La bomba nucleare: maledizione o salvezza?
di OLTRE LA LINEA (Emilio Bangalterra)
“In una tra le innumerevoli milioni di galassie dell’universo, si trova una stella di media grandezza. Uno dei suoi satelliti, un verde pianeta insignificante adesso è morto”. Con queste parole lapidarie si chiude il secondo capitolo dell’intramontabile saga de “Il pianeta delle scimmie”, tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 1963 da Pierre Boulle.
L’opera viene presentata con un messaggio in bottiglia da parte di un pioniere spaziale che recita: “Affido questo manoscritto allo spazio, non con la speranza di ottenere soccorso, ma per contribuire, forse, a scongiurare lo spaventoso flagello che minaccia la razza umana. Dio abbia pietà di noi!”. Un messaggio che sintetizza il terrore di un’epoca segnata dalla minaccia atomica.
Quando esce il primo capitolo, nel 1968, è già passata la fase più calda della guerra fredda, che ha avuto il suo apice con la crisi dei missili di Cuba. Da lì a poco comincerà la fase della “distensione”, in cui Nixon da una parte e Breznev dall’altra intavoleranno le prime trattative che porteranno alla sottoscrizione di accordi per limitare gli armamenti strategici (SALT), fino alla stipula del Trattato di non proliferazione.
Il ’68 è anche un anno di profondi e irreversibili rivolgimenti sociali. Il mondo cinematografico pullula di riferimenti sulla bomba H. Nella fattispecie, Il pianeta delle scimmie è il primo, e anche l’unico fortunato, dei cinque film che compongono il vecchio franchise fantascientifico in cui il protagonista, l’astronauta George Taylor (un immenso Charlton Heston), trasportato avanti nel tempo, finirà per ritrovarsi in un pianeta governato dai primati, in una sorta di darwinismo al contrario, per poi scoprire alla fine di ritrovarsi proprio sulla Terra, devastata dalle armi nucleari.
La scena finale, in cui il protagonista sì prostra dinanzi ad una malconcia Statua della Libertà, è rimasta impressa nell’immaginario collettivo alla pari della celeberrima cavalcata del missile a mò di cowboy del maggiore T.J King in il dottor Stranamore, per fare un parallelismo sia di contenuti sia di un prima-comico e di un dopo-tragico.
Un particolare importante del sequel, che ebbe scarso successo, è proprio la curiosa fascinazione nei confronti della bomba venerata come un Messia da parte di una razza mutante post-umana, sopravvissuta alla distruzione del pianeta e con poteri telepatici. Anche se non pienamente sviluppato come merita, il tema della sacralità che questi individui riservano alla testata nucleare all’interno della loro chiesa (ricorda vagamente il monolite venerato, guarda caso, dai primati in Odissea 2001) solleva un un concetto importante affrontato in modo formidabile da Massimo Fini nel Pamphlet “Elogio della guerra”, edito per la prima volta nel 1989, periodo in cui il mondo diviso in blocchi terminava, così come le grandi narrazioni, e in cui qualcuno, da lì a poco, avrebbe parlato di Fine della storia.
Oltre ad essere un efficace strumento di deterrenza, attorno alla bomba H si può costruire un’intera filosofia, se non mitologia. Come evidenziava Fini nell’ultimo capitolo del libro “La guerra, una storia finita”, la bomba impedisce l’uomo dal fare quel gioco che ha fatto sin dall’alba dei tempi, che ha permesso il diffondersi e sostituirsi delle civiltà, oltre che lo sviluppo tecnologico.
L’equilibrio del terrore inoltre, si basa sul paradosso che, impedendo l’impossibile (la guerra nucleare), si mantiene la sua perenne possibilità. Eppure, conclude Fini, con stupore dobbiamo constatare che la pace ci ha reso più infelici. Non essendo più parte attiva di una autodistruzione collettiva, ci lasciamo andare a quella interna. Secondo Moravia, la bomba ci ripugna perché è la fine della guerra, e noi inconsciamente vogliamo fare la guerra. Da un punto di vista più superficiale è, per lo stesso motivo, la nostra salvezza.
“Verrà il giorno in cui la guerra uccide la ucciderà la guerra grazie al progresso scientifico, che consentirà distruzioni così tremende che ogni conflitto diventerà impossibile” – Louis Pasteur
Tornando al film, nel Tempio in cui questa falsa riproduzione dell’oltreuomo nietzscheano celebra il culto rivolto all’arma redentrice, le porte sono adornate di Croci storte (chissà se inserite intenzionalmente), la bomba rappresenta come inciso su un alettone l’Alfa e l’Omega. “Essa non ha lingua né parola,eppure la sua voce viene udita da tutti… Sia gloria alla bomba e la sua nube distruttiva come era in principio e come è ora”.
Questa specie di setta vive in quella che un tempo era la metropolitana della città più frenetica e capitale del capitalismo globale, New York. Lo scontro con i gorilla porterà ad azionare l’arma che distruggerà il pianeta una volta per tutte. “L’ultimo regalo del ventesimo secolo: non erano soddisfatti di una che potesse distruggere una città, dovevano creare una testata al cobalto, e tutto nel sacro nome della pace”, dice George Taylor Brent, astronauta alla ricerca di Taylor nel secondo episodio; dopo essere stato imprigionato, si ritrova faccia a faccia con Taylor e, per effetto dei poteri mentali degli esseri mutanti, provano ad uccidersi a vicenda. Sono molto simili nell’aspetto, quasi a voler rappresentare l’uomo nella sua ambivalenza, Eros e Thanatos, che combatte contro se stesso.
“Noi non uccidiamo nessuno, facciamo in modo che i nostri nemici si uccidono da soli”, avverte uno dei sacerdoti. Prima di morire, Taylor, dopo aver chiesto aiuto vanamente al saggio orango dottor Zaius (altro personaggio fondamentale) in un gesto disperato, e maledicendo come nel primo film gli uomini, aziona la Bomba che distrugge la Terra, stanco di tutta quella sopraffazione compiuta da una razza, o specie, contro l’altra.
“Guardati dalla bestia-uomo, poiché egli è l’artiglio del demonio. Egli è il solo fra i primati di Dio che uccida per passatempo, o lussuria, o avidità. Sì, egli uccide il suo fratello per possedere la terra del suo fratello. Non permettere che egli si moltiplichi, perché egli farà il deserto della sua casa e della tua. Sfuggilo, ricaccialo nella sua tana nella foresta, perché egli è il messaggero della morte. [Il Legislatore, XXIX Pergamena, 6° versetto].
Il messaggio pessimista presente nei primi due episodi si capovolgerà fino ad arrivare al lieto fine dell’episodio conclusivo. Resta solo da chiedersi, ed è perciò fondamentale riscoprire questa saga degli anni ’70, se la storia torna a ripetersi in un loop senza fine, un eterno ritorno, oppure se è possibile cambiare il futuro. L’uomo, bomba atomica a parte, è e rimane artefice del proprio destino.
Fonte: https://oltrelalinea.news/2019/02/26/la-bomba-nucleare-maledizione-o-salvezza/
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