La partecipazione politica: iscritti passivi, ideologici, attivisti, tifosi e militanti.
di ALDO GIANNULI
Fra quanti partecipano alla vita politica attraverso il canale dei partiti, proponiamo cinque diverse tipologie: gli iscritti passivi, gli ideologici, gli attivisti, i tifosi ed i militanti, avvertendo che, anche qui, non ci sono separazioni nette, ma che è possibile che una modalità si sovrapponga in parte all’altra.
L’iscritto passivo è al confine dell’ipo-politica ed ha una tessera, forse per motivi di opportunità o sentimentali, ma segue poco la politica, legge poco i giornali, non si informa, di fatto non partecipa alla vita del partito, neppure in occasione dei congressi, ma, se per una qualsiasi ragione occasionale dovesse partecipare ad una qualche votazione si può essere sicuri che starebbe dalla parte della maggioranza o di quella che gli sembrerebbe tale: lui sta dalla parte “della bandiera” che identifica con la maggioranza.
Non è neppure scontato che voti per il partito cui aderisce, magari si astiene. La funzione di questo tipo di strano aderente, per i partiti è molteplice: da un lato serve a far numero e raccogliere denaro, dall’altro, come nel caso dell’ipo politico, è la riserva di stabilità della maggioranza interna.
Il secondo gruppo è quello degli ideologici: quelli che, per una ragione o per l’altra (provenienza familiare, letture e formazione personale, retroterra religioso eccetera) sono legati ad un partito o schieramento dalla visione generale del mondo, staremmo per dire, da un credo per l’evidente contatto con l’adesione religiosa.
L’elemento ideologizzato prescinde totalmente dalle scelte politiche concrete del partito di riferimento e tantomeno prende in considerazione eventuali sconfitte politiche di esso. Egli crede e basta: le singole scelte politiche sono meri aspetti accidentali ed anche nel caso in cui una particolare scelta in aperto ed insanabile conflitto con i principi del movimento, sarà facile far quadrare i conti con il pretesto di una scelta tattica momentanea.
L’ideologico è assolutamente non laico e risponde ad una logica di schieramento, tanto che si tratti di politica interna quanto (ed ancor più) se si tratti di scenari internazionali. Si tratta di una forma di adesione molto tradizionale che c’è sempre stata, oggi forse in declino, ma ancora persistente.
Va detto che non si tratta di un atteggiamento esclusivo si una particolare area politica: il comunista ideologizzato sarà pronto a digerire tutto, da Stalin a Pol Pot, da Ceausescu a Maduro, ma anche il liberale ideologizzato manderà giù con la stessa disinvoltura l’appoggio Usa alle dittature latino americane, le avventure neo coloniali travestite da missioni di polizia internazionale, il ricorso alla tortura per combattere il terrorismo, la segregazione razziale ed ogni altra bruttura.
Di cattolici e fascisti non è neppure il caso di dire. E le strategie difensive saranno del tutto somiglianti sia in un caso che nell’altro: i dati non sono credibili perché sono prodotto della propaganda avversaria, si è trattato di scelte necessitate dal comportamento degli avversari, eccetera. Da questo punto di vista, non c’è area politica che sia immune da questo rischio: un comunista, un liberale, un anarchico, un socialdemocratico, un fascista, un conservatore, un grillino o un leghista possono essere ideologizzati nella stessa misura.
Spesso l’ideologizzato è uomo di forti letture (anche se il più delle volte ad indirizzo unico o quasi), ma in qualche caso lo è anche se ha letto due libri in vita sua e del terzo ha visto solo le foto. Quello che rileva non è la saldatura teorica di maggiore o minore pregio e coerenza, quello che conta è l’incapacità di imparare dall’esperienza perché quello che conta è affermare il programma della propria ideologia, tutto il resto non conta.
In genere, l’ideologizzato aderisce a un qualche partito o gruppo (e meglio ancora se si tratta di una piccola setta), ma può anche essere l’orfano di un partito che non c’è più. Non è detto che l’ideologizzato sia necessariamente particolarmente attivo e spesso è ai margini e non ha particolare impegno attivo, ma gode quasi sempre di una certa autorevolezza fra gli iscritti, che magari lo criticano per il suo schematismo, ma lo individuano come fedelissimo del partito e del suo spirito fondativo (spesso è iscritto da lunga data). Magari non molti lo seguirebbero, ma una sua parola ostile ad un particolare mutamento di linea o anche solo di simbolo potrebbe avere un’audience ben più vasta di quella della sua stretta cerchia di amici.
Questo tipo di adesione è ormai più raro (ma non estinto) e la sua funzione è quella di sclerotizzare il confronto politico portandolo sul piano astratto dei principi o trascinandolo sul piano della polemica più miserevole. Quella dell’ideologizzato non è una adesione ma una meta adesione, che va al di là della politica per sconfinare nel campo della fede.
Tuttavia non c’è forza politica che possa ignorare la sua componente ideologizzata per poco o molto estesa che sia.
Il terzo tipo di adesione è quella dell’attivista che va distinto dal militante. L’attivista (altra figura tradizionale, soprattutto nei partiti di massa come il Pci), nella maggior parte dei casi non è uomo di grande formazione politica: ha poche letture, per lo più la sua formazione è il sostrato di centinaia di discorsi ascoltati e capiti più o meno bene e non ha alcuna particolare sensibilità per le questioni ideologiche che in genere non capisce.
Per il resto, la sua adesione si risolve in una manovalanza a volte eroica, che si tratti di fare tavolini per raccogliere firme, attaccare manifesti, distribuire volantini, partecipare a cortei o stare attaccato ad una tastiera di computer per rilanciare i messaggi del proprio partito. E qui siamo su un terreno prossimo a quello del tifoso di cui ci apprestiamo a dire. L’attivista non ama le discussioni politiche, soprattutto quelle divisive per le quali prova un fastidio invincibile, sia perché non ne capisce il merito, sia perché gli complicano il lavoro di convincere il compagno di lavoro o il parente a votare per il partito. Per cui, anche in questo caso, la sua scelta sarà quella di affidarsi agli orientamenti espressi dal suo leder politico di riferimento, che sia il Segretario del partico o il suo capo corrente.
Molto, prossima a quella dell’attivista, ma, in qualche modo nuova, è la figura del “tifoso di partito”. La novità è data dalla commistione con la pratica calcistica. Sino agli anni ottanta gli aderenti ai vari partiti andavano, ovviamente, allo stadio e facevano il tifo per questa o quella squadra, ma calcio e politica restavano ambiti sociali ben separati. Fu dagli anni ottanta che le due cose iniziarono a convergere: il linguaggio dello stadio entrò in quello della politica (ricordate la “discesa in campo” di Berlusconi?) così come le sue forme espressive (l’uso dei fumogeni colorati era dello stadio prima di passare nei cortei studenteschi. E cominciarono anche fenomeni come le tifoserie politicizzate (in genere di destra, ma, ad esempio, nel caso del Livorno, di sinistra).
Dunque non sorprende che anche nelle forme di partecipazione ci sia stata un’osmosi dallo stadio alla politica. Il tifo sportivo ha una sua parte ovviamente irrazionale. In teoria occorrerebbe sostenere una squadra per il suo stile di gioco, per la bravura dei suoi calciatori eccetera, per cui non dovrebbe essere strano “Tifare” per una squadra in un anno e per un’altra in un altro anno. Cosa ovviamente che repelle ad ogni tifoso che si rispetti. Essere milanista, interista, juventino o quel che vi pare non è scelta legata alla valutazione sportiva di una squadra, ma ha componenti irrazionali di tipo affettivo, identitario, para ideologico.
A volte si tratta della squadra della propria città, magari tifoso della stessa squadra è stato papà che ti ha portato allo stadio, e da bambino era presente fra le preghiere della sera, poi allo stadio ci si va in comitiva e non si può tradire la comitiva degli amici, perché il passaggio ad altra tifoseria sarebbe vissuto come un tradimento. Si è interisti o juventini o romanisti una volta per tutte. Peraltro, non è difficile capire che il calcio, gioco di squadra per eccellenza, è la simulazione di una guerra, per cui si sta con la propria parte, sia che vinca sia che perda. La maglietta è una bandiera.
Questi sono i tratti psicologico propri del tifo calcistico che ora si è trasmesso all’ambito politico. Beninteso: l’adesione fideistica ed acritica, sono sempre esistiti, e attivisti ed ideologizzati sono stati spesso “patrioti di partito”. Nel nosro caso si è aggiumta una nota in più
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