Regione Basilicata, chi ha vinto e chi ha perso. Fatti, numeri e commenti
di STARTMAG (Francesco Damato)
Che cosa è successo davvero nelle elezioni regionali in Basilicata e quali riflessi nazionali ci saranno dopo i risultati di Lega e Movimento 5 Stelle. I Graffi di Damato
Smaltita l’euforia, o la sbornia, della visita del presidente Xi Jiping in Italia e dei due miliardi e mezzo di euro d’affari concordati, diventati nell’immaginazione di Luigi Di Maio più di venti miliardi potenziali, non si è ben capito in quanti anni, il movimento delle Cinque stelle è costretto a tornare ai conti elettorali in casa. Che continuano ad essere in perdita, essendosi più che dimezzati i voti grillini anche in Basilicata, dove solo un anno fa erano stati superiori al 44 per cento e sono precipitati, nelle urne regionali appena svuotate delle schede, a meno del 20 per cento. Anche in Lucania, quindi, come in Abruzzo a febbraio e poi in Sardegna, truppe ed elettori di Di Maio sono passati dalle stelle alle stalle.
CHI HA SBARAGLIATO IN BASILICATA
Ha vinto in Basilicata il centrodestra con ben oltre il 40 per cento dei voti e otto punti di distacco dal centrosinistra, che ha perso così dopo 25 anni ininterrotti di potere il governo della regione, consolandosi solo della sconfitta nettissima dei grillini. Che avevano umiliato il Pd anche in quella regione l’anno scorso aprendo le cosiddette praterie alla prospettiva di un nuovo bipolarismo fra loro stessi e i leghisti, alleatisi a livello nazionale proprio per giocarsi la partita decisiva in un momento successivo. Ormai è tutta acqua già passata sotto i ponti, e non solo quelli della Basilicata.
LA LEGA DI SALVINI VINCITORE ALLE ELEZIONI IN BASILICATA
Il vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini è stato il primo ad esultare per la nuova vittoria regionale del centrodestra, che egli tuttavia continua a non avere molta voglia di riesumare a livello nazionale, come invece lo sollecita a fare Silvio Berlusconi. Il quale ora è pronto a quelle elezioni anticipate rifiutate l’anno scorso, dopo il sorpasso leghista sulla sua Forza Italia: rifiutate a tal punto, forse volendo avere il tempo per tentare un recupero sui leghisti, da autorizzare o addirittura incoraggiare Salvini a “provare” -come lo stesso Salvini ricorda spesso e volentieri- un’alleanza temporanea di governo con i grillini.
PERCHE’ BERLUSCONI E FORZA ITALIA POSSONO ESSERE SODDISFATTI
Anche se pure in Basilicata i leghisti hanno preso più voti dei forzisti, in un trend nazionale quindi ormai consolidato pure in questo, Berlusconi può vantare di avere lasciato sulla vittoria del centrodestra un segno più visibile della Lega per avere scelto lui il candidato alla presidenza della regione. Che è il generale in pensione della Guardia di Finanza Vito Bardi, superiore anche di grado al metaforico “capitano”, come i leghisti chiamano affettuosamente il loro leader, ben felice peraltro di sentirsi definire così e smanioso di entrare nel ruolo indossando giubbotti, felpe, berretti e caschi militari. L’ultimo col quale Salvini si è lasciato fotografare e riprendere dalle telecamere è quello dei Vigili del Fuoco.
LE RIPERCUSSIONI DEL VOTO IN BASILICATA SUL GOVERNO NAZIONALE
Ma più che spegnere fiamme, a dispetto di quel casco e delle parole che continua a spendere a favore di una lunga durata del governo, Salvini sembra destinato ad accenderne nella maggioranza gialloverde, specie dopo le elezioni europee, regionali e comunali di fine maggio, col trend appena confermato dagli elettori lucani.
TUTTE LE FIBRILLAZIONI TRA MOVIMENTO 5 STELLE E LEGA
Non vi è ormai argomento o problema su cui i due vice presidenti del Consiglio, e i rispettivi partiti, non mandino segnali opposti: dalla Tav alle altre grandi opere bloccate, dalle autonomie regionali alla famiglia, dalla riforma fiscale alla stessa materia della sicurezza, che sembrava sino a poco tempo fa delegata interamente al non a caso ministro dell’Interno, e infine ai rapporti con la Cina. A proposito dei quali Di Maio ha appena voluto vantarsi di essere l’uomo dei “fatti” lasciando al suo omologo il compito di “parlare”, peraltro a sorpresa, cambiando interlocutore privilegiato a livello internazionale: da Putin a Trump. Delle cui preoccupazioni, e anche minacce, per i tipi di affari in cantiere con la Cina Salvini si è fatto carico sino a starsene lontano da Roma nei giorni della visita di Xi Jiping e seguito nella Capitale d’Italia, degli incontri, delle cene e delle firme orgogliosamente apposte da Di Maio alle intese commerciali con gli emissari di Pechino sotto lo sguardo compiaciuto e protettivo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. A proposito del quale si ha tuttavia motivo di ritenere che, dietro la facciata del solito ottimismo, e della solita sicurezza di durare -come diceva sino a qualche settimana fa- per l’intera durata ordinaria della legislatura, di cinque anni, stia maturando una lettura o visione più realistica della situazione politica.
CHE COSA DICE CONTE
In particolare, dalla sua terra pugliese, che lo fece sentire all’arrivo a Palazzo Chigi in una certa continuità addirittura con Aldo Moro, l’ultimo di quella regione a precederlo alla guida di un governo in Italia, Conte ha avvertito amici ed avversari -ma non so francamente se più gli uni o gli altri- che si sente così in prestito alla politica da escludere repliche nel ruolo attuale, o in qualcosa che gli possa somigliare.
PREMIER STANCO?
Evidentemente il professore di diritto e avvocato civilista, abituato peraltro a guadagni ben superiori di quelli di un presidente del Consiglio, si sta stancando del gran daffare che gli procurano i due vice, e dintorni, e guarda ad una crisi di governo con spirito di sollievo, più che di apprensione. E non gli si potrebbe francamente dare torto, specie se si pensa a quel che potrebbe costargli, a tutti gli effetti, la preparazione della prossima legge finanziaria, con tutti gli obblighi già sottoscritti non con la lontana Cina, ma con la ben più vicina e stringente Unione Europea. Di cui egli ha avuto il tempo di conoscere meccanismi e uomini, destinati forse a non cambiare, almeno nella misura immaginata dai grillini, e un po’ anche dai leghisti, scambiando le lucciole elettorali italiane dell’anno scorso con le lanterne d’Europa.
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