L’Europa alla prova dell’indipendenza sul caso Huawei
di L’INDRO (Jeta Gamerro)
Il modo in cui Berlino gestisce Huawei può essere considerato una pietra di paragone di come l’Europa possa essere indipendente di fronte agli Stati Uniti: parola del Governo cinese
Huawei, la multinazionale cinese delle telecomunicazioni, divenuta immagine prima dello scontro tra gli Stati Uniti e la Cina, e ora della ‘diffidenza’ europea nei confronti del dragone alimentata da Donald Trump, si dice pronta a rispettare le regole europee in materia di cybersecurity, a rassicurare gli governi e consumatori europei sulla sicurezza dei dati del 5G, a dialogare con tutti in Italia e in Europa. Lo fa per bocca vice Presidente di Huawei Europa, Abraham Liu, e del Ceo Huawei Italia, Thomas Miao, nel giorno -ieri- dell’inaugurazione della nuova sede Huawei di Milano, e a poco meno di una settimana dall’apertura, a Bruxelles, del terzo centro per la cybersicurezza in Europa. Giorno -ieri- in cui dalla Germania la Cancelliera Angela Merkel fa sapere che Berlino discuterà anche con Washington prima di decidere sull’utilizzo di apparecchiature Huawei per la sua infrastruttura 5G, in risposta alla lettera inviata dall’ambasciatore americano a Berlino, Richard Grenell, al Ministro dell’Economia tedesco, Peter Altmaier, per anticipare una revisione della cooperazione in materia di intelligence tra i due Paesi se la Germania non impedirà ad aziende cinesi come Huawei l’ingresso nel settore del 5G.
Berlino aveva sostenuto che avrebbe rafforzato i criteri di sicurezza per tutti i fornitori, ma non intendeva escludere nessuna compagnia dall’asta delle licenze, dichiarazione che probabilmente è stata la molla che ha fatto scattare la lettera dell’Ambasciatore.
A 15 anni dal suo sbarco in Italia -un mercato che per l’azienda è secondo a solo quello della madrepatria- Huawei è nell’occhio del ciclone nello stivale, sotto tiro in particolare con lo scoppio delle polemiche, interne al Governo gialloverde e tra quest’ultimo e gli USA da una parte e la UE dall’altra, sul Memorandum Italia-Cina relativamente alla nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative).
A Roma come a Bruxelles, nel momento in cui il Memorandum che l’Italia sarebbe in procinto di firmare con la Cina è diventato un ‘caso’, Huawei è divenuto -come era stato negli USA- immagine e bersaglio che identifica la Cina, o meglio la ‘voracità’, l’atteggiamento coloniale della Cina nei confronti dell’Europa.
E la Cina ha risposto e sta continuando a ribattere colpo su colpo. Ieri sera il ‘Global Times’, quotidiano voce del partito comunista e dunque del Governo cinese, è uscito con un editoriale dal significativo titolo ‘Europe’s autonomy tested in Huawei case’.
Se sulla vicenda del Memorandum italiano aveva usato toni da ‘avviso’, questa volta, sulla consultazione tedesca con Washington, i toni sono più suadenti -almeno nei confronti della Germania- ma molto duri nei confronti dell’Unione.
Gli Stati Uniti hanno lanciato una campagna di «persecuzione politica contro Huawei per accuse ingiustificate. Washington sta inoltre impedendo ai suoi alleati di utilizzare le apparecchiature Huawei nella loro costruzione 5G. Un dibattito senza precedenti è in corso sul progresso tecnologico di un gigante delle telecomunicazioni e sulla minaccia alla sicurezza che potrebbe rappresentare» esordisce l’editoriale. Dibattito dagli esiti ‘irritanti’ visto che, sostiene il quotidiano, «la maggior parte degli operatori di telecomunicazioni di tutto il mondo ritiene che Huawei sia l’unico fornitore di reti 5G maturo e che la sua tecnologia sia almeno un anno avanti rispetto alle controparti occidentali».
Washington sta minacciando Berlino sul fronte della sicurezza, un capitolo, prosegue il ‘Global Times’, sul quale per la Germania la cooperazione con gli Stati Uniti è ancora molto importante, infatti, malgrado Germania e Francia stiano discutendo sull’autonomia della sicurezza europea, «il continente non ha deciso di vivere senza il paracadute degli Stati Uniti». La Germania ha ottime ragioni per non mettere al bando Huawei: la tecnologia della compagnia può contribuire alla costruzione della rete tedesca 5G con efficienza e bassi costi, ma soprattutto «l’avvertimento degli Stati Uniti ha violato la sovranità della Germania», si legge nell’editoriale. «Questa non è la prima volta che Grenell fa gesti dittatoriali verso Berlino. Da quando ha assunto il ruolo di ambasciatore degli Stati Uniti in Germania, ha messo a disagio Berlino mettendo in guardia contro il gasdotto russo e chiedendo alle compagnie tedesche di cessare le proprie attività in Iran. Se Berlino si inchina alle richieste degli Stati Uniti questa volta, significa che Berlino riconosce a Washington il diritto di essere prepotente».
Nel caso Huawei, prosegue il quotidiano, «gli Stati Uniti hanno ordinato ai Paesi europei di sacrificare i loro interessi», perché Washington non prende sul serio l’Europa, chiosa l’editorialista, «l’Europa ha ribadito la sua riluttanza» a farlo, «anche se in modo discreto». Considerato «il ruolo della Germania in Europa, il modo in cui Berlino gestisce Huawei può essere considerato una pietra di paragone di come l’Europa possa essere indipendente di fronte agli Stati Uniti».
La lettera scritta dall’ambasciatore statunitense a Berlino indica, afferma l’editoriale, che gli Stati Uniti possono solo ricorrere a minacce, «l’Europa dovrebbe essere abbastanza esperta da rendersi conto che lo sviluppo di relazioni amichevoli con la Cina non è un peso per i suoi legami con gli Stati Uniti. Piuttosto, la relazione può fungere da leva strategica con cui l’Europa può cambiare l’atteggiamento degli Stati Uniti»
«L’Europa deve avere il coraggio di prendere le distanze dagli Stati Uniti e allo stesso tempo sviluppare legami con la Cina e la Russia. Il mondo sta cambiando, e così dovrebbe essere per le strategie dell’Europa». Una sorta di lezione di globalizzazione secondo Pechino e di multilateralismo costruttivo, come pare essere ben chiaro a chi la Cina la conosce bene, come Filippo Fasulo, coordinatore scientifico del CeSif (il Centro studi sull’Impresa della Fondazione Italia-Cina), che, in una densa intervista a ‘La Presse’ di ieri, afferma «I timori degli Usa verso la nuova via della seta sono dovuti al fatto che non è solo un grande piano infrastrutturale, ma di nuova globalizzazione. E rappresenta una ridefinizione delle modalità delle relazioni internazionali di base Pechinocentrica».
Il continente, conclude l’editorialista del ‘Global Times’, «dovrebbe cercare di massimizzare i propri interessi, invece di servire la dottrina dell’America First».
Difficile immaginare parole più piccanti, dure, serie, ci sottolineano alcuni osservatori americani in Asia. Le preoccupazioni della Ue e degli USA per il Memorandum di adesione dell’Italia alla Belt and Road Initiative e per Huawei sono abbastanza allineate: è il timore di un nuovo equilibrio mondiale e di una forza, quella di Huawei, che è la rappresentazione plastica della forza (culturale e politica, più ancora che economica) della Cina, che governance ‘vecchie’ come quella europea e americana hanno difficoltà a gestire. Il timore, afferma Fasulo, è che gli investimenti cinesi in Europa siano finalizzati alla acquisizione di tecnologia e possano mettere in difficoltà le aziende continentali non avendo i livelli di trasparenza dei progetti europei e delle regole dell’Unione sugli appalti», lo stessa paura degli USA.
Fonte: https://www.lindro.it/leuropa-alla-prova-dellindipendenza-sul-caso-huawei/
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