Verso la diffusione dell’auto elettrica: un po’ di storia.
di ALDO GIANNULI (Giuseppe Ameglio)
Un primo segnale di allarme risuonò in Italia, come in Europa, come negli Stati Uniti nell’autunno del 1973 quando i paesi arabi che aderivano all’OPEC decisero un aumento del 70% del petrolio e contemporaneamente ne diminuirono del 10 per cento l’esportazione e, per un breve periodo, anche del 25 per cento. Come immediata conseguenza i prezzi dei prodotti petroliferi salirono alle stelle, i governi dovettero assumere misure drastiche per ridurre il consumo dei prodotti derivati dal petrolio.
Naturalmente al centro dell’attenzione ci finì il comparto dell’automobile con l’immediato rincaro del carburante per autotrazione e alcuni provvedimenti che limitavano l’uso dell’automobile: almeno in Italia lo stop alla circolazione delle auto durante le giornate festive e il limite di 120 km ora in autostrada.
Avrebbe dovuto essere chiaro fin da allora che il principale obiettivo da perseguire dalle case automobilistiche fosse nell’immediato quello di ridurre il consumo di carburante sfruttando la tecnologia dei più recenti sistemi di iniezione e, a medio e lungo periodo, progettare motorizzazioni idonee a sfruttare energie alternative ai prodotti derivati dal petrolio.
Solo più tardi si avverti l’esigenza di ridurre le emissioni inquinanti derivanti dalla combustione dei motori.
Presto però, rientrata la paura di vedere assottigliate le riserve petrolifere e superata la crisi economica, la più grave dal 1929, che a fasi alterne interessò l’Europa e gli Stati Uniti tra il 1972 e il 1976, i nodi energetici rimasero, salvo qualche sporadica sperimentazione, lettera morta.
Anzi, gli anni ottanta che segnarono un periodo di generale ripresa economica permisero all’industria automobilistica di trarre cospicui profitti con l’ingresso sul mercato di una varietà di nuovi modelli, tutti, indistintamente con motorizzazione a benzina e diesel. La stessa Fiat fu pronta a cogliere questa favorevole congiuntura economica conquistando un ruolo preminente tra le grandi industrie automobilistiche.
Bisognerà attendere la fine degli anni novanta, precisamente il 1977, quando Toyota iniziò a commercializzare un’auto, la Prius, con uno schema propulsivo ibrido che prevedeva l’utilizzo di un motore termico abbinato a uno elettrico, dando così una sferzata al mercato e obbligando gli altri costruttori ad un concitato fast follower.
L’utilizzo di un motore elettrico, di per sè, non aveva niente di rivoluzionario dal momento che la commercializzazione dell’auto elettrica iniziò ancor prima di quella con motore a combustione per la semplicità costruttiva del motore che, rispetto a quello a combustione, non necessitava del cambio, della frizione e della manovella di avviamento.
Ciò fu possibile perché già allora la tecnologia offriva tutti gli elementi indispensabili al funzionamento dell’auto elettrica: il motore elettrico a corrente continua fu infatti brevettato da Thomas Davenport nel 1834, le batterie ricaricabili al piombo da Gaston Planté nel 1859 e infine nel 1859 Thomas Edison brevettò il sistema di distribuzione dell’energia in corrente continua, indispensabile per l’uso delle auto elettriche.
Nel 1885 Charles Jeantaud, che come molti altri costruttori di fine secolo, aveva riconvertito la produzione di carrozze in quella di automobili, aveva un catalogo con diversi modelli di vetture elettriche e nel 1898 Ferdinand Porsche concepì per primo il progetto di un auto a propulsione ibrida ottenuta accoppiando due motori a benzina a due generatori che alimentavano di corrente elettrica sia i motori posti nel mozzo delle ruote sia le batterie. Grazie al concept “full hybrid” la “Semper Vivus” questo il nome della vettura, era dotata di una straordinaria autonomia ed era in grado, sfruttando l’alimentazione elettrica, di percorrere, almeno per quei tempi, ragguardevoli tratti di strada.
La necessità di trovare soluzioni alternative tornò di attualità quando ci si rese conto che le riserve di petrolio non sono inesauribili e, come sottolineato da George Olah premio Nobel per la chimica del 1996, bruciare idrocarburi, materia prima non rinnovabile, costituisce un imperdonabile spreco e un danno irreparabile all’ambiente.
Come preconizzato da Toyota la soluzione più immediata e tecnologicamente percorribile è ricorrere al motore elettrico a patto che si trovi un sistema adatto per immagazzinare e fornire l’energia sfruttando la tecnologia del Litio-ione che aveva sostituto quella del Piombo, per conservare e generare energia a bordo, sufficiente alla vettura per avere un’autonomia tale da garantire un suo reale utilizzo.
Sul punto l’orientamento dei costruttori percorre strade diverse. Alcuni, Tesla in testa ma anche Nissan e Bmw, hanno puntato su una tipologia di vettura che utilizza il solo motore elettrico azionato dall’energia accumulata nelle batterie che per essere ricaricate necessitano di una presa di corrente o in area domestica o utilizzando le apposite colonnine.
Altri, Toyota prima fra tutti, hanno preferito adottare sui loro prodotti un sistema ibrido: su alcuni modelli il motore termico ha la sola funzione di produrre corrente mentre la trazione è demandata al motore elettrico. Su altri il motore termico è collegato alle ruote motrici ed entrambe le unità motrici trasmettono il moto alle ruote singolarmente o insieme (Parallel Hybrid).
Altri costruttori ancora come Mitsubishi con la Outlander PHV si sono orientati verso la produzione in serie delle ibride plug-in (conosciute come PHEV PHV), vetture caratterizzate dalla presenza sullo stesso veicolo di un motore a combustione interna, di un motore elettrico e di un pacco batterie ricaricabili attraverso una presa di corrente. Attualmente la tecnologia ibrida plug-in è la più performante e consente di percorrere diversi chilometri senza essere costretti ad utilizzare il propulsore a benzina (o a gasolio), con il duplice vantaggio di contenere al minimo il costo di gestione e di ridurre l’emissione di sostanze inquinanti.
Allo stato dell’arte permangono tuttavia incertezze, oggetto di dibattito sulla reale convenienza ed efficienza, svincolata da ogni pressione e condizionamento, dell’auto elettrica rispetto a vetture omologhe con motorizzazioni tradizionali.
Infatti, quando si cerca di valutare la efficienza energetica e ambientale e il costo sociale inevitabilmente occorre fare i conti con la mancanza di dati, la incertezza di alcune fonti ed una elevata variabilità delle misurazioni.
Tracciare il bilancio energetico non è infatti ne semplice ne immediato considerati i molti parametri di cui tener conto.
Così come l’inquinamento prodotto da un’auto a motore termico non è limitata alla sola combustione del motore ma riguarda tutta una serie di aspetti: la produzione dell’auto, la raffinazione del petrolio, il trasporto del carburante fino alle pompe di distribuzione, la manutenzione e lo smaltimento degli oli. Così per l’auto elettrica l’inquinamento inizia già dall’estrazione del litio per le batterie fino al loro smaltimento passando per la produzione dell’auto, la generazione dell’energia elettrica e la manutenzione/smaltimento del mezzo. E’ evidente che si tratta di un calcolo complesso e i risultanti sono spesso discordanti.
Sarebbe però un grave errore limitare l’analisi ad una superficiale comparazione, per usare una terminologia usata ed abusata, di costo e beneficio.
Occorre invece ragionare sulla necessità di una scelta di fondo tra due diverse opzioni: continuare sulla strada finora percorsa dove l’auto elettrica rimane una scelta alternativa individuale ai motori a combustione, oppure pensare ad una modalità nuova del trasporto che pone si “l’elettrico” in posizione determinante però all’interno di una più ampia strategia del trasporto pubblico e privato .
Questa scelta, che non può prescindere dalla condivisione delle politiche economiche e sociali tra i vari paesi, implica rilevanti investimenti e un profondo mutamento del vissuto, in cui ciascun attore, privato o pubblico deve fare la sua parte.
Nel settore privato le case automobilistiche che oggi basano in gran parte la produzione sui motori termici devono mutare il proprio modello di business e costruire nuove e specifiche competenze che l’auto elettrica richiede.
Sullo specifico tema dello sviluppo dell’auto elettrica, al pubblico, a cui è demandato il ruolo di attore principale, spetta in primo luogo la adozione di politiche energetiche che non possono prescindere dalla scelta di sistemi per la produzione dell’energia elettrica aggiuntiva richiesta per la ricarica delle batterie.
Più in generale, sul piano della governance, spetta ancora all’ente pubblico garantire una maggiore efficienza e capillarizzazione del servizio di trasporto pubblico. Allo stesso modo dovrà favorire, non più solo all’interno delle aree metropolitane, lo sviluppo di un Eco Car Shearing attuando sul piano operativo una più conveniente e articolata offerta del servizio, mentre su quello culturale dovrà porre in atto azioni mirate ad abbattere le barriere di ingresso all’utilizzo del servizio come sostitutivo dell’auto privata.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione e come tale non è sicura ne immediata. Siamo tutti consapevoli che cambiare un “sistema planetario” basato sulla estrazione e sulla lavorazione degli idrocarburi, sul prevalere globalizzato dei profitti finanziari rispetto ai diritti della collettività ad una migliore qualità della vita, alla tutela dell’ambiente e della salute, è un impresa difficile e complessa. Non per questo bisogna desistere.
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/verso-la-diffusione-dellauto-elettrica-un-po-di-storia/
Commenti recenti