Perché gli Usa accusano Huawei
di LIMES (Giorgio Cuscito)
Carta di Laura Canali
BOLLETTINO IMPERIALE Gennaio lungo le nuove vie della seta. Gli Stati Uniti imputano all’azienda cinese frode e spionaggio. Tutto pronto per il viaggio di Xi in Italia. La Cina approda in Libano pensando alla Siria.
Il Bollettino Imperiale è l’osservatorio settimanale di Limes dedicato all’analisi geopolitica della Cina e alle nuove vie della seta. Grazie al sostegno di TELT. Puoi seguirci su Facebook e Twitter.
Indicatore geopolitico: 1,300 miliardi di dollari
Nel 2018 l’interscambio commerciale tra la Cina e i suoi partner lungo le nuove vie della seta (la Belt and Road Initiative, o Bri) è stato pari a 1,300 miliardi di dollari. Si tratta di un incremento del 16,3% rispetto al 2017. Le importazioni cinesi sono cresciute del 23,9%, mentre le esportazioni “solo” del 10,9%. Secondo la società europea Euler Hermes (Gruppo Allianz), nel 2019 l’interscambio commerciale aumenterà di 117 miliardi di dollari.
Perché è importante: Il resto del mondo continua a fare affari con la Repubblica Popolare malgrado la competizione crescente con gli Usa, le preoccupazioni di Bruxelles per la penetrazione cinese nell’Ue, il rischio della “trappola del debito” per i paesi economicamente più fragili e le implicazioni militari della Bri. Per ragioni domestiche (tra cui le lotte di potere interne) Xi Jinping sin qui non ha introdotto riforme strutturali, ma a marzo l’Assemblea nazionale del popolo cinese discuterà la nuova legge sugli investimenti stranieri, che dovrebbe favorire un’ulteriore apertura del mercato cinese.
USA VS HUAWEI
Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha ufficializzato le accuse di frode, spionaggio industriale e ostacolo alla giustizia contro l’azienda tecnologica cinese. Gli Usa hanno inoltre chiesto al Canada l’estradizione di Meng Wanzhou, manager e figlia del fondatore di Huawei. La Cina intanto detiene 13 cittadini canadesi e la corte intermedia di Dalian ha emesso la pena di morte contro un quattordicesimo. Pechino, che potrebbe rovesciare il verdetto, userà questa carta per tentare di impedire l’estradizione di Meng. Nuovi sviluppi potrebbero registrarsi in occasione del 1° marzo, giorno entro il quale Cina e Stati Uniti – sulla base dei negoziati in corso – dovrebbero trovare una soluzione alla guerra commerciale.
Washington ha persuaso gli altri membri dei Five Eyes (Regno Unito, Australia, Canada e Nuova Zelanda) e diversi paesi europei (gli ultimi sono Polonia e Repubblica Ceca) che le infrastrutture di Huawei (a cominciare dalla rete 5G) potrebbero essere utilizzate da Pechino per scopi spionistici.
Gli Usa vogliono ostacolare la crescita di Huawei per arrestare l’ascesa tecnologica cinese, ma data la sua mole, il successo della strategia non è scontato. La compagnia cinese infatti è la prima produttrice al mondo di attrezzatura per telecomunicazioni e la seconda per fornitura di smartphone.
L’Italia non ha ancora espresso il suo parere su questo argomento, malgrado da tempo gli apparati di intelligence abbiano invitato a prestare attenzione alle sue attività. L’attendismo nostrano dipende probabilmente dalla volontà di accelerare i rapporti con Pechino nell’ambito delle nuove vie della seta.
XI IN ITALIA A MARZO
La visita del ministro degli Esteri cinese Wang Yi a Roma a fine gennaio è servita a preparare la missione in Italia del presidente Xi Jinping, prevista a marzo. Per Xi, sarà la prima missione ufficiale da capo di Stato nella Penisola (la tappa in Sardegna nel 2016 è stata descritta ufficialmente come scalo tecnico).
Durante l’evento, il governo italiano potrebbe firmare il memorandum di adesione alle nuove vie della seta dopo il passo indietro fatto a Shanghai a novembre alla prima esposizione internazionale per le importazioni della Cina. In quel caso, il ripensamento è avvenuto probabilmente su pressione di Bruxelles e soprattutto degli Usa, che vedono nelle nuove vie della seta una minaccia strategica. Nell’ultimo anno, le relazioni sino-italiane sono state caratterizzate dall’aumento dell’interscambio commerciale, da diversi incontri tra i due governi e dalla firma di memorandum per la cooperazione in paesi terzi (leggi Africa). Il primo grande investimento infrastrutturale cinese in Italia – magari a Trieste – potrebbe arrivare nei prossimi mesi.
LA CINA APPRODA IN LIBANO CON IN MENTE LA SIRIA
Per la prima volta a fine dicembre una nave della Cosco è approdata nel porto di Tripoli in Libano, a 35 chilometri dal confine con la Siria. Lo scalo marittimo potrebbe in futuro accogliere un investimento della Qingdao heavy duty machinery e fungere da snodo logistico per le attività cinesi in territorio siriano. Nel 2018, Pechino ha invitato Damasco ad aderire alle nuove vie della seta poiché intende coinvolgere le proprie imprese nella ricostruzione infrastrutturale del paese, quando e se la situazione domestica tornerà stabile. Diversi analisti cinesi non esitano a definire il futuro ritiro degli Usa dalla Siria come un’opportunità per la Repubblica Popolare, anche se Washington pare intenzionata a tenere un contingente nel paese.
COSA PENSANO I PAESI ASEAN DELLA BRI
Il 70% delle organizzazioni legate all’Associazioni delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) sarebbe preoccupato dal rischio dalla “trappola del debito”, secondo un rapporto dell’Istituto Iseas-Yusof Ishak, basato a Singapore. In diversi paesi (tra cui Malaysia, Filippine e Thailandia) si ritiene che i rispettivi governi debbano evitare obblighi economici eccessivi nei confronti della Repubblica Popolare. Il 16% degli intervistati pensa che la Bri alla fine fallirà, il 45% ritiene che la Cina abbia la maggiore influenza politica e strategica nella regione. Per il 60%, gli Stati Uniti hanno subito un declino in termini di potenza globale. Il 47% pensa che le nuove vie della seta porteranno i paesi Asean ancora di più nella sfera d’influenza cinese. In sostanza, il Sud-est asiatico percepisce l’ascesa dell’Impero del Centro, ma ne teme le ripercussioni.
(S)NODO XINJIANG
Il Xinjiang si conferma piattaforma essenziale delle nuove vie della seta. Nel 2018, la città di Horgos (al confine con il Kazakistan) è stata attraversata 2,055 volte da treni merci lungo la rotta Cina-Europa. Si tratta di un incremento del 146%. I beni trasportati avevano un valore complessivo di 13,68 miliardi di dollari. La regione, abitata dagli uiguri (musulmani e turcofoni) e affacciata sull’Asia Centrale, è strategica per gli interessi cinesi. Per questo, Pechino usa il pugno di ferro per controllarla. Nei prossimi mesi, il governo accentuerà la “sinizzazione” del Xinjiang, per indurre i suoi abitanti ad assorbire la cultura della maggioranza han e assicurarsi la loro fedeltà alla Repubblica Popolare. I campi di rieducazione per i presunti radicalizzati (non solo uiguri) non saranno smantellati. Per smorzare le critiche esogene a riguardo, Pechino ha invitato l’Onu a visitare la regione, a patto che non ispezioni a suo piacimento il territorio. Inoltre, permetterà a duemila abitanti del Xinjiang originari del Kazakistan di lasciare il paese e rinunciare alla cittadinanza cinese. La minoranza uigura è piuttosto diffusa in Asia Centrale e la questione dei campi di rieducazione ha generato un certo malcontento. Le proteste avvenute a metà gennaio davanti all’ambasciata cinese in Kirghizistan ne sono un esempio.
(La rassegna prosegue dopo la carta)
QUANTO DEVE IL PAKISTAN ALLA CINA?
Lo sviluppo del corridoio economico Cina-Pakistan alimenta il debito di Islamabad verso la Repubblica Popolare, ma non è chiaro in che misura. Per il quotidiano pakistano Express Tribune il paese dovrebbe restituire 40 miliardi in 20-25 anni. L’ambasciata cinese sostiene che Islamabad deve solo sei miliardi di dollari e ha divulgato una lista di 22 “progetti con raccolta anticipata” di progetti completati o in fase di sviluppo per un valore totale di 18,9 miliardi di dollari.
A prescindere dalla cifra esatta, Islamabad è preoccupata dalla cosiddetta “trappola del debito”. Infatti ha recentemente accantonato un progetto a guida cinese per la costruzione della centrale elettrica a carbone di Rahim Yar Khan. Il governo pakistano non ha intenzione di abbandonare lo sviluppo del corridoio economico, ma una ricalibratura dei progetti e dei costi non è esclusa.
MOMBASA POTREBBE CADERE NELLA TRAPPOLA DEL DEBITO?
Il Kenya afferma che non corre il rischio di cedere il controllo del porto di Mombasa alla Export-import bank of China. Un rapporto del quotidiano African Stand sostiene che Nairobi avrebbe rinunciato all’immunità sovrana dell’autorità portuale nazionale durante i negoziati con l’istituto di credito cinese in cambio di un prestito di 3,3 miliardi di dollari impiegati nella costruzione della linea ferroviaria tra Mombasa e la capitale. Il rapporto afferma che se la Kenyan railways corporation fallisse, l’autorità portuale dovrebbe cedere lo scalo marittimo alla Cina. Il presidente keniano Uhuru Kenyatta ha respinto questa notizia e ha sostenuto che i pagamenti sono in regola. Lo stesso ha fatto il governo cinese. Se le voci si tramutassero in realtà, alimenterebbero lo spauracchio della “trappola del debito” danneggiando l’immagine della Bri.
LA COSCO IN PERU
La Cosco investirà per la prima volta in un porto del Sudamerica. In base a un accordo firmato a gennaio, il gigante logistico finanzierà la costruzione di un nuovo terminal nel porto di Chancay (a 58 chilometri da Lima), di cui controllerà il 60%. Negli ultimi anni, diversi paesi del subcontinente hanno aderito ufficialmente alle nuove vie della seta, dimostrando che le loro diramazioni – simbolo delle aspirazioni geopolitiche cinesi – vanno ben oltre l’Eurasia. Nel 2018, China merchants ha acquisito il 90% del terminal del porto di Paranagua, per 924 milioni di dollari.
Ora l’obiettivo è rendere Chancay un punto di riferimento per i traffici marittimi cinesi in quello che gli Usa considerano il loro “giardino di casa”.
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