Mali, attentato a Gao: l’“Africa francese” in mano a ribelli e jihadisti
di LOOKOUT NEWS (Rocco Bellantone)
Almeno 60 morti in un attacco contro una base militare rivendicato dal gruppo qaedista Al Mourabitoun di Mokhtar Belmokthar. Centinaia di soldati inviati da Hollande non sono serviti a difendere l’unità del Paese
Al termine del suo unico mandato alla guida dell’Eliseo nella prossima primavera, Francois Hollande lascerà in eredità al suo successore un’Africa più insicura e instabile di quanto l’avesse trovata nel maggio del 2012. La sensazione è emersa, seppur a microfoni spenti, al termine del 27° vertice Africa-Francia tenutosi a Bamako, capitale del Mali, il 13 e 14 gennaio, ultimo appuntamento di alto livello del presidente francese nel continente africano.
AQIM e Al Mourabitoun
Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) opera principalmente in due teatri: la regione montuosa della Cabilia, nel nord-est dell’Algeria, e la più ampia area del Sahel, con una particolare concentrazione nel nord del Mali. I fattori che ne hanno favorito il radicamento sono molteplici e vanno dalla presenza della popolazione locale dei Tuareg, tra cui i jihadisti possono facilmente mescolarsi, alla presenza di importanti infrastrutture possedute o gestite da personale occidentale. Le installazioni energetiche nelle aree desolate del sud dell’Algeria, vulnerabili ma economicamente strategiche, e la porosità dei confini fanno del Paese nordafricano un obiettivo particolarmente attraente per i jihadisti. Inoltre, l’esperienza ventennale nell’insurrezione contro lo Stato algerino e la possibilità di infiltrare personale locale rendono il quadro della sicurezza regionale particolarmente esposto a periodiche iniziative terroristiche. La minaccia posta da AQIM non ha risparmiato la Mauritania e il Niger.
A guidare Al Qaeda nel Maghreb Islamico è stato inizialmente l’algerino Mokhtar Belmokhtar: dopo aver aderito alla formazione jihadista nota come Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC), che nel 2005 si era unita ad Al Qaeda rinominandosi Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), Belmokhtar diviene uno dei responsabili militari e prende parte alla guerra civile nel settentrione del Mali abitato per lo più dall’etnia Tuareg. In tale ambito, insieme al gruppo islamista Ansar Dine, sostiene il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad, regione del Mali confinante con l’Algeria. Belmokhtar è autore dell’attacco contro l’impianto energetico di In Amenas del 16 gennaio 2013 che si è concluso, a seguito dell’intervento dell’esercito algerino, con la morte di 39 ostaggi e di 29 guerriglieri.
Il 22 agosto 2013 Belmokhtar ha annunciato la fusione del suo gruppo con il Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa occidentale, un ramo di AQIM, e ha così dato vita a una nuova formazione denominata Al Mourabitoun (“Le sentinelle”). Il 21 luglio 2015, in qualità di emiro di Al Mourabitoun, Belmokhtar ha giurato fedeltà ad Ayman Al Zawahiri presentando il suo gruppo come Al Qaeda in Africa Occidentale (AQAO).
Oltre all’attività terroristica condotta tra il Sahel e il Sahara, gli uomini di Belmokhtar si dedicano anche ai sequestri di persona e specialmente di occidentali, al contrabbando di sigarette (tanto che lo stesso leader è stato soprannominato “Mister Marlboro”), nonché al traffico di esseri umani, droga e diamanti, ricavandone ingenti profitti.
La situazione a Gao
La strage di Gao non è un episodio isolato. Epicentro della rivolta ribelle del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad contro il governo centrale di Bamako iniziata nel 2012, e in cui presto hanno assunto un ruolo predominante le diverse fazioni jihadiste che si contendono i ricchi traffici illeciti (droga, armi, esseri umani) che attraversano la regione del Sahel, la città è tornata sotto il controllo dell’esecutivo del presidente Ibrahim Boubacar Keïta solo a seguito dell’Operazione Serval lanciata dalle truppe francesi nel marzo del 2013. Ad oggi è la città più militarizzata del nord del Mali, presidiata da soldati dell’esercito regolare, da militari della Francia (che dal luglio del 2014 opera con una nuova missione chiamata Barkhane (nel complesso 3.500 soldati dispiegati tra Mauritania, Mali, Niger, Ciad e Burkina Faso) e della missione ONU Minusma (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali) che in totale stanzia nell’intero Paese 12mila caschi blu.
Ma questo enorme assembramento di forze non è bastato per evitare un nuovo massacro che va a sommarsi ad altri attacchi recenti. Il 29 novembre 2016 un camion bomba aveva colpito uffici della missione Minusma situati nei pressi del locale aeroporto. Nello stesso mese era stata rapita un’operatrice umanitaria francese. Mentre alle elezioni amministrative del 20 novembre Gao era stato uno dei 15 comuni su 703 in cui gruppi armati avevano impedito lo svolgimento del voto.
Le violenze nel 2016
La visita che Hollande ha fatto ai circa mille soldati di stanza a Gao nei giorni del vertice Africa-Francia non si è rivelata pertanto di buon auspicio. E quello che doveva essere un saluto carico di speranze per il futuro di un Paese che Parigi ha “liberato” dall’occupazione di ribelli e fazioni islamiste, è diventato invece il simbolo di una strategia interventista che ha lasciato le cose a metà: vale per il Mali, così come per la Repubblica Centrafricana.
Nello specifico del Mali, a parlare sono gli episodi di violenza che nel 2016 hanno raggiunto un livello allarmante. Secondo Florent Geel, responsabile per l’Africa della Federazione Internazionale dei Diritti Umani, citato da Le Monde, solo nel centro e nel nord del Paese gli attacchi sono stati più di 385, i morti almeno 332, tra cui 207 civili. A ciò si aggiungono almeno altri 630 casi tra torture, sparizioni, detenzioni arbitrarie ed estorsioni, il doppio rispetto al 2015. Mentre Human Rights Watch ha denunciato almeno 27 esecuzioni sommarie contro persone accusate di essere informatori del governo.
I territori contesi da ribelli e jihadisti
In questa enorme parte di Mali fuori dagli accordi di pace, i gruppi armati, anziché essere stati isolati e neutralizzati, si sono moltiplicati sfruttando da una parte le fratture interne agli ex ribelli dell’Azawad, dall’altra un diffuso odio nei confronti delle truppe maliane, così come di quelle francesi e dei caschi blu per i tanti casi di abusi commessi su civili inermi.
Se Timbuctu, Gao, Ansongo e Bourem sono presidiate almeno in parte dalle forze regolari e dagli alleati di Bamako, altrove – Kidal così come diverse località a nord del fiume Niger (Ber, Djenock, Anefis e Tabankort) – il potere è nelle mani di gruppi ribelli o jihadisti. Tra quest’ultimi alle sigle più conosciute – AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), Ansar Eddine e MUJAO (Movimento per l’Unità del Jihad in Africa Occidentale), si affiancano formazioni emergenti legate allo Stato Islamico o in cerca del migliore alleato del momento. È il caso di Macina Liberation Movement, gruppo estremista islamico che si è formato nel gennaio del 2015 ed è composto da milizie appartenenti ai Fulani, un’etnia nomade che popola l’Africa occidentale, concentrata tra Macina (città che affaccia sul fiume Niger a metà strada tra Bamako e Gao) e nell’area geografica che si estende dal confine con la Mauritania fino al confine con il Burkina Faso.
Al nuovo inquilino dell’Eliseo spetterà presto il compito proibitivo di salvare il salvabile dell’“Africa francese”. Se non ci riuscirà, soprattutto in Mali attacchi a compound e check point dei militari maliani, francesi e delle Nazioni Unite continueranno a essere all’ordine del giorno. Gli indipendentisti torneranno a minacciare l’unità del Paese. E il jihad non potrà che continuare a guadagnare terreno.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/mali-attentato-a-gao-lafrica-francese-in-mano-a-ribelli-e-jihadisti/
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