Chen Lai: Conosciamo a fondo i valori distintivi della Cina
di SINOSFERE (Redazione)
Un problema importante, nel nostro studio dei sistemi di valori, è quello di comprendere quali siano i valori tradizionali caratteristici del nostro paese, soprattutto a livello sociale.1) Generalmente, è solo attraverso delle operazioni di confronto, selezione e contrasto che un determinato sistema di valori si palesa nella sua peculiarità; così, se vogliamo discutere di ciò che caratterizza i valori cinesi, non possiamo limitarci a osservare la cultura cinese in modo isolato, ma dobbiamo anche prendere, come termine di paragone, la cultura occidentale e in particolare i suoi valori moderni. Se confrontati con quelli della modernità occidentale, i valori cinesi evidenziano quattro grandi caratteristiche.
La responsabilità viene prima della libertà
I valori cinesi esprimono un forte senso di responsabilità, sottolineando le responsabilità dell’individuo nei confronti degli altri, della comunità e perfino della natura. Nel confucianesimo il discorso etico è piuttosto sviluppato, e già nei periodi delle Primavere e Autunni e degli Stati Combattenti (all’incirca fra il settimo e il terzo secolo a.C., ndt) aveva dato vita a un sistema compiuto. Gli orientamenti fondamentali, in questo sistema – fra cui troviamo quelli di zhong 忠 (fedeltà o lealtà), xin 信 (fiducia o affidabilità), ben 仁 (umanità o benevolenza), yi 义 (giustizia o rettitudine), xiao 孝 (devozione o rispetto filiale), cui 惠 (gentilezza o affabilità), rang 让 (cedevolezza o condiscendenza) jing 敬 (deferenza o rispetto) – sottolineano tutti l’adempimento delle responsabilità dell’individuo verso gli altri e verso la società. Il “rispetto filiale”, per esempio, enfatizza la responsabilità dei figli nei confronti dei genitori, la “fedeltà” enfatizza la responsabilità di spendersi a vantaggio degli altri, la “fiducia” enfatizza la responsabilità verso gli amici, eccetera. Per il confucianesimo l’individuo si trova in una relazione di continuità con gli altri e con il gruppo, e deve perciò assumersi, per essere considerato virtuoso, le sue responsabilità nei confronti del prossimo.
I valori cinesi, con la loro speciale enfasi sulle relazioni, hanno una posizione diversa rispetto a quella “individualista” (letteralmente, geren benwei de lichang 个人本位的立场, “posizione basata sull’individuo”, ndt), nella misura in cui richiedono che l’individuo, nel costituire la sua relazione con l’altro, non possa considerarsi come il centro, ma debba piuttosto considerarsi come il punto di partenza per valorizzare l’altro, sottomettendo i propri interessi personali alle istanze della responsabilità. Spesso per adempiere alla propria responsabilità si finisce per dimenticare se stessi, e spesso a motivare in modo significativo l’agire sociale dell’individuo è proprio la responsabilità. Si tratta di una posizione “responsabilista” (letteralmente zeren benwei de lichang 责任本位的立场 “posizione basata sulla responsabilità”). Nello stesso tempo, trovandosi in una rete di relazioni sociali, che intrattiene con persone diverse, l’individuo ha responsabilità che non sono univoche, bensì molteplici, tante quanti sono i ruoli che questi ricopre.
I valori cinesi danno una grande enfasi all’esercizio della responsabilità. Mencio sosteneva che l’uomo esemplare deve caricare su di sé la responsabilità del mondo. I letterati dal periodo pre-imperiale alla dinastia Han (206 a.C. – 220 d. C.), lungi dal dare preminenza alla libertà dell’individuo, ne sottolineavano la responsabilità verso lo stato ed il mondo. Nel periodo che va dagli Han ai Song (960 – 1279), il senso di responsabilità dei letterati-funzionari avrebbe trovato la sua espressione emblematica nel motto di Fan Zhongyan “sii il primo a preoccuparti dei problemi del mondo e l’ultimo a godere delle sue gioie”. A esso seguì, fra i letterati di epoca Ming (1368 – 1644), il precetto di “prendersi a cuore ogni questione della famiglia, dello stato e del mondo”. A cavallo fra le dinastie Ming e Qing (1644 – 1911), Gu Yanwu, invece, disse che “delle sorti del mondo ognuno è responsabile”, mentre Lin Zexu, in epoca Qing, sentenziò che “per il bene del paese ognuno deve essere pronto a sacrificare la vita”. Sono tutte cose che ognuno ben conosce, data la profondità della loro influenza sulla nostra società.
Nella cultura dominante della modernità occidentale, i “diritti” sono le richieste etiche e politiche che l’individuo avanza nei confronti dello stato e del governo. In quanto tali, essi investono soprattutto le responsabilità e i doveri del governo, ma non sono in grado di definire le responsabilità e i doveri dell’individuo verso la famiglia, gli altri e la società. La nozione dei diritti è il fulcro della moderna filosofia liberale occidentale, il prodotto dello sviluppo della società e della politica borghese moderna. Essa, tuttavia, si focalizza sulle richieste che l’individuo avanza nei confronti della società, trascurando le responsabilità di questi verso quest’ultima, e si concentra sulla protezione dei diritti dell’individuo, trascurando che anche l’individuo ha la responsabilità di rispettare i diritti altrui.
Il dovere viene prima dei diritti
Se i valori occidentali moderni danno nettamente la priorità ai diritti individuali, i valori cinesi, e in particolare quelli confuciani, danno ancor più la priorità al dovere.
La cultura cinese, secondo l’importante esponente del neoconfucianesimo moderno Liang Shumin, nell’ambito delle relazioni umane mette al primo posto l’adempimento reciproco del dovere, aspetto che costituisce un tratto fondamentale dell’etica cinese. Per Liang Shumin la diffusione dell’individualismo, nell’Occidente moderno, avrebbe prodotto una società “a base individuale” (geren benwei de shehui 个人本位的社会), la quale sarebbe stata foriera di grossi scompensi, mentre la Cina al contrario avrebbe fatto dell’etica la sua essenza. Dice lo stesso Liang Shumin: “La vita è necessariamente costituita attraverso dei legami: è ciò che chiamiamo ‘relazioni naturali’. La vita necessariamente è fatta di legami: è ciò che chiamiamo “principio etico delle relazioni”. Il sentimento di affinità per l’altro nasce dai legami di sangue; per questo, tutte le persone, avendo dei legami, hanno naturalmente dei sentimenti: così, laddove c’è il sentimento, lì nascono i doveri. Il dovere del padre è essere amorevole, quello del figlio è essere devoto; il dovere del fratello maggiore è essere amichevole, quello del fratello minore è essere rispettoso. Tutti, a partire dalle coppie sposate e dagli amici, hanno naturalmente dei doveri reciproci a cui devono adempire. I legami basati sulle relazioni etiche, in altre parole, esprimono una qualche forma di dovere, cosicché le persone non sembrano vivere per se stesse, ma per dare valore all’altro. Nel mondo occidentale vale l’esatto opposto: lì domina ovunque l’individualismo, e tutto parte dalla nozione di ‘diritto’”.
Liang Shumin riteneva che l’etica cinese desse grande enfasi al senso del dovere. Era un senso del dovere che si concepiva come aperto, che si espandeva dalla famiglia al clan, alla comunità, quindi ai vari livelli regionali, allo stato, al mondo e all’universo. Ovvio che non poteva, una simile etica incentrata sul dovere come base dei rapporti interpersonali, sottolineare l’importanza dei diritti individuali. Se secondo lui l’Occidente aveva come base l’individuo, e metteva dunque al primo posto il sé, la Cina invece metteva al primo posto il dovere, dando importanza al rispetto dell’altro: “Se si parte da una base individuale, allora prevale la nozione dei diritti; se si parte dalla volontà di rispettare l’altro, allora prevale la nozione del dovere.”
Nella società moderna, i diritti alla vita e allo sviluppo personale sono sanciti dalla costituzione e dalle leggi, e, naturalmente, sono riconosciuti anche dai valori della società. Ciò non vuol dire, tuttavia, che i diritti dell’individuo costituiscano il valore più importante, o che la società si limiti a sostenere questi ultimi soltanto. Il discorso sui diritti, nelle questioni etiche e valoriali, si dimostra piuttosto limitato, e anzi, addirittura, il sistema di valori incentrato sui diritti individuali è all’origine di molti dei problemi della società contemporanea. Spesso il discorso sui diritti si accompagna a una posizione individualista, la quale, mettendo al primo posto i diritti dell’individuo, ritiene che questi vengano prima degli obiettivi collettivi e del bene comune. Una posizione su cui è difficile fondare il dovere, la responsabilità e la virtù dell’individuo. Tale visione, enfatizzando in modo eccessivo la protezione della libertà individuale, non si cura invece di incoraggiare l’individuo a pensare all’interesse della società, né riesce a inquadrare il conflitto fra interesse della società e interesse individuale. Essa pertanto nuoce, più di quanto non giovi, al sano funzionamento della società moderna.
Il gruppo è superiore all’individuo
Già nel periodo delle Primavere e Autunni i nostri pensatori avevano chiaramente avanzato l’idea di “considerare l’uomo come fondamento” (yi ren wei ben 以人为本), come in seguito è avvenuto, a partire dal Rinascimento, anche in Occidente. Ma se questa idea, in Occidente, enfatizzava come fondamento soprattutto l’individuo, la cultura e i valori cinesi non hanno messo a fondamento il valore dell’individuo, bensì quello del gruppo, sottolineando che questo è superiore all’individuo.
Secondo la cultura e i valori cinesi, l’individuo non può vivere in uno stato di isolamento, ma deve condurre la sua esistenza all’interno del gruppo, nel cui ambito progredisce anche la sua coltivazione morale.
La più piccola unità sociale al di sopra dell’individuo è la famiglia, che a sua volta si estende al clan, alla comunità, e via via ai vari livelli amministrativi fino allo stato. La cultura e i valori cinesi danno grande importanza alla famiglia, considerandola come il primo livello attraverso cui l’individuo si sviluppa in senso sociale. Essi sottolineano che l’individuo non può avere un valore superiore a quello del gruppo, che l’individuo nel gruppo si deve fondere e nei confronti di questo ha dei doveri da compiere, sottolineando l’importanza dell’interesse complessivo della comunità. I nostri antichi pensatori non pensavano la comunità in modo astratto, bensì esprimendone concretamente il significato e il valore attraverso concetti come quelli di jia 家 (casa, famiglia), guojia 国家 (stato, paese) anch’esso contenente il carattere riferito a “casa, famiglia”), sheji 社稷 (letteralmente “divinità del suolo e dei cereali”, un termine che indicava la comunità statale specificandone la natura agricola), tianxia 天下 (“[ciò che è] sotto il cielo, quindi “mondo”), eccetera. Altri locuzioni, come nengqun 能群 (socializzare, governare), baojia 保家 (proteggere la casa), baoguo 报国 (servire il paese) e molte altre ancora, esprimono chiaramente l’importanza della pace, dell’armonia e della prosperità a livello della comunità e mettono in rilievo il dovere dell’individuo verso la propria comunità e la società sottolineando l’importanza e la priorità di queste rispetto all’individuo. Sul piano linguistico, tale priorità trova espressione anche nella dicotomia “comune/pubblico” (gong 公) e “personale/privato” (si 私): l’individuo in relazione alla famiglia rappresenta ciò che è personale, mentre la famiglia rappresenta ciò che è comune; la famiglia in relazione allo stato rappresenta ciò che è personale, mentre lo stato rappresenta ciò che è comune. Il “comune” si estende dalla comunità allo stato, per arrivare alla sua espressione più grande che si incarna nella giustizia (gongdao 公道), nell’equità (gongping 公平), e nel bene comune (gongyi 公益) del mondo, da cui l’aspirazione a creare “un mondo in comune per tutti” (tianxia wei gong 天下为公).
In sintesi, l’uomo secondo la cultura e i valori cinesi è inserito in una struttura a cerchi concentrici (individuo – famiglia – stato – mondo – natura) che si apre alla comunità espandendosi ininterrottamente verso l’esterno, la quale comprende, perciò, molte dimensioni che stabiliscono per l’individuo l’adempimento a responsabilità e doveri nei confronti di comunità di diverso livello. Nei Dialoghidi Confucio si dice che “entro i quattro mari tutti sono fratelli”, mentre nelle Memorie sui Riti si prescrive di “considerare il mondo come un’unica famiglia”. Se perciò è vero che la famiglia costituisce la relazione fondamentale dei cinesi, va anche detto che i nostri antichi avevano già esteso e rafforzato molto presto il concetto di famiglia.
Il moderno liberalismo occidentale, con la sua morale incentrata sui diritti, sostiene che ognuno ha il diritto di agire secondo i propri valori, e ritiene che avanzare delle richieste nei confronti dei cittadini sulla base di una visione del bene comune costituisca una violazione della libertà individuale. La cultura e i valori cinesi, invece, mettono l’accento sul bene comune della società, la responsabilità sociale e la virtù pubblica. Comunità e individuo, responsabilità e diritti sono concetti etici diversi, che riflettono diverse posizioni etiche e si applicano a diverse scale di valori. Nella società contemporanea, dobbiamo sostenere la posizione della cultura e dei valori cinesi incentrata su comunità e responsabilità; mentre diciamo sì a libertà e diritti da un lato, dall’altro dobbiamo senza se e senza ma dire no alla posizione che mette davanti a tutto l’individuo.
L’armonia è superiore al conflitto
Rispetto alla cultura e ai valori occidentali, quelli cinesi danno un’enfasi maggiore all’armonia sociale, considerando “l’armonia come il bene più prezioso” (he wei gui 和为贵), e perseguendo “l’armonia nella diversità” (he er bu tong 和而不同).
Il principio secondo cui “l’armonia genera le cose, l’uniformità le fa cessare”, già espresso nel periodo delle Primavere e Autunni, ha dato vita al pensiero cinese dell’“armonia nella diversità”. Quello dell’armonia è un valore che compare molto presto nella civiltà cinese. Nel “Canone di Shun” del Classico dei Documenti, per esempio, si racconta che Shun aveva ordinato al ministro della musica di giungere, attraverso la musica, allo stato in cui “accordati gli otto suoni, verranno meno violenze e contese, cosicché spiriti e uomini saranno in armonia”. È l’indice di quanto i nostri antichi già riconoscessero la capacità della musica di stimolare l’armonia, e di quanto l’armonia dell’universo fosse un’aspirazione che già caratterizzava i nostri antichi sapienti. I nostri antichi, infatti, molte volte si sono serviti della musica come metafora per indicare l’armonia fra le cose del mondo, metafora che poi è diventata in Cina un’aspirazione universale. Nel Commentario di Zuo, per esempio, si dice: “I dignitari si sono stati riuniti nove volte in otto anni, armoniosi come musica, senza essere discordi su nulla”.
Da ciò si può vedere come la musica, per i nostri antichi, costituisse il modello per regolare i rapporti fra uomo e uomo, fra uomo e società, fra gruppi etnici e fra uomo e natura, e come il perseguimento dell’armonia abbia plasmato il modo di pensare e le tendenze valoriali della civiltà cinese.
Questo pensiero ha avuto un’influenza importante anche sul confucianesimo. Come si dice nel capitolo “Memorie sulla musica” delle Memorie sui Riti, infatti, “la musica è l’armonia di cielo e terra, i riti sono l’ordine di cielo e terra; grazie all’armonia tutte le cose compiono la loro trasformazione, grazie all’ordine tutte le cose hanno le loro distinzioni.” Ciò illustra come l’armonia fra gli uomini discenda sostanzialmente dall’armonia di cielo e terra, ovvero dall’armonia della natura. L’armonia è il principio generatore di tutte le cose, il principio senza il quale non esiste trasformazione, un principio che ha dunque profonde radici cosmologiche. La frase di Zhang Zai, filosofo del periodo Song, “ogni fenomeno ha il suo opposto, che necessariamente agisce in senso contrario; ogni contrario porta una discordia, che deve essere risolto con l’armonia” sottolineava che il passaggio dal contrasto all’armonia non è solo una regola della natura, ma è anche un principio universalmente valido della società e della vita umana.
Similmente, anche la ricerca dell’armonia permanente come atteggiamento per affrontare il mondo esteriore nella cultura e nei valori cinesi ha una storia molto antica. Si dice per esempio nel “Canone di Yao” del Classico dei Documenti: “[L’imperatore Yao] era così illuminato e virtuoso che riuscì a far andare d’amore e d’accordo i nove clan e le cento casate, e creò la giusta armonia tra i diecimila stati.”. L’idea di “creare la giusta armonia tra i diecimila popoli” sarebbe diventata, in seguito, il modello della Weltanschauung cinese. Un altro precetto simile lo ritroviamo nei Riti di Zhou: “far sì che ci sia armonia nello stato, collaborazione tra i cento funzionari e concordia tra i diecimila popoli.” Confucio, che considerava l’armonia come il principio per relazionarsi con il mondo, affermò: “Sii indulgente con chi è lontano e solidale con chi è vicino, renderai così stabile il nostro sovrano e porterai pace con l’armonia”. Quello di costruire un mondo basato sulla coesistenza pacifica è un ideale della civiltà cinese che persiste senza interruzione da migliaia di anni. L’unificazione armoniosa fra uomo e natura a partire dagli Han è stata espressa con la formula tian ren he yi 天人合一, ovvero “cielo e uomo formano un’unica entità”, divenuta poi un valore ideale della cultura cinese. La caratteristica di questo valore sta nel dare importanza alla corrispondenza fra la “via dell’uomo” (le regole sociali dell’uomo) e la “via del cielo” (le leggi universali dell’universo), che non devono essere tenute separate. Tale pensiero non pone l’accento sulla conquista, e sulla trasformazione, della natura, né afferma la contrapposizione fra uomo e natura, bensì la loro armonizzazione. Secondo questo pensiero l’uomo non può andare contro natura, ma deve sottomettersi alle sue leggi, regolando con essa le proprie azioni. Da un lato esso sottolinea che l’uomo è parte della natura, che è dotato di un’essenza naturale, premendo intanto per un’unificazione e una fusione di questi con la natura; dall’altro afferma che l’uomo deve attivamente adeguarsi ai cambiamenti naturali e, armonizzandosi con la natura, favorire lo sviluppo armonioso dell’universo. Così, al fine di correggere l’idea che la natura possa essere l’oggetto di una conquista illimitata, senza preoccupazioni per l’ambiente e per gli equilibri ecologici, e a quello di promuovere uno sviluppo sostenibile e regolato per l’economia e la società, tale pensiero ha un indubbio valore pratico.
La cultura e i valori occidentali sono caratterizzati dal senso del conflitto, che consiste nella disposizione a usare la propria forza, mettendo il sé al centro di tutto, per vincere l’altro da sé, dominando il prossimo e possedendo gli altri. Per questa ragione in Occidente ci sono state sanguinose guerre di religione, che invece in Cina non sono mai avvenute. Possiamo tranquillamente affermare, al riguardo, che la radice culturale delle due guerre mondiali del Ventesimo secolo non si trova certo in Oriente. Nel complesso, rispetto alla cultura e ai valori occidentali, quelli cinesi sottolineano la superiorità dell’armonia sul conflitto.
Chen Lai, Conosciamo i valori distintivi della Cina PDF
Immagine: Modern Chinese Chic, foto di Sharron Loveel
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