Da oggi i Fridays for future sono diventati una realtà diffusa anche in Italia. Migliaia di persone sono scese nelle piazze di diverse città per manifestare e chiedere che vengano attuate politiche diverse in materia ambientale. La prospettiva è chiara ed emerge dal comunicato del coordinamento italiano: «Bisogna capire che quando si dice di salvare il Pianeta, in realtà stiamo dicendo di salvare noi stessi, perché noi facciamo parte di esso». Il nostro paese si pone dunque in continuità con un movimento globale che da mesi sta seguendo l’esempio della sedicenne svedese Greta Thunberg, in sciopero prolungato per il clima da fine agosto. Non è la prima volta che una ragazzina viene posta al vertice di rivendicazioni ecologiche su scala mondiale. Ricordate la dodicenne Severn Cullis-Suzuki,che zittì le Nazioni Unite per sei minuti nel 1992? Greta è l’evoluzione di quel modello, quasi trent’anni dopo, a seguito di numerose conferenze internazionali, di ancor più numerosi rapporti scientifici in merito e di pochi passi in avanti nella risoluzione dei problemi reali che affliggono la Terra e di cui gli esseri umani sono, almeno in parte, responsabili. Il suo intervento alla COP24 di Katowice lo scorso dicembre raffigura al meglio questa situazione.
Greta suscita reazioni antitetiche e per certi versi paradossali: da un lato chi la vede come una Madre Natura del ventunesimo secolo, pura e indipendente da qualunque forma di potere; dall’altro chi la considera una mera pedina nelle mani di una nuova élite economica, pronta a subentrare a quella ormai vetusta dei combustibili fossili. Ora, è evidente che con la sola purezza a sedici anni difficilmente si arriva a parlare con un certo peso alle Nazioni Unite. Dubbi confermati da notizie facilmente accessibili e verificabili, riguardo l’influenza di altri personaggi sull’operato della ragazza. Secondo il giornalista svedese Andreas Henriksson, oltre alla madre di Greta, la cantante Malena Ernman che avrebbe utilizzato la piazza come vetrina per il lancio del suo nuovo libro, il vero beneficiario del fenomeno Thunberg sarebbe Ingmar Rentzhog. Presidente di Global Utmaning, un think tank dalla quanto mai dubbia indipendenza politica, e fondatore della start-up We Do not Have Time, Rentzhog avrebbe sfruttato l’immagine della giovane attivista (con la quale è a contatto fin dall’inizio della mobilitazione) per il proprio tornaconto personale. Fare soldi sul lavoro degli altri: non certo una novità, purtroppo.
Se dunque non ci vuole un genio a capire che dietro all’azione (più o meno spontanea) di questo movimento ci siano degli interessi economici e politici reali (da monitorare e indagare ulteriormente), dall’altra è necessaria una dose di raziocinio e di onestà intellettuale per non cadere negli eccessi opposti. A questo proposito possiamo illustrare due punti fondamentali. Il primo è politico e vuole ricollegarsi al percorso storico del movimento ecologista, che è stato quasi sempre identificato come un corpo estraneo alla società civile, produttivistica e capitalistica. Gli attivisti ecologisti sono stati definiti hippies, violenti, retrogradi e in altri svariati modi denigratori a seconda dei paesi e dei decenni. Adesso gli si rimprovera di essere dei venduti, degli imprenditori verdi e degli ipocriti. Il punto è che, ahimè, le sole lodevoli azioni dal basso non salveranno questo Pianeta. Fare la raccolta differenziata, diventare vegetariani e ripulire un’area naturale sono tutte attività che, se non accompagnate a livello sistemico, non impediranno ai ghiacciai di sciogliersi, alle specie di estinguersi e agli eventi metereologici estremi di verificarsi. Le belle parole hanno avuto molto tempo per trovare un’attuazione pratica ma, su larga scala, hanno fallito. Allo stato attuale delle cose bisogna intervenire necessariamente dall’alto. E come credete che i politici “verdi” lo faranno? A colpi di tofu e verdure bio? Non prendiamoci in giro. Non possiamo aspettare altri due secoli in vista di non si sa quale grande rivoluzione sociale. Non ne abbiamo il tempo. E non perché lo dice il Rentzhog di turno, ma in quanto, e veniamo al secondo punto, la scienza ce lo spiattella sotto gli occhi da decenni e noi come umanità ci giriamo dall’altra parte. La premessa per affrontare una discussione riguardo Greta Thunberg dovrebbe essere quella di aver letto, almeno una volta nella vita, un rapporto scientifico autorevole sui cambiamenti climatici. Così si apre il Synthesis Report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change del 2014: «L’influenza umana sul sistema climatico è chiara, e le recenti emissioni antropogeniche dei gas serra sono le più elevate nella storia. I recenti cambiamenti climatici hanno avutoimpatti diffusi sul sistema umano e su quello naturale». Delle conseguenze ne parliamo prossimamente.
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