L’Italia come la Grecia, Roma come Atene. A qualcuno tremeranno i polsi, a qualcun altro correrà un brivido lungo la schiena. La storia del Paese ellenico degli ultimi 15 è una lenta discesa agli inferi: prima il crack del bilancio statale complice i conti pubblici truccati, il commissariamento di fatto da parte dell’Unione europea e infine l’indebitamento di un intero sistema con le banche europee, soprattutto tedesche. Su almeno quest’ultimo punto l’Italia rischia di fare la stessa fine, almeno a sentire il parere dell’economista di Giulio Sapelli. Ma non con gli istituti tedeschi, bensì con la Cina, più precisamente con Aiib, (Asian infrastructure investment bank), il fondo per lo sviluppo delle infrastrutture in Asia, promosso e sostenuto da Pechino in contrapposizione al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale. La questione, nemmeno a dirlo, riguarda la tanto discussa Via della Seta, la serie di accordi per le infrastrutture italo-cinesi con cui il Dragone punta a espandersi in Europa.
Il problema, o potenziale tale, è tutto in un’operazione che secondo alcune indiscrezioni riportate dal Financial Times, avrebbe trovato posto tra le pagine del memorandum italo-cinese, che Roma punta a firmare in occasione della visita di Xi Jinping in Italia, il prossimo 22 marzo. Roma starebbe valutando l’accensione di prestiti presso l’Aiib al fine di dissipare i timori della Commissione Ue (e degli Stati Uniti) sull’apertura italiana al collegamento commerciale e infrastrutturale con l’Asia e la Cina. Questo perché l’Aiib opererebbe in linea con gli standard internazionali, inclusi gli appalti competitivi e gli studi sull’impatto ambientale, che sono richiesti all’interno dell’Ue. Insomma, dalla Cina arriverebbe denaro per il finanziamento delle opere ma nel pieno rispetto delle regole e delle garanzie occidentali. Questi gli obiettivi ufficiali, ma c’è chi vede dietro tutto questo un rischio concreto per la stessa sovranità finanziaria dell’Italia.
“Siamo dinnanzi a una minaccia seria, una minaccia che porta il nome dell’imperialismo del debito. Una nuova forma di colonialismo basata non più sulla conquista di terre ma sul debito. Basti pensare a quello che è successo in Indonesia, dove la Via della Seta indo-cinese ha portato all’indebitamento di intere nazioni (il 40% del debito pubblico del solo Myammar è detenuto da Pechino, ndr). E noi stiamo rischiando di fare la stessa fine. Dobbiamo assolutamente fermare la macchina della Via della Seta, bloccare sul nascere ogni possibilità di chiedere prestiti a banche o fondi cinesi. Non facciamo l’errore di dire di sì, come fu con la Germania nazista. Dire di sì alla Cina sarebbe follia”, attacca Sapelli.
“Un po’ di memoria storica aiuta”, ragiona l’economista. “Che cosa è successo in Grecia? Interi pezzi di economia sono finiti nelle banche tedesche a causa del debito: porti, infrastrutture, tutto. Ecco, noi corriamo lo stesso rischio anche perché siamo vulnerabili, come dimostra una certa recente sudditanza alla Cina. Prima hanno iniziato con le partecipazioni, Pirelli che è diventata cinese ma anche l’operazione con Cdp (il 40% di Cdp reti è nelle mani dell’asiatica State Grid, ndr). Adesso attaccano col debito, portando avanti questa variante del colonialismo, l’imperialismo del debito. La nostra sovranità, per colpa di governi come quello di Prodi o Gentiloni è stata già messa a repentaglio e ora questo governo sta facendo lo stesso. Con l’aggravante di farci tracciare un solco con i nostri veri amici, alleati: gli Stati Uniti e, naturalmente l’Europa”.
Sapelli intravede tuttavia nella golden power, i poteri speciali in capo al governo contro le scalate ostili, un mezzo per arginare l’onda cinese. “La Lega fa bene a perorare la causa di una golden power a prova di Cina, anche se mi pare che il governo sia spaccato anche su questo, sulla quantità di muscoli da mostrare con Pechino. L’aggressività cinese è figlia della loro crisi. Non crescono più come una volta e allora cercano di alimentarsi con debito altrui. Ma l’Italia si fermi, non commetta questo errore. Dica di no. Offra da bere a Xi Jinping ma non firmi”.
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