita economica, però, ha fatto emergere delle disuguaglianze per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza. Se durante il 1980, l’1% più ricco della popolazione aveva in mano il 6,4% della ricchezza nazionale, nel 2015 ne deteneva il 13,9%. Ma l’estrema povertà tocca solo l’1% della popolazione totale e i miliardari sono circa 600, più di quanti ne presenti ogni altro Paese al mondo.
E se da una parte la ‘Riforma e Apertura’ ha dato un impulso enorme allo sviluppo della Cina, proiettandola ai vertici dei mercati finanziari internazionali, dall’altra ha fatto sì che una forte industrializzazione si traducesse in un aumento dell’inquinamento atmosferico: le emissioni di anidride carbonica sono quintuplicate dal 1980 al 2014. E sempre sul piano ambientale, non sono da sottovalutare, poi, i problemi che il Paese sta avendo con il cambiamento climatico: la siccità, infatti, riguarda molti territori cinesi e rappresenta una costante minaccia ed una sfida per il futuro.
A dare un forte impulso all’economia cinese è stato anche l’ingresso della Cina nella WTO (World Trade Organization – Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001. Ingresso dopo il quale le sue importazioni sono quadruplicate in pochissimo tempo e grazie al quale molti produttori globali hanno trasferito le loro attività in Cina, mentre i consumatori di tutto il mondo hanno acquistato prodotti di tutti i generi a basso prezzo. Il tutto minando la concorrenza dei Paesi occidentali, specie degli USA e degli Stati europei.
“La Cina è un Paese con 500 anni di storia e con una popolazione di oltre 1.3 miliardi di persone. Nessuno è in una posizione tale da ordinare al popolo cinese cosa dovrebbe o non dovrebbe essere fatto”, con queste parole Xi Jinping ha voluto evidenziare la potenza del suo Paese nel discorso fatto dinanzi ai presenti all’incontro di Pechino.
L’attuale Presidente cinese – che durante il dicembre ’78 studiava ingegneria chimica presso l’Università Tsinghua – spingendo anch’esso la Cina ai vertici dell’economia mondiale, si è fatto promotore del cosiddetto ‘Sogno Cinese’ e il suo ‘pensiero’ è entrato a far parte della Costituzione cinese. Nel fare ciò, però, XI sta dando al Paese un’impronta iper-nazionalista, avvolgendo il PCC in un’aurea simbolica, allontanandosi così dal pragmatismo puro che ha caratterizzato l’era di Deng Xiaoping. Attraverso il ‘sogno’, basato sull’idea del ritorno della Cina tra le grandi potenze mondiali e sull’aspirazione di diventare leader globale, Xi si pone l’obiettivo di una Cina che abbia una società moderatamente benestante entro il 2020 (100° anniversario della nascita del PCC) e sia una Nazione pienamente sviluppata entro il 2049 (100° anniversario della Repubblica Popolare). Tutto ciò passa anche attraverso la realizzazione della Belt&Road Inziative (BRI), la Nuova Via della Seta, ambizioso progetto di Xi che prevede la creazione di un lungo corridoio economico e commerciale che attraversi e connetta Asia, Africa e Europa.
Perciò Xi è convinto che l’economia cinese, nei prossimi anni, farà «miracoli che impressioneranno il mondo» e ha ribadito come «lo sviluppo della Cina non rappresenta una minaccia per nessun Paese» e che «non importa quanto si sviluppi la Cina, non cercherà mai l’egemonia», rispondendo così alle critiche di chi pensa che il PCC stia attuando una politica aggressiva, elargendo lauti prestiti soprattutto a Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, che poi si ritrovano con una montagna di debiti verso Pechino e quindi sarebbero facilmente assoggettabili alle manovre mandarine.
Ma se nel 1978 Deng aveva una chiara visione della trasformazione della Cina, oggi Xi Jinping – seppur impegnandosi a proseguire la liberalizzazione dell’economia e il rafforzamento delle imprese private, consolidando al contempo le imprese statali – non ha accennato minimamente a politiche o piani concreti per andare incontro e risolvere i problemi economici e le sfide che il Paese si troverà ad affrontare nei prossimi anni. «È stato un discorso più che altro sul partito», ha detto Julian B. Gewirtz, uno studioso del Weatherhead Centre for International Affairs di Harvard, che ha assistito al discorso durante la sua visita a Pechino. E la cosa non è passata inosservata neanche ai mercati finanziari asiatici che hanno chiuso con gli indici in ribasso.
Al di là della retorica di Xi, dei suoi sogni e delle sue promesse, infatti, il dato certo è il brusco rallentamento dell’economia cinese negli ultimi mesi. Ad ottobre la crescita economica si è attestata al +6,5%, il tasso più basso dal 2009. Le vendite delle auto, nonostante la Cina rimanga la prima produttrice di autovetture al mondo, sta crollando, così come il mercato immobiliare.
A testimonianza di ciò vi è anche la diminuzione che in Cina stanno subendo vendite al dettaglio, che registrano il minimo storico dal 2003. Pechino, inoltre, ha chiuso un saldo negativo delle partite correnti per i primi 9 mesi: campo nel quale aveva fatto segnare il primo deficit dal 2001 già nel primo trimestre di quest’anno. Questa decelerazione economica continua nonostante, nei mesi scorsi, i funzionari cinesi abbiano spinto le banche ad elargire più prestiti così che i governi locali possano far fronte ai debiti e spendere denaro per grandi opere.
Queste difficoltà sono frutto della guerra dei dazi portata avanti dal Presidente americano Donald Trump.
Il discorso di Xi, infatti, arriva quando lo scontro commerciale con gli USA sta vivendo degli alti e bassi clamorosi. La tregua, che sembra poter essere all’orizzonte tra le due superpotenze, arriva dopo che l’arresto in Canada della CFO di Huawei, Wanzhou Meng, per una presunta violazione dell’embargo statunitense nei confronti dell’Iran, aveva riacceso le tensioni facendo presagire ulteriori misure restrittive da ambedue le parti.
Bisognerà vedere se il monologo di Xi rassicurerà le compagnie private cinesi. Come riporta il ‘New York Times’ in un editoriale odierno, gli imprenditori e gli economisti si sono lamentati dei funzionari intransigenti, dei pesanti oneri fiscali, delle restrizioni sugli investimenti e delle banche che preferiscono incanalare i prestiti a grandi società statali che godono del patrocinio dei leader del PCC. Sebbene abbiano accolto favorevolmente le promesse del Presidente, hanno anche avvertito che l’economia rimane turbata.
Saranno rimasti delusi dalle parole di Xi, invece, gli economisti cinesi che sperano nelle riforme del mercato e sono preoccupati per l’andamento lento e confuso ritmo del cambiamento. «Speriamo sinceramente che questo grande incontro sia in grado di suscitare un chiaro appello per l’approfondimento delle riforme», aveva dichiarato qualche giorno fa durante un forum a Shanghai Xiang Songzuo, economista senior presso l’Università Renmin di Pechino, come riporta ancora la testata newyorkese.
È difficile, al momento, prevedere cosa accadrà a livello economico in Cina nel prossimo futuro. La cosa certa è che le parole di Xi non fermeranno la decrescita se non accompagnate da azioni concrete volte ad invertire il trend e a sostenere una guerra commerciale che, attualmente, vede gli Stati Uniti con il coltello dalla parte del manico.
Fonte: https://lindro.it/una-cin-a-ancorata-al-presente-celebra-il-passato-ma-quale-il-futuro/
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