La fiducia degli italiani verso l’UE: cosa ci dicono i sondaggi?
di L’INDRO
Intervista al Prof. Alberto Mattiacci, direttore scientifico dell’Eurispes
A pochi mesi dalle cruciali elezioni del Parlamento europeo del prossimo maggio 2019, quale il livello di fiducia degli italiani nei confronti dell’Europa e delle istituzioni europee? Le indagini e i sondaggi pubblicati negli ultimi mesi offrono quadri diversi e a tratti contraddittori delle posizioni espresse nei confronti dell’Unione attualmente prevalenti in Italia. Leggere e interpretare simili dati richiede abbondanti dosi di cautela spesso carenti nei commentatori e nella stessa classe politica. Tanto più quando simili rilevazioni influiscano nell’orientare scelte e comportamenti dell’elettorato e della politica in vista dell’appuntamento elettorale europeo.
Ad esempio, per cominciare, l’ultimo Eurobarometro Flash sulle tendenze dell’opinione pubblica nelle singole regioni degli Stati membri effettuata lo scorso novembre registra fra gli italiani in media una tendenza a fidarsi meno del governo nazionale che dell’Europa. Come si osserva meglio dall’info data del Sole 24 Ore, 18 regioni italiane su 20 esprimerebbero una sfiducia verso il governo nazionale superiore al 40%, con punte al centro-nord nel Lazio, Emilia-Romagna (entrambe al 54%) e in Veneto (52%). Percentuali che si abbassano complessivamente quando viene chiesto agli intervistati il livello di sfiducia verso l’Unione europea, con l’ampia maggioranza di regioni sotto il 40%, e il livello più alto di sfiducia registrato in Campania (44%). Se in rapporto al governo nazionale il campione di italiani in oggetto sembra quindi fidarsi maggiormente dell’Unione europea, lo stesso Eurobarometro – nel suo più recente rapporto standard dello scorso 21 dicembre – mostra ancora una volta l’Italia agli ultimi posti quanto al livello di fiducia complessiva verso l’Europa nel confronto con gli altri 17 Stati membri coinvolti nell’indagine, con un 55% dei rispondenti che ‘tende a non fidarsi‘.
Un dato che si avvicina a quello offerto dall’indagine Ipsos dello scorso giugno, con un 56% di rispondenti che ha dichiarato di avere scarsa fiducia nell’Europa, in un trend di crescente scontento che ha portato il livello di fiducia dal 70% del 2011 al 34% dell’estate 2018, secondo lo stesso istituto. La stessa indagine, però, ha mostrato che – a fronte di una sfiducia galoppante verso le istituzioni europee – quasi la metà degli intervistati nel caso di referendum dedicati voterebbe contro l’uscita dall’euro (49%, con un 22% di indecisi) mentre la maggioranza si schiererebbe a favore della permanenza nell’UE (55%). L’immagine che queste indagini restituiscono è quella di un Paese sempre più sfiduciato verso l’Europa e la moneta unica, ma non al punto da metterne in discussione la stessa esistenza: una sfiducia che in ogni caso si riversa maggiormente nel governo nazionale e in secondo piano sull’Unione. Come interpretare questi dati in vista delle prossime elezioni europee? Lo abbiamo chiesto al Prof. Alberto Mattiacci, direttore scientifico dell’Eurispes.
Prof. Mattiacci, come bisogna leggere e interpretare i recenti sondaggi dell’Eurobarometro relativamente alla fiducia degli italiani verso l’Europa?
In primo luogo bisogna capire di che strumento stiamo parlando. Il sondaggio è uno strumento che ha i suoi limiti, come tutti gli strumenti di rilevazione. Anche il miglior sondaggio del mondo di darà al massimo una rappresentazione verosimile della realtà: non ci dice la verità. Bisogna anche tenere presente che i sondaggi non sono tutti uguali, ma si differenziano per le metodologie adottate. Questo significa che sondaggi tra fonti e con metodologie diverse non sono affatto confrontabili. La prima avvertenza è quindi che dobbiamo commentare dati provenienti da una stessa fonte, specialmente nelle analisi longitudinali – come cambia una rilevazione nel corso del tempo -, e non comparare dati da fonti diverse. Questa è l’unico modo in cui possiamo mettere a confronto due numeri: diversamente abbiamo un non senso dal punto di vista scientifico. Questo è il primo problema, nella misura in cui i sondaggi sono diventati ormai lo strumento principe della propaganda pubblica: è ormai diventato abitudine comune che molta stampa ignori queste regole base del funzionamento dei sondaggi. C’è un tema di cultura del sondaggi che è assai inesistente in primo luogo nei politici e a seguire per la stampa. Questo non fa bene alla democrazia, perché un sondaggio può essere uno strumento in grado di orientare scelte.
Parliamo quindi del confronto di Eurobarometro con se stesso. Stiamo parlando di un sondaggio che viene condotto allo stesso modo in 27 Stati con un campione complessivo di 26 mila persone: quindi possiamo stimare che abbiano intervistato più o meno mille persone per l’Italia. Anche qui, di nuovo: stiamo parlando di una numerosità campionaria e valenza statistica piuttosto limitata. Questo non vuol dire che il dato non significhi nulla: ma che l’elemento interessante è la variazione del dato a livello temporale, prodotto dalla stessa numerosità campionaria. Abbiamo così una rappresentazione verosimile, ma con ampli margini di errori, sul fenomeno ‘fiducia nell’Europa’. Non è corretto quindi dire che ‘gli italiani pensano che…’: è un campione, abbastanza ristretto, che esprime quelle opinione. Da qui si può ritenere probabilisticamente che l’andamento della fiducia sia migliorato. In questo caso il dato significativo è il delta, la variazione. Lo stesso sondaggio fatto lo scorso anno ha riportato un livello di sfiducia pari al 64%, questo anno invece è al 49%: quindi pare vi sia un incremento generale della fiducia a livello di Unione europea, pari al 15%. Quando abbiamo variazioni a due cifre, allora siamo di fronte dato significativo.
Come leggere quindi questo incremento di fiducia verso l’Unione europea? Quali possono essere le ragioni?
Qui entriamo nel territorio dell’interpretazione aperta. Personalmente ritengo che da questo punto di vista l’interpretazione che finora è stata data dei movimento populisti, univocamente negativa, sia del tutto sbagliata. I movimenti populisti a mio avviso manifestano innanzitutto una grande domanda di politica: il demos chiede politica, quella che negli ultimi vent’anni fino alla crisi è stata fondamentalmente subordinata alla finanza. L’Unione europea nasce come grande progetto politico che per essere realizzato aveva bisogno della moneta: tutto va bene all’inizio fino a quando non arriva la crisi finanziaria. Dopo la crisi diventa evidente che l’autista della macchina ha preso il comando, mentre prima era il navigatore che sceglieva la strada: questo è stato il problema. In questa metafora il navigatore è la politica, mentre l’autista sono gli economisti e le istituzioni finanziarie. Questo processo ha coinvolto l’Italia e tutto il mondo occidentale e ha portato all’emergere del cosiddetto populismo, cioè di movimenti che hanno posto come prioritario il tema del controllo della macchina contro chi ne aveva preso possesso. In questo ha le sue ragioni. Il grande difetto della costruzione europea in fondo è stato questo: aver dato dei giusti parametri di azione e regole di comportamento, ma in un mondo completamente diverso da quelli post Lehman Brothers. Lì il navigatore avrebbe dovuto dire all’autista di prendere un’altra direzione: e invece il primo si è fatto zittire ancora una volta dal secondo.
Come leggere però il livello di sfiducia dell’Italia verso l’Europa, fra i più alti nel confronto europeo? Bisogna distinguere i soggetti cui si rivolge questa sfiducia?
Credo che la sfiducia degli italiani si indirizzi più alla classe politica e solo di riflesso sull’Europa, ma non si rivolga al progetto di integrazione europea in sé. L’Italia è sempre stato e resta un Paese profondamente europeista. Guardiamo alla Francia, dove il dissenso si manifesta in maniera molto diversa per ragioni storiche, politiche e sociali. Ma mutatis mutandis si può fare un raffronto. Macron è stato eletto con la percentuale di voti più bassa della storia repubblicana francese: risultato di una sfiducia generalizzata nella classe politica. Trump è stato eletto con un numero di voti basso, allo stesso modo: anche lì ha prevalso una sfiducia generalizzata. Anche nel caso dell’Italia abbiamo assistito a una sfiducia verso le classi politiche: quella italiana e quella europea. Ma questo non ha messo e non mette in discussione l’europeismo diffuso nel nostro Paese. Se vediamo i dati dello stesso Eurobarometro nei dati sulla fiducia verso l’Europa nel lungo periodo: gli italiani sono da sempre nella top 3 dei Paesi più europeisti. Siamo uno dei popoli più favorevoli all’ingresso nella moneta unica. Ora abbiamo una stagione di sfiducia. Ma, per fare un’altra metafora: se lei di base è sano, ma per due settimane ha una brutta influenza, la sua costituzione di base resta sana. Non dobbiamo quindi confondere l’influenza passeggera con lo stato di salute complessivo dell’individuo. Gli italiani hanno assistito a una politica che non è stata in grado di opporsi all’autista, per cui sono diventati sempre più critici verso ‘l’autobus’ europeo. Ma questo non si è tradotto in una corrispondente volontà di uscita dall’euro, a maggior ragione adesso che stiamo assistendo cosa accade con la Brexit nel Regno Unito. Il populismo in tal senso è una domanda di politica che farà bene al Paese e all’Europa, perché sarà una stagione di forte cambiamento e di rinnovamento della classe politica.
Come è cambiata l’opinione pubblica nei confronti dell’Europa con il governo giallo-verde, e in particolare con la dura trattativa sull’ultima legge di bilancio?
Si è delineata chiaramente la doppia anima di questo governo. Da un lato c’è un populismo fascistoide che a molti piace, specie in momenti di crisi come quello in cui viviamo. Dall’altro un populismo diverso, come quello dei 5 stelle. In entrambi i casi, se consideriamo la matrice populista in sé, al di là dei suoi aspetti più estremistici, essa può fare tutto sommato bene all’Europa. L’italiano è deluso da questa Europa, ma non dal concetto di Europa in sé. Gli italiani sanno bene che in un mondo globalizzato come quello in cui viviamo il Paese da solo non può farcela e lanciarsi alla cieca fuori dall’Europa sarebbe un suicidio. In questo senso quindi che, anche nei toni accesi delle ultime settimane, un siile populismo possa servire a dare quello scossone che serve all’Europa. Questo governo ha abbandonato un atteggiamento più cauto verso l’Europa, come quello del governo precedente: quindi pubblicamente mostrano di più ‘il bastone’, salvo poi poter contrattare condizioni più favorevoli. Per quel che riguarda l’effetto della vicenda relativa alla di bilancio sul giudizio degli italiani verso l’Europa è chiaramente presto per dirlo e aspetteremo di vedere sondaggi futuri in merito. Ma di base resto convinto che gli italiani sono e resteranno fondamentalmente europeisti.
Quali le implicazioni dei dati che emergono da queste indagini per le prossime elezioni europee in Italia? Cosa potremmo aspettarci? Il tema dell’euroscetticismo sarà un punto centrale nella contesa elettorale?
Io contesto il termine ‘euroscetticismo’, come termine di una parte politica. Che l’impalcatura attuale dell’Unione europea non funzioni bene solo chi è in malafede o è incommensurabilmente stupido può sostenerlo. E’ evidente che non funziona: lo sanno bene in tutti i Paesi membri. Tutti da questo punto di vista sono euroscettici. Solo dei partiti suicidi potrebbero fare campagna elettorale sostenendo che l’Europa così come è vada bene. In questo senso l’euroscetticismo sarà la categoria dominante della campagna elettorale. Poi avrà gradienti diversi. Fra chi avrà atteggiamenti più timidi, differenziando quanto di buono ha portato l’Europa da ciò che andrà riformato: l’argomento della ragione, che però a livello comunicativo sarà prevedibilmente sconfitto. Chi invece cavalcherà l’argomento della ragione emotiva sarà elettoralmente vincente. Quindi è facile prevedere che i cosiddetti populisti avranno un grandissimo risultato, in parte anche per la pochezza dei loro avversari. Ma questo è normale che sia così. In questa fase di passaggio assistiamo a grandi ondate di consenso politico, con un grande vincitore circondato da nani, che però sono di base abbastanza fragili. Per quanto possa sembrare paradossale, credo che gli italiani, proprio perché di base vogliono che l’Europa continui ad esistere, voteranno coloro che più fortemente e più emotivamente diranno di volerla cambiare.
Fonte: https://www.lindro.it/la-fiducia-degli-italiani-verso-lue-cosa-ci-dicono-i-sondaggi/
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